Un nuovo algoritmo che consente di prevedere il rischio individuale di metastasi per le donne con tumore al seno e, di conseguenza, permetterà di evitare il sovra-trattamento o il sotto-trattamento nelle terapie dopo il trattamento chirurgico. La scoperta, potenzialmente una vera e propria svolta per combattere il carcinoma più diffuso del genere femminile, è stata annunciata nelle scorse settimane e ottenuta nell’ambito del Programma di Novel Diagnostics dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano con il sostegno della Fondazione AIRC. Che cosa permette questa rilevante novità? Di fatto potrebbe portare a indicare una vera e propria cura su misura per le donne con tumore al seno: il modello creato dell’IEO, secondo i ricercatori, potrebbe diventare una guida per gli oncologi al fine di orientare le scelte terapeutiche paziente per paziente. Esso si basa sulla combinazione del predittore genomico, ovvero un gruppo di geni che forma una “firma molecolare”, con due parametri clinici: lo stato dei linfonodi e la dimensione del tumore.
I numeri della ricerca dello IEO
I risultati dei primi test sono stati decisamente confortanti, per non dire eccellenti: testato su oltre 1.800 pazienti selezionate dallo IEO, il modello matematico ha dimostrato che la sua capacità di stimare il rischio di recidiva entro 10 anni dalla diagnosi è superiore rispetto ai parametri clinico-patologici comunemente utilizzati. Il biomarcatore StemPrintER – introdotto appunto grazie alla scoperta dello IEO – può considerarsi ad oggi il primo e unico strumento capace di indicare numero e aggressività delle cellule staminali del cancro, che hanno un ruolo cruciale nell’avvio del tumore, nella sua diffusione con metastasi nell’organismo, e sono anche alla base della resistenza alla chemioterapia di ogni tumore del seno. In sostanza, le evidenze dicono che si tratta di un modello duttile e affidabile – sempre secondo i ricercatori – che si applica sia alle pazienti con linfonodi negativi, sia a quelle con pochi linfonodi positivi. Proprio queste ultime sono ovviamente il gruppo con il maggior bisogno di una predizione accurata del rischio di recidiva per evitare il sovra-trattamento con chemioterapie aggressive non indispensabili, senza per questo trascurare il rischio di sviluppare una recidiva a distanza di anni.
I numeri del cancro al seno
Il cancro al seno, come detto, è il tumore più frequente nel genere femminile: colpisce una donna su otto nella propria vita. I numeri più recenti dicono che la sopravvivenza a cinque anni è aumentata: dall’81% all’87% negli ultimi 20 anni con il 2019 come ultimo periodo di riferimento. Tuttavia, questa patologia resta la prima causa di mortalità per tumore nelle donne, è responsabile infatti del 17% di tutti i decessi per causa oncologica del sesso femminile.
Un dato purtroppo ancora rilevante che ci dice come, oltre alla ricerca, un’arma fondamentale per sconfiggere il cancro al seno sia la prevenzione, agendo sia a livello primario (cioè sugli stili di vita, a partire da una corretta alimentazione, eliminando il consumo di alcol o tabacco e praticando sport) sia secondario, cioè svolgendo con regolarità periodici screening che, nel peggiore dei casi, ci consentiranno di scoprire eventuali lesioni con il congruo anticipo.
Il tema della prevenzione, non solo per quanto riguarda il cancro al seno, è sempre stato sostenuto con forza da Assidai. Anche alla luce di statistiche eloquenti: secondo l’AIRC, un ente privato senza fini di lucro nato nel 1965 grazie all’iniziativa di alcuni ricercatori dell’Istituto dei tumori di Milano, fra cui il Professor Umberto Veronesi, se il tumore al seno viene scoperto allo stadio 0 (cioè iniziale), la sopravvivenza a cinque anni nelle donne trattate è del 98%, anche se le ricadute variano tra il 9 e il 30% dei casi, a seconda della terapia effettuata. Se invece i linfonodi sono positivi (ovvero tutti gli stadi tranne lo 0), cioè contengono cellule tumorali, la sopravvivenza a cinque anni è del 75%.
La prevenzione del tumore al seno: gli screening consigliati
La prevenzione secondaria, cioè basata su periodici screening, deve iniziare dai 20 anni. Con un punto fermo: l’autopalpazione, ovvero un esame che ogni donna dovrebbe svolgere autonomamente una volta al mese per individuare anomalie del seno. Tra i possibili campanelli di allarme, la presenza di noduli, secrezioni nei capezzoli o l’ingrossamento dei linfonodi sotto l’ascella. Tutti segnali ovviamente da valutare con una visita senologica, cioè con l’esame clinico completo del seno da parte di un medico specializzato, visita che dopo i 40 anni è consigliabile effettuare ogni anno.
Poi ci sono gli esami diagnostici veri e propri. Ovvero l’ecografia, che permette di studiare a fondo la ghiandola mammaria ed è indicata nelle donne di età compresa tra i 45 e i 50 anni perché molto affidabile nell’individuare lesioni in caso di seno con una ricca componente ghiandolare, ma è meglio associarla ad ogni età alla mammografia. Quest’ultima è invece una radiografia eseguita con il seno compresso tra due lastre per individuare la presenza di formazioni potenzialmente tumorali. In questo caso, il programma di screening, secondo le indicazioni del Ministero della Salute, prevede che venga effettuata ogni due anni dalle donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni.