Chiudete gli occhi e pensate a un paziente tipo colpito da un infarto: molto probabilmente immaginate un uomo di mezza età, che fuma, sovrappeso e che ha il diabete. “In realtà questo è solo uno stereotipo: gli attacchi di cuore possono colpire un ampio spettro di persone, compreso ovviamente l’universo femminile”. A dirlo è Chris Gale, professore di medicina cardiovascolare all’Università di Leeds nel North Yorkshire, Regno Unito e coautore di uno studio, pubblicato sul “Journal of the American Heart Association” e realizzato insieme con il prestigioso Karolinska Institutet di Stoccolma. Il risultato del suo lavoro? Una disparità di genere nel trattamento, pre e post infarto, che porta a una mortalità più elevata delle donne rispetto agli uomini. Non solo, ci sono altri studi – realizzati invece negli ultimi anni proprio dall’American Heart Association – che rivelano come, tra le donne stesse, ci sia un problema di consapevolezza delle malattie cardiache: nel senso che persiste un gap tra il rischio percepito e quello reale con una conseguente e mancata prevenzione.
Prevenzione: fattore chiave per la salute
Tutti sanno, ormai, come la prevenzione rappresenti un fattore chiave sia per la salute personale sia per preservare gli equilibri del Sistema Sanitario Nazionale. Anche per questo Assidai è da sempre in prima linea su questo fronte: i responsabili delle risorse umane e i decision maker aziendali, chiamati a valutare l’inserimento nella propria struttura societaria di un Fondo sanitario come benefit per i dipendenti, possono dare la giusta rilevanza alla prevenzione poiché i nostri Piani Sanitari sono “taylor made”, o per dirla in italiano “cuciti su misura”.
Solo a titolo di esempio, i Piani Sanitari per le aziende, dedicati a coloro che non hanno un fondo sanitario primario, prevedono – sia per il capo nucleo sia per il coniuge – alcuni accertamenti diagnostici, a scopo preventivo, che riguardano il sistema cardiocircolatorio. Nel dettaglio il check-up donna (gino-test) prevede un esame mammografico, un pap-test e un esame elettrocardiografico; il check-up uomo (andro-test) annovera invece elettrocardiogramma a riposo e da sforzo, esame radiologico del torace ed esami del sangue. Va infine ricordato che gli specifici esami saranno riconosciuti solo se effettuati in un’unica soluzione e in forma diretta presso le strutture convenzionate Assidai.
Le donne curate in ritardo e con “leggerezza”
Il lavoro condotto sull’asse Leeds-Stoccolma ha esaminato per 10 anni 180.368 pazienti svedesi che avevano avuto un infarto miocardico acuto e ha evidenziato che le donne mostravano una mortalità più elevata rispetto agli uomini (addirittura doppia nel caso di un secondo infarto gravo entro un anno dal primo attacco). Con un particolare da non sottovalutare: la mortalità stessa diventava simile a quella maschile nei gruppi di donne che ricevevano gli stessi trattamenti indicati della linea guida per affrontare d’urgenza l’infarto miocardico acuto.
La teoria è la seguente: le donne vengono curate più tardi e con maggiore leggerezza – tendenzialmente – rispetto ai pazienti uomini, per i quali invece si tende a sospettare subito l’infarto. E i numeri confermano inequivocabilmente questo modus operandi. Già al pronto soccorso, secondo la ricerca, le donne avevano meno probabilità di ricevere gli stessi test diagnostici, portandole ad avere il 50% in più di probabilità di ricevere una diagnosi sbagliata. La “forbice” si allarga ulteriormente in una seconda fase: le donne che hanno subìto un infarto miocardico acuto avevano il 34% di probabilità in meno di ricevere procedure che disostruiscono le arterie bloccate, il 24% di probabilità in meno di godere di terapie per prevenire il secondo infarto e il 16% in meno di probabilità che venga loro prescritto l’acido acetilsalicilico, cruciale per prevenire la formazione di nuovi coaguli di sangue.
Il rischio infarto è poco percepito dalle donne
L’American Heart Association è molto attiva sul fronte delle disparità di genere nel trattamento dell’infarto. In uno studio diffuso l’anno scorso ha sottolineato che quando una donna giovane è colpita da infarto, spesso sottovaluta la situazione, arriva tardi al pronto soccorso e, una volta in ospedale, ha una probabilità doppia di morire rispetto a un uomo della stessa età e con gli stessi sintomi. Non solo: il numero di donne che muoiono ogni anno per patologie cardiovascolari è paragonabile a quello delle donne che muoiono per tumore al seno nella stessa classe di età.
Scarsa prevenzione cardiovascolare per le donne
E qui entra in gioco un altro fattore chiave: la percezione del rischio di malattie cardiache da parte delle donne, che purtroppo è ancora inferiore rispetto a quello “reale” con gravi ripercussioni a livello di mancata prevenzione. In particolare, su un campione di oltre 1.000 donne intervistate in tutta America (uniformemente distribuite tra tutte le classi sociali e le razze), molte di loro hanno dichiarato di essere preoccupate molto più del cancro che delle malattie cardiovascolari, cosa che ha permesso alle campagne di prevenzione oncologiche di funzionare meglio. E ciò nonostante le malattie cardiovascolari siano ormai stabilmente la prima causa di morte per le donne negli Stati Uniti con il 41,3% (più di tutte le forme di cancro messe assieme) con oltre mezzo milione di decessi l’anno. E’ anche vero che, negli ultimi anni, le cose sono comunque migliorate: in un altro studio è emerso che dal 2004 al 2014, la coscienza di essere ipertesi è aumentata dal 65,8% al 67,4% e nelle donne lo stesso valore si è portato dal 53% al 55%. E tutti, o quasi, sanno come controllare la pressione arteriosa sia uno dei fattori più importanti per migliorare la sopravvivenza.