In Italia la spesa pubblica annua per protezione sociale ammonta a 478 miliardi di euro oltre a 70 miliardi di spesa privata delle famiglie tra sanità, formazione dei figli e servizi di Long Term Care (LTC) ovverosia per la non autosufficienza. La spesa sanitaria, invece, nel 2016 ha raggiunto quota 150 miliardi, di cui tre quarti in forma pubblica e il restante 25% in forma privata. E proprio quest’ultima componente, pari a circa 37,21 miliardi (circa il 2,2% del Prodotto intero lordo), è stata per il 90,9% “out of pocket”, ovvero sostenuta direttamente dalle famiglie, senza alcuna forma di intermediazione. I temi che vengono affrontati dal “Terzo Rapporto sul secondo welfare in Italia 2017”, a cura di Percorsi di Secondo Welfare e Centro di ricerca e documentazione Luigi Einaudi, sono variegati e toccano variabili importanti per il contesto sociale, economico e demografico in cui viviamo: ne esce un analisi di spessore, che traccia un percorso da seguire nei prossimi anni per preservare l’equilibrio e i valori del Servizio Sanitario Nazionale, anche nella sua interazione con la sanità integrativa.
Lo studio sottolinea come l’allungamento della vita media porta con sé un inevitabile aumento di costi sanitari e sociali che possono mettere a rischio il benessere delle famiglie italiane. A dimostrarlo c’è l’aumento della spesa media pro capite, che – dati Istat – sempre nel 2016 si è attestata a 2.446 euro, con un aumento dello 0,7% rispetto al 2012. Purtroppo, invece, i numeri dicono che sul fronte delle forme sanitarie alternative, in Italia, siamo ancora indietro rispetto ad altri Paesi europei: esse “intermediano” soltanto il 9,1% della spesa privata (in questa percentuale sono comprese fondi sanitari integrativi come Assidai, assicurazioni e società di mutuo soccorso) contro il 67% della Francia, il 44% della Germania e il 41% della Gran Bretagna.
La Long Term Care (LTC) e il confronto con l’Europa
Un altro nodo importante evidenziato dal rapporto riguarda la non autosufficienza e più in particolare la spesa per l’assistenza sanitaria a lungo termine, che nel 2016 in Italia ha raggiunto 15,06 miliardi (+0,8%), incidendo per il 10,1% sul totale della spesa sanitaria. Anche in questo caso la “copertura integrativa” è bassa rispetto agli altri partner europei: secondo alcuni dati del Ministero della Salute solo 370mila persone over 65 (su circa 3 milioni di persone che hanno tale bisogno) godono dell’assistenza sanitaria domiciliare per la cura a lungo termine. Stiamo parlando del 2,7% degli ultrasessantacinquenni italiani contro il 20% degli anziani assistiti in casa in alcuni Paesi del Nord Europa come Danimarca, Svezia e Norvegia. Senza contare la difformità sul territorio nazionale di prestazioni, ore dedicate a ciascun assistito e costo pro capite dei servizi.
Integrazione tra sanità pubblica e privata
Alla luce di questi numeri e di questi confronti, la conclusione del Rapporto è chiara: “è sempre più urgente ripensare a un sistema di integrazione pubblico-privato che garantisca la sostenibilità delle cure, in cui il pubblico mantenga la sua centralità ma vengano ampliati gli interventi delle forme sanitarie integrative”. Percorso che anche Assidai ha presentato in vari momenti istituzionali. In altre parole, è necessario un grande mutamento di prospettiva e una presa di posizione da parte dello Stato nella promozione di un’assistenza integrativa e non sostitutiva rispetto al sistema pubblico che ne condivida la missione di tipo solidaristico. Per fare ciò, in Italia, “bisogna tracciare una chiara linea di demarcazione fra l’intervento pubblico e quello privato e dare una specifica mission affidata alle forme sanitarie integrative di tipo mutualistico e assicurativo”.
La crescita del welfare aziendale
Il welfare aziendale, sempre più diffuso nelle aziende italiane, può essere un mezzo importante per raggiungere questi obiettivi, argomenta anche il Rapporto. A dimostrarlo c’è il fatto che la contrattazione collettiva ha ritenuto necessario agire a favore di sanità integrativa e previdenza complementare: due esigenze che non sono comunque dei soli lavoratori ma dell’intera popolazione. Per questo, è necessario pensare “a un cambiamento che porti dal welfare contrattuale a un sistema integrato a protezione dell’intero ciclo di vita delle persone, anche attraverso l’estensione delle coperture al nucleo familiare”, cosa – quest’ultima – che Assidai ha fatto molti anni fa in modo pionieristico rispetto ad altri fondi e assicurazioni.
Proprio a proposito di welfare aziendale, dal Rapporto emergono dati interessanti sul settore metalmeccanico ovvero il primo a prevedere nel contratto nazionale l’introduzione obbligatoria di un piano di beni e servizi per tutte le imprese del settore, che metteranno a disposizione del lavoratore 100 euro (nel 2017), 150 nel 2018 e 200 nel 2019. In Emilia Romagna, invece, il 56,1% delle imprese con meno di 350 dipendenti adotta una o più misure di welfare e si sale all’82% per le aziende con più di 10 milioni di fatturato. La prestazione più diffusa? La sanità integrativa con il 63%, quasi il doppio rispetto alla seconda classificata “conciliazione vita-lavoro” con il 33%.