In Europa aumentano le disuguaglianze nella sanità, ma l’Italia si conferma tra i primi Paesi al mondo come livello di copertura sanitaria universale. È questo quanto emerge da due studi, pubblicati recentemente dall’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità: documenti estremamente approfonditi, che a loro volta offrono un quadro completo a livello europeo e globale dell’evoluzione dei sistemi sanitari sempre con l’obiettivo, fissato dalla stessa OMS, di raggiungere la copertura universale per tutti i cittadini del pianeta nel 2030.
E se l’analisi aggregata sul Vecchio Continente rivela come molti dei fattori critici che guidano le disuguaglianze sanitarie non vengono affrontati con le strategie giuste, l’Italia ottiene un punteggio elevato nella speciale classifica stilata dall’OMS per la copertura sanitaria offerta alla popolazione, un dato che ribadisce ancora una volta le caratteristiche uniche del nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN). L’universalità e l’equità della sanità pubblica italiana rappresentano ancora oggi un modello per molti partner europei e mondiali, anche se queste caratteristiche, per essere preservate nel tempo, necessitano di un supporto che aiuti a fronteggiare le sfide imposte dal graduale invecchiamento della popolazione e dalla costante crescita delle spese sanitarie out of pocket, a sua volta determinate dalla obbligata razionalizzazione del budget del SSN.
È questa anche la posizione di Assidai, che più volte ha rimarcato come sia necessario per i Fondi di Assistenza Sanitaria Integrativa porsi in un’ottica di complementarietà e di supporto al Servizio Sanitario Nazionale, punto di riferimento primario per ogni cittadino italiano.
Reddito e disparità sanitarie
Tornando agli studi dell’OMS, per quanto riguarda l’Europa si sottolinea come il 29% delle disuguaglianze sanitarie derivano da condizioni di vita precarie e che il 53% dei Paesi della Regione ha disinvestito in alloggi e servizi alla comunità negli ultimi 15 anni. In particolare, secondo lo studio “Healthy, prosperous lives for all” sono cinque i fattori di rischio che impediscono a giovani, donne, bambini e uomini di raggiungere una buona salute e, più in generale, di condurre una vita sicura e dignitosa.
Innanzitutto, l’elemento più “pesante” – secondo l’OMS conta per il 35% – è rappresentato dalla sicurezza del reddito e dalla protezione sociale, che evidentemente incidono in modo determinante sulla scelta delle cure quando non c’è un Servizio Sanitario Nazionale che le garantisce in modo gratuito. In seconda posizione si collocano le condizioni di vita (29%), che comprendono per esempio l’indisponibilità di una casa dignitosa o addirittura la mancanza di materia prima per riscaldarla o cucinare un pasto. In terza posizione figura un’altra categoria chiave: il capitale sociale e umano (col 19%), un ampio insieme in cui rientrano la mancanza di partecipazione all’istruzione e di apprendimento permanente. Infine, ci sono l’accesso e qualità dell’assistenza sanitaria (10%) e le condizioni precarie di impiego e di lavoro (7%).
Disuguaglianze sanitarie e sociali
È altrettanto interessante scorrere alcuni numeri, forniti sempre dal rapporto OMS, che danno il perfetto termometro delle disuguaglianze sanitarie a livello europeo.
In 45 Paesi su 48, le donne con il minor numero di anni di istruzione riportano tassi più alti di salute scarsa rispetto alle donne con il maggior numero di anni di istruzione e lo stesso avviene per gli uomini in 47 Stati su 48. Ancora: quasi il doppio delle donne e degli uomini della fascia meno ricca della popolazione soffre molto di più, rispetto agli individui con redditi elevati, di malattie che limitano la libertà di svolgere attività quotidiane.
Senza contare che le lacune sanitarie tra i gruppi socioeconomici aumentano con l’invecchiamento della popolazione: il 6% in più di ragazze e il 5% in più di ragazzi segnalano cattive condizioni di salute nelle famiglie meno abbienti rispetto a quelle più ricche. Un gap che sale al 19% in più di donne e al 17% in più di uomini in età lavorativa e raggiunge picchi del 22% quando si superano i 65 anni.
Infine, ed è questo forse il dato più significativo, mentre l’aspettativa di vita media in tutta la regione è aumentata a 82 anni per le donne e 76,2 anni per gli uomini, lo stesso dato per i gruppi più svantaggiati cala rispettivamente fino a 7 anni e fino a 15 anni.
Copertura sanitaria universale: Italia quasi al top
Di recente, l’OMS ha pubblicato anche un altro rapporto molto interessante e dettagliato: il “Primary Health Care on the Road to Universal Health Coverage 2019 Global monitoring report” che documenta i progressi raggiunti a livello globale nell’accesso della popolazione ai servizi sanitari. Il verdetto? Il trend è positivo: l’accesso ai servizi sanitari di base è migliorato in tutte le Regioni e per tutte le fasce di reddito (in particolare nei Paesi più poveri) ma il ritmo a cui si avanza sta rallentando e sempre più persone sono costrette ad affrontare importanti difficoltà finanziarie per poter pagare i servizi sanitari essenziali. In ogni caso, si aggiunge, negli Stati che investono maggiormente nella salute le persone risultano protette in modo più adeguato.
E l’Italia? L’OMS ha messo a punto un super-indice sulla copertura sanitaria, che valuta quattro macroaree: maternità e infanzia, malattie infettive, patologie non trasmissibili e accesso ai servizi. Da essi emerge che il nostro Paese, con un punteggio di 82 punti, è uno dei migliori al mondo, leggermente dietro gli Stati nordici e la Germania (arrivata a 83 punti), ma per esempio davanti alla Francia, che si attesta a 78 punti. Il distacco dai leader di questa speciale classifica, Gran Bretagna e Nuova Zelanda (entrambi con 87 punti), è inoltre abbastanza risicato a riprova dell’equità e dell’universalità del nostro Servizio Sanitario Nazionale. Due qualità cruciali, troppo importanti da preservare nel futuro prossimo quando l’invecchiamento della popolazione e le crescenti ristrettezze di bilancio a livello centrale richiederanno un supporto privato al pilastro sanitario pubblico.