Il mondo sta cambiando. Non solo in Italia ma in diversi Paesi europei la stagnazione economica, il persistere di una generale condizione di austerità, l’instabilità politica e un sistema pubblico che fatica nel rispondere adeguatamente a rischi e bisogni sociali dei cittadini stanno iniziando a intaccare la struttura del cosiddetto welfare statale. Al contempo, tuttavia, cresce e si rinforza la schiera degli attori privati – sia profit che non profit – che, spesso lavorando insieme attraverso alleanze inedite, intervengono sussidiariamente nelle aree di bisogno lasciate anche parzialmente scoperte dal pubblico: è il mondo del cosiddetto Secondo Welfare.
Ad analizzarlo, in un lungo e approfondito studio diffuso di recente, è stato il “Quarto Rapporto sul secondo welfare in Italia”, documento biennale realizzato da Percorsi di secondo welfare, Laboratorio afferente al Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi di Torino e realizzato in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, che analizza le principali dinamiche sociali in atto in Italia ponendo particolare attenzione a esperienze innovative messe in atto da imprese, parti sociali, enti del Terzo Settore e gruppi di cittadini.
Le difficoltà del welfare statale
Una sintesi perfetta dello spirito dello studio la offre nella sua introduzione Maurizio Ferrera, Scientific Supervisor di Percorsi di secondo welfare e docente dell’Università degli Studi di Milano.
“Almeno per la maggioranza dei cittadini, il primo welfare fornisce ancora tutele nei confronti di alcuni bisogni essenziali, come malattia, infortunio, disabilità, disoccupazione o indigenza estrema. Anche se in forme meno generose di un tempo, i sistemi pensionistici continuano a sussidiare lunghi periodi di inattività a partire da una certa età, che oggi non coincide più necessariamente con la “vecchiaia” biologica. – sottolinea l’esperto – Ma la scarsità di tutele e servizi a fronte delle nuove e sempre più intense vulnerabilità produce inedite diseguaglianze e nuove povertà. Dunque, osserva, “la sfida per il futuro è chiara: occorre orchestrare il secondo welfare, dare un ordine alla nuova costellazione di rischi e opportunità e ricreare su nuove basi il circolo virtuoso fra mercato e welfare”.
È questa, da tempo, la posizione di Assidai, che in varie occasioni, anche istituzionali, ha sottolineato come il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), avendo caratteristiche uniche per equità e qualità rispetto al resto del mondo, può fruire del supporto, in ottica complementare e non sostitutiva, di fondi di assistenza sanitaria integrativa come il nostro Fondo.
La crescita del Secondo Welfare: i numeri
I numeri snocciolati dal rapporto confermano la crescita del Secondo Welfare. A partire, per esempio, dal welfare occupazionale, in cui si collocano quegli interventi privati di protezione sociale ricevuti dagli individui in ragione della loro condizione lavorativa. Stiamo parlando delle varie forme di welfare contrattuale e welfare aziendale con la sempre maggior diffusione dei fondi sanitari integrativi, come Assidai, e previdenziali.
Ad oggi i fondi sanitari integrativi sono 322, contano 10,6 milioni di iscritti e nel 2018 hanno coperto prestazione per circa 2,3 miliardi; i 33 fondi previdenziali negoziali, invece, contano circa 3 milioni di iscritti per un patrimonio complessivo di 51,7 miliardi. Anche il welfare contrattuale ha numeri importanti: tra il 27,2% e il 32% dei Contratti Collettivi Nazionali garantiscono forme di protezione sociale messe in campo dalle imprese per i lavoratori. Non solo, ben il 53% dei contratti che prevedono premi di risultato permettono la conversione in welfare aziendale.
Ricordiamo per esempio che nel nuovo CCNL dei Dirigenti Industriali sono stati migliorai tutti gli aspetti chiave del rapporto di lavoro con particolare focus sul welfare. Inoltre, per la prima volta, nel contratto stesso è comparso Assidai, in un’ottica di reciproca collaborazione con il Fasi che rafforza il ruolo di entrambi nel panorama della sanità integrativa e contribuisce a salvaguardare il patto intergenerazionale tra dirigenti in servizio e pensionati.
Il primato della sanità nel Secondo Welfare
Ma quali sono gli ambiti maggiormente coperti dal welfare aziendale? Tra le prestazioni più diffuse – anche grazie alla loro vasta presenza nei contratti collettivi di categoria – vi sono l’assistenza sanitaria integrativa (44%) e la previdenza complementare (27%); seguono quelli per l’infanzia e l’istruzione (6%), quelli relativi alla cultura e al tempo libero (5%), gli strumenti di scontistica e il cosiddetto “carrello della spesa” (7%). Sembrano essere marginali invece le forme di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti (3%) e i servizi di trasporto collettivo (2%).
L’attenzione per l’assistenza sanitaria integrativa non stupisce. Al proposito, infatti, il rapporto di Secondo Welfare sottolinea come il peso delle politiche sanitarie in Italia sulla cosiddetta spesa sociale pubblica si sia ridotto nel tempo: dal 26,2% del 2008 al 23,1% del 2016 e 2017. Si osserva anche come il Servizio Sanitario Nazionale, per quanto resti tra i più equi del mondo, sia il comparto che ha subìto gli effetti più negativi delle politiche di austerità adottate a partire dal 2009. Non solo, incrociando le stime fra platea di anziani non autosufficienti con quelle relative all’offerta di servizi disponibili, lo studio conclude che il tasso di copertura pubblica si attesterebbe nel 2016 al 37% per i servizi sociosanitari (residenziali e domiciliari) e al 14,3% per quelli sociali, con livelli di intensità assistenziale nel complesso molto bassi.
Inoltre, c’è anche il tema del trend crescente della spesa sanitaria privata out-of-pocket (cioè a carico diretto dei cittadini), lievitata – nel decennio 2009-2018 – dal 21,7 al 25,8% della spesa sanitaria totale secondo i dati dell’OCSE.
“Una consistente spesa privata out-of-pocket rischia di produrre effetti regressivi sulla distribuzione del reddito e sulle condizioni di salute dei cittadini: in assenza di un soggetto terzo (pubblico o privato) che funga da intermediario fra erogatore e pagatore della spesa sanitaria privata, non si realizza infatti alcuna forma di redistribuzione del rischio, determinando così un aggravio dei costi, soprattutto a carico dei soggetti più svantaggiati dal punto di vista delle condizioni di salute e del reddito disponibile”, conclude lo studio.
L’invecchiamento della popolazione e il ruolo della sanità integrativa
Ecco perché lo sviluppo della sanità integrativa, che può essere “veicolata” attraverso il prezioso strumento del welfare aziendale, non va vissuto come un percorso alternativo alla sanità pubblica, che deve restare e resterà assolutamente centrale in Italia. Piuttosto, il secondo pilastro è il mezzo per preservare la qualità, l’efficienza, l’equità e le risorse del nostro Servizio Sanitario Nazionale, che sarà messo sempre più a dura prova dalle dinamiche demografiche. Nel 2018, fa notare al proposito lo studio di Secondo Welfare, la speranza di vita alla nascita era pari a 85,2 anni per le donne e 80,9 per gli uomini. Si prevede che nel 2050 la quota delle persone con 65 anni o più sul totale della popolazione, attualmente al 22,6%, sfiorerà il 34% e quella degli over 85, oggi intorno al 3,5%, supererà la quota del 7%.