Se la sua azienda le offrisse prestazioni di welfare quali le risulterebbero più utili? Al primo posto, con grande distacco, vince la voce relativa all’area salute e sanità, intesa come “assistenza sanitaria in caso di malattia, autosufficienza e infortuni” con il 53,8% delle preferenze. Ma la vera notizia, contenuta nel primo e recente rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, è un’altra.
A votare in massa per questa opzione sono i giovani di età compresa tra 18 e 34 anni (i cosiddetti Millennials) con il 49,5%, più del doppio rispetto a quanto raccolto da altre due opzioni che, a prima vista, potevano incontrare maggiormente i loro favori come “acquisti da negozi a prezzi convenzionati” e “palestra o spazi benessere aziendali”, che si fermano rispettivamente al 22,8% e al 23,8%. Bisogna precisare che la voce “salute e sanità” riscuote maggior successo tra i lavoratori del Nord-Ovest (56,8%) e quelli con figli (56,4%), i Baby Boomers, cioè coloro di età compresa tra 35 e 64 anni (55,4%) e le donne (54,7%). Tuttavia, è estremamente rilevante che il tema delle prestazioni per la non autosufficienza Ltc (Long Term Care) – su cui Assidai si muove da sempre all’avanguardia– stia finalmente facendo breccia in un Paese, l’Italia, in cui è stato spesso sottovalutato.
La copertura LTC (Long Term Care) “libera” le donne sul lavoro
Lo studio Censis-Eudaimon evidenzia un altro tema chiave attinente alla copertura per la non autosufficienza e che rischia di penalizzare il percorso professionale delle donne. “Il ritardo rilevante con cui il nostro welfare si va ridefinendo per la nuova composizione dei bisogni sociali, dall’infanzia alla non autosufficienza, mette sotto pressione le donne forzandole spesso ad una scelta di uscita, temporanea o definitiva dal mercato del lavoro”, sottolinea la ricerca. In parole povere, quando c’è da mettere una pezza in famiglia – che sia accudire i figli o prendersi cura dei genitori anziani – molto spesso è la donna a dover sacrificare la propria vita lavorativa.
Una distorsione che potrebbe essere attenuata o eliminata sottoscrivendo una adeguata copertura per la non autosufficienza. E su questo aspetto, si osserva, c’è peraltro anche una convergenza di interessi tra il lavoratore e l’azienda, che preferisce sicuramente avere dipendenti “disponibili, non troppo stressati e focalizzati sugli obiettivi professionali”, anziché costretti a “tappare i buchi del welfare pubblico che si va ritirando” o la mancata organizzazione familiare su determinate emergenze. Al proposito, va ricordato che proprio un anno fa Assidai ha impresso una nuova svolta sui servizi socio-sanitari forniti con continuità a persone che necessitano di assistenza permanente a causa di disabilità fisica o psichica. E se nel 2015 la copertura era stata estesa anche al coniuge o al convivente more uxorio dell’iscritto, nel 2017 sono state introdotte novità molto positive e rilevanti per i propri assistiti.
Sul welfare aziendale vince la sanità
In generale, come detto, dal rapporto Censis-Eudaimon emerge che le prestazioni più richieste di welfare aziendale sono quelle relative all’area della salute e della sanità, con il 53,8% delle preferenze, seguita da previdenza integrativa (33,3%) e buoni pasto/mensa aziendale (31,5%). Secondo lo studio inoltre, il welfare aziendale ha un valore potenziale di 21 miliardi di euro: una cifra decisamente elevata ma che per essere raggiunta necessita ancora di molto lavoro su tutti i fronti, ovvero da parte dello Stato, delle aziende e degli stessi fondi integrativi. Del resto, la conoscenza di questa opportunità è ancora scarsa se si pensa che solo il 17,9% dei lavoratori italiani – stando ai numeri rivelati da Censis-Eudaimon – sa esattamente di cosa si stia parlando, mentre il 58,5% padroneggia queste nozioni soltanto “a grandi linee” e il 23,6% non ne sa nulla.
Poi c’è la classica domanda “da 1 milione di dollari”: meglio le prestazioni di welfare o gli aumenti in busta paga? Di fronte alla possibilità di trasformare premi annuali in welfare (con i vantaggi fiscali concessi dalle ultime Leggi di Bilancio), il 58,7% di lavoratori sceglie la prima ipotesi e solo il 23,5% la seconda. Ad essere più favorevoli sono i dirigenti e quadri (73,6%), i lavoratori con figli piccoli, fino a 3 anni (68,2%), i laureati (63,5%) e i lavoratori con redditi medio-alti (62,2%) mentre si scende con gli operai (41,3%) e gli impiegati (36,5%). Infine il welfare aziendale migliora il clima nelle imprese poiché contribuisce a una “visione meno conflittuale del rapporto tra lavoratori e impresa e meno unilaterale dal punto di vista dei ruoli e della distribuzione del valore creato”: lo pensa il 47,7% dei lavoratori interpellati mentre il 16,8% ritiene che possa aumentare la produttività dei lavoratori stessi.