Il welfare aziendale è una realtà sempre più consolidata e diffusa non solo in Italia e in Europa ma, ormai, anche nel mondo. Analizzarne caratteristiche e peculiarità nazionali permette così di scoprire realtà interessanti, che potrebbero offrire spunti preziosi anche per l’Italia stessa. Del resto, per parafrasare un celebre adagio, Paese che vai, welfare aziendale che trovi. Come detto, negli ultimi anni, quell’insieme di iniziative che permettono di vivere in modo diverso e possiamo affermare “più evoluto” il rapporto tra datore di lavoro e dipendente, ha vissuto un forte sviluppo, diffondendosi tuttavia in modo diverso nei vari Stati del Vecchio Continente o extra-europei. Il motivo? Un mix di diverse variabili: a giocare un ruolo cruciale, infatti, non è soltanto la mentalità dell’impresa (che può essere più o meno propensa a mettere a disposizione del proprio dipendente determinati strumenti di flessibilità), ma anche il tessuto sociale e culturale in cui si colloca l’impresa stessa, il sistema di welfare pubblico già presente nel Paese e, non ultime, le politiche pubbliche adottate per potenziare lo sviluppo del welfare aziendale.
Quest’ultimo, come ha più volte rimarcato Assidai, rappresenta ormai un fattore cruciale nelle scelte lavorative e “di carriera” dei manager, sempre più attenti alle misure che possono favorire una migliore flessibilità nella gestione del rapporto tra lavoro e vita privata, cioè il cosiddetto “work life balance”. In tale contesto, l’assistenza sanitaria integrativa si conferma essere uno dei benefit maggiormente richiesti.
Una prima distinzione: il welfare nelle “due Europe”
Prima di analizzare il welfare aziendale nel mondo è necessario tuttavia effettuare una distinzione fondamentale che fa emergere due modelli in Europa. Il primo è quello dei Paesi scadinavi, noti per l’elevatissimo grado di servizi pubblici offerti ai propri cittadini e dunque caratterizzati da un welfare a bassa incidenza. L’altro modello è quello del welfare ad alta incidenza: stiamo parlando dell’Europa mediterranea e della Francia, dove le aziende hanno ancora margini di sviluppo significativi per soddisfare la crescente domanda dei dipendenti per un’ampia gamma di servizi tra cui assistenza sanitaria (la più richiesta), formazione e sostegno alle famiglie. Logico dunque che in Europa abbiano preso piede diversi profili di offerta di welfare aziendale “declinati” in base alle esigenze dei cittadini.
In Scandinavia sono diffusi soprattutto servizi residenziali e domiciliari; altri Paesi (come la Francia) vedono una situazione “mista” che mette a disposizione agevolazioni per l’acquisto di prestazioni in famiglia, attraverso voucher e dispositivi di solvibilità della domanda. La terza strada, invece, è quella di Spagna e Italia, che presentano una quota di offerta in servizi residenziali e domiciliari più bassa e, per contro, una più ampia quota di prestazioni acquisite dalla famiglia, senza tuttavia godere dell’ampio mix di dispositivi di solvibilità che caratterizza altri Paesi.
I vari casi di welfare aziendale in Europa e nel mondo
Ora possiamo finalmente analizzare qualche Paese nel dettaglio.
Partiamo dall’Olanda, in cui spicca un mezzo innovativo e sconosciuto in Italia: si tratta del fondo LCSS, uno strumento flessibile che permette a un dipendente di accantonare parte della retribuzione per utilizzarla durante i congedi e le aspettative non retribuite. Nel caso il dipendente stesso non trovi l’occasione per utilizzare questa somma accumulata nel tempo, al momento del pensionamento le somme vengono versate a un fondo pensione complementare.
In Francia, invece, sono stati messi a punto tre strumenti: Cet, Cesu e Ocirp. Il primo è un conto-ore che permette al dipendente di scegliere (in cambio di lavoro straordinario o ferie non godute) tra sospensione del lavoro con retribuzione o liquidazione di un’indennità. Il Cesu è un voucher dal valore predefinito, spendibile per servizi alla persona e al suo nucleo familiare, cofinanziato dal datore di lavoro. Col Cesu, di cui hanno usufruito oltre 8 milioni di famiglie (con un riflesso positivo sui consumi) si possono pagare servizi per l’infanzia, la gestione della casa e la cura di persone non autosufficienti. Infine, c’è l’Ocirp, un sistema di welfare bilaterale che oltre al sostegno al reddito, è dedicato alla formazione professionale. Da cosa dipende la fruibilità di questo servizio? Essenzialmente dalla contrattazione: può prevedere l’assistenza sanitaria, congedi parentali, invalidità e formazione.
La Gran Bretagna è un Paese noto per un welfare pubblico di stampo liberale ma, nel corso degli anni, lo Stato ha comunque messo a punto innovative politiche per la conciliazione tra lavoro e famiglia insieme con un sistema di incentivazione del welfare aziendale in servizi come asili e servizi per l’infanzia: in questo caso lo Stato eroga un’agevolazione monetaria pari al 20% dei costi sostenuti. Logico che tutto ciò abbia spinto molte aziende d’Oltremanica ad offrire ai propri dipendenti un’ampia gamma di dispositivi di supporto per la flessibilità del lavoro, per i congedi parentali e in generale per la famiglia.
Infine, uno sguardo fuori dal Vecchio Continente, per esempio negli Stati Uniti, dove è dell’anno scorso l’iniziativa congiunta di tre big come la banca d’affari JP Morgan, Amazon e la Berkshire Hathaway di Warren Buffett, che hanno creato una società indipendente dove i dipendenti possono fruire di cure mediche a prezzi calmierati. Del resto, gli Stati Uniti sono noti per il fatto che la copertura sanitaria pubblica è limitata e qualsiasi cura (anche di semplice pronto soccorso) può costare una fortuna: ecco perché la mossa di questi gruppi è il perfetto esempio di come il welfare aziendale possa rappresentare una soluzione win-win per i dipendenti, per le aziende e per lo Stato, laddove quest’ultimo non abbia i fondi necessari per fare fronte alla spesa pubblica in determinati settori come la sanità.