Universalità, uguaglianza ed equità. Sono questi principi cardine del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) italiano, che proprio l’anno scorso ha compiuto 40 anni e, ancora oggi, spicca in Europa e nel mondo per la sua caratteristica di universalità. Del resto, esso si basa sull’articolo 32 della Costituzione, che è stata la prima nel Vecchio Continente a mettere nero su bianco il diritto alla salute e all’articolo citato recita:
“la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
Piuttosto, nell’ultimo decennio il Servizio Sanitario Nazionale ha inevitabilmente sofferto, a livello di investimenti, a causa di due fattori difficilmente modificabili, quanto meno nel breve periodo: il graduale invecchiamento della popolazione, che porta un aumento delle cronicità e dunque della spesa pubblica, e le crescenti ristrettezze di bilancio a livello di Stato centrale.
Al tempo stesso, tuttavia, va sottolineato che è compito delle Regioni far fruttare a meglio il budget messo a disposizione proprio dallo Stato. È la stessa Costituzione, infatti, a stabilire una complessa distribuzione di competenze in tema di salute in base al cosiddetto principio di sussidiarietà. Da un lato, alla legislazione statale spetta la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; d’altro lato la tutela della salute rientra nella competenza concorrente affidata alle Regioni, che possono legiferare in materia nel rispetto dei principi fondamentali posti dalla legislazione statale nonché dei livelli essenziali come individuati da quest’ultima. Più nello specifico le Regioni hanno la responsabilità diretta della realizzazione del governo e della spesa per il raggiungimento degli obiettivi di salute del Paese, nonché la competenza esclusiva nella regolamentazione ed organizzazione di servizi e di attività destinate alla tutela della salute e dei criteri di finanziamento delle Asl e degli ospedali.
Negli ultimi mesi, in ogni caso, anche a fronte dell’emergenza sanitaria causata dal virus Covid-19 (Coronavirus), si è compreso strategicamente quanto sia rilevante per il nostro Paese un decisivo cambio di marcia e sono stati stabiliti nuovi investimenti: nel solo 2020 sono stati investiti 6,845 miliardi di euro in più, un incremento superiore alla somma degli aumenti dei cinque anni precedenti. E nei prossimi mesi un’ulteriore spinta potrebbe arrivare anche dai fondi del Recovery Fund (750 miliardi a livello europeo, di cui oltre 200 destinati all’Italia), di cui una fetta significativa potrebbe essere indirizzata proprio sulla sanità, come ha ricordato lo stesso Ministro della Salute Roberto Speranza.
Spesa sanitaria corrente: Italia sotto la media UE
Un recente rapporto di Eurostat è utile per capire il contesto internazionale. Per quanto riguarda la spesa sanitaria corrente, la Francia spicca con una percentuale pari all’ 11,5% in rapporto al prodotto interno lordo. A seguire ci sono Germania con l’11,1% e Svezia con l’11%. In coda alla classifica, invece, ben 12 Stati membri sono sotto il 7,5% con la Romania fanalino di coda che registra il rapporto più basso pari al 5%. L’Italia si posiziona all’8,9% a fronte di una media UE pari al 9,9% del Prodotto Interno Lordo (PIL). Inoltre, nell’Unione Europea a 28 Paesi, i Governi hanno finanziato in media il 36,7% delle spese sanitarie mentre i regimi obbligatori di assicurazione sanitaria contributiva e i conti di risparmio medico sono arrivati al 42,7%. Proprio nei finanziamenti pubblici il nostro Paese spicca con il 74,4%: ci precedono soltanto i “giganti” del welfare scandinavi come la Danimarca (84,1%), la Svezia (83,4%) e la Norvegia (74,3%), oltre alla Gran Bretagna (79,4%). Il rovescio della medaglia nel nostro Paese? La spesa “out of pocket”, cioè quella privata, che in Italia raggiunge il 22% contro il 15,7% della media UE a 28 (esclusa Malta) mentre la Francia si attesa al 9,8% e la Germania si attesta al 12,7% (la Spagna invece fa peggio con il 23,8%).
Dove saranno destinatigli investimenti del SSN
Di fronte a questi dati è evidente l’importanza dell’incremento degli investimenti approvato quest’anno. Tra i 2 miliardi legati al Fondo Sanitario 2020 (fondo di 2 miliardi che la Legge di Bilancio dell’anno scorso ha destinato alla sanità a valere sul 2020), i 185 milioni per l’abolizione del superticket, i 1,41 miliardi del decreto di marzo e soprattutto i 3,25 miliardi del “Decreto Rilancia Italia” si sfiorano i 7 miliardi. Giusto per dare un’idea, negli anni precedenti si era arrivati al massimo a 1,575 miliardi (nel 2017) e nel 2015 gli investimenti erano addirittura calati. “Rilancio Italia” è stato indubbiamente il provvedimento più significativo e più completo visto che ha messo in campo una cifra rilevante ed è arrivato a valle del lockdown con il Governo che ha deciso per un ulteriore aumento delle risorse a favore della sanità pubblica, anche in vista di ulteriori ed eventuali emergenze.
I suoi fondi sono stati destinati infatti a rafforzare la rete territoriale, puntando su infermieri e servizi domiciliari alle persone fragili, facendo passare l’Italia – proprio in quest’ultimo settore – dal 4% della platea di assistiti al 6,7%, cioè lo 0,7% in più della media OCSE. Verrà potenziata anche la rete ospedaliera (in particolare sul fronte della terapia intensiva), si punterà su nuove assunzioni, su incentivi a medici, infermieri e a tutto il personale sanitario, oltre che su ulteriori borse di studio. La perfetta sintesi dello spirito del Decreto è nelle parole del Ministro della Salute Roberto Speranza: “Il Servizio Sanitario Nazionale è una pietra preziosa e investire su questa pietra preziosa serve a rendere il nostro Paese più forte”.
Il futuro della sanità pubblica e dell’assistenza sanitaria
Proprio alla luce di questi ulteriori investimenti, che testimoniano la volontà di puntare ulteriormente su un Servizio Sanitario Nazionale equo, universalistico ma anche di qualità, non bisogna perdere di vista le criticità legate alla gestione futura della sanità pubblica e le sfide che dovrà affrontare, a partire dall’invecchiamento della popolazione e dall’inevitabile aumento delle cronicità. Uno strumento a nostra disposizione è sicuramente quella della prevenzione ma, allo stesso tempo, anche il supporto in termini di complementarità, offerto da fondi come Assidai, può rappresentare un valido strumento per evitare ai cittadini eventuali difficoltà finanziarie qualora costretti a ricorrere a prestazioni non coperte dal Servizio Sanitario Nazionale.
Ricordiamo che Assidai è un Fondo di assistenza sanitaria integrativa che ha natura giuridica di ente non profit. Nato su iniziativa di Federmanager, è attivo da 30 anni e offre i propri servizi a manager, quadri e alte professionalità. Oggi conta una base di oltre 120.000 persone assistite ed è punto di riferimento per più di 1.500 aziende che hanno scelto di sottoscrivere un Piano Sanitario Assidai. L’assenza di selezione del rischio e l’impossibilità di recesso dall’iscrizione da parte del Fondo, garantiscono la tutela degli aderenti durante l’intero arco della loro vita. Assidai ha certificato il proprio sistema di gestione secondo la norma UNI EN ISO 9001:2015, è iscritto all’Anagrafe dei fondi sanitari presso il Ministero della Salute, certifica annualmente su base volontaria il proprio bilancio e si è dotato di un Codice Etico e di Comportamento.