Secondo Attilio Gugiatti (Cergas-Bocconi) bisogna affrontare gli attuali e futuri grandi problemi del welfare, ovvero cronicità, non autosufficienza e sostegno in periodi di mancanza di lavoro e tutela. Per farlo il welfare aziendale è uno strumento adeguato.
Grazie all’impulso fornito dalle ultime Leggi di Bilancio il welfare aziendale è diventato “una componente rilevante delle relazioni industriali, rafforzando al tempo stesso il suo ruolo di integrazione e complementarietà rispetto alle misure più classiche di welfare”. Tuttavia, l’ultima manovra “ha imposto una brusca frenata a questo percorso, concentrandosi più su misure di tipo assistenzialistico che improntate a un concetto premiante dell’istituto del lavoro”. è questa, in estrema sintesi, l’opinione di Attilio Gugiatti, Ricercatore presso il Cergas, Centro di Ricerche dell’Università Bocconi sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale nato nel 1978.
Partiamo dai dati. Qual è ad oggi la diffusione del welfare aziendale in Italia?
E’ stato introdotto all’incirca in un’azienda su due. Più nel dettaglio, secondo i numeri forniti dal Ministero del Lavoro a metà dicembre, su 17.630 contratti attivi a livello aziendale e territoriale, le misure di welfare aziendale erano previste in 8.231 di questi, ovvero nel 46,6% delle imprese. Il Terzo Rapporto di Welfare Index PMI su un campione di oltre 4.000 piccole e medie imprese evidenzia che il 41% ha attivato iniziative in almeno quattro aree di welfare aziendale, soprattutto nell’ambito della previdenza e della sanità integrative, ma anche in aree più innovative come conciliazione vita-lavoro, cultura e tempo libero e nel welfare comunitario. Sono dati rilevanti, figli delle importanti misure di sostegno adottate negli ultimi anni, che hanno contribuito – peraltro in un periodo di crisi economica – a dare vita a una nuova forma di relazioni industriali per promuovere istituti alternativi di welfare che affiancassero quelli tradizionali. Un percorso che ha come obiettivo finale il benessere sia dei lavoratori sia delle imprese.
Ciò si deve alle principali misure introdotte fino ad oggi?
Le misure di agevolazione fiscale sono state utilizzate in maniera crescente per favorire la creazione di uno spazio complementare che affiancasse i tradizionali istituti del welfare. Mi riferisco alle agevolazioni previste per lo sviluppo della previdenza e della sanità integrativa che interessano oggi milioni di lavoratori, allargando spesso i benefici anche ai familiari. Poi, le Leggi di Bilancio per il 2016 e il 2017 hanno dato un impulso notevole allo sviluppo di forme innovative e complementari di welfare, rafforzando le agevolazioni fiscali.
Nell’ultima Legge di Bilancio non si interviene su queste agevolazioni ma, al tempo stesso, non c’è alcun loro potenziamento. Vede più il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?
La vedo così: se ho un percorso di sviluppo del welfare aziendale e ogni anno aggiungo un pezzettino, se un anno non cambia niente è un peggioramento. Anche perché la spesa sanitaria privata nel 2017 era a 40 miliardi di euro e nel 2018 è aumentata ancora, incrementando il peso della spesa out of pocket per le famiglie alle prese con le crescenti difficoltà del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). La coperta, insomma, è sempre più corta e il non avere posto integrazioni e riflessioni sul welfare aziendale nell’ultima manovra è un chiaro messaggio politico: si preferisce ragionare in un’ottica assistenzialista piuttosto che di incentivo all’appetibilità di un posto di lavoro e al miglioramento delle relazioni industriali. Un cambio di prospettiva dimostrato anche dal fatto che la manovra ha collocato il tema del welfare aziendale nell’ambito delle politiche della famiglia, che sono solo una piccola parte del welfare, abolendo al tempo stesso la sperimentazione del bonus per le madri lavoratrici per potenziare marginalmente il bonus bebè.
Che cosa serviva invece a suo parere?
Ulteriori incentivi per affrontare gli attuali e futuri grandi problemi del welfare, ovvero cronicità, non autosufficienza e sostegno in periodi di mancanza di lavoro e tutela. Questa Legge di Bilancio non ha avviato alcuna riflessione organica sul welfare socio-sanitario del paese. La popolazione cronica cresce in modo rilevante e per il sesto anno di fila le risorse del Servizio sanitario Nazionale (SSN) sono ferme, portandoci a 1800 Euro di spesa per abitante contro i 2.600 Euro degli inglesi e i 3.300 Euro dei tedeschi. In questo quadro di povertà di risorse e programmatorie risulta altrettanto parziale e frammentata la visione sul welfare aziendale, che si sviluppa positivamente e in forme innovative al di fuori di una necessaria e chiara prospettiva di marcia.
In questo scenario, qual è il ruolo dei fondi sanitari integrativi?
Dal 2010 al 2017 gli italiani coperti da forme di sanità integrativa sono aumentati da 6 milioni a 13 milioni, principalmente lavoratori. Non sono numeri di poco conto. La spesa intermediata si attesta invece attorno a 6 miliardi, a fronte di una spesa sanitaria privata di circa 40 miliardi. Fino ad oggi abbiamo ottenuto un grosso risultato ma c’è ancora molta strada da fare, anche in un’ottica di sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale, che dovrà sempre più fare i conti con le ristrettezze di spesa, il progressivo invecchiamento della popolazione e l’aumento delle cronicità, nonché con l’insufficiente ricambio dei professionisti, specie nell’ambito della medicina generale.