La malnutrizione non è più solo carenza di cibo, ma eccesso del cosiddetto “junk food”, cioè cibo di bassa qualità: il numero di bambini e adolescenti obesi nel mondo è così passato dagli 11 milioni del 1975 ai 124 milioni del 2016, vale a dire un aumento di 11 volte in circa 40 anni. A denunciarlo è un rapporto pubblicato proprio in questi giorni e realizzato da UNICEF, Organizzazione Mondiale della Sanità e Lancet – il suo titolo è “A Future for the World’s Children?” – che più in generale lancia un allarme ancora più forte: il mondo sta fallendo nel fornire ai bambini una vita sana e un clima adatto al loro futuro. L’obesità, peraltro, oltre a essere causa di forte sofferenza per chi ne è affetto, è legata a doppio filo a un altro concetto chiave in ottica prospettica: la sostenibilità e, più in generale, il futuro del pianeta. Un altro recente studio, pubblicato dalla rivista Obesity, sottolinea, infatti, come a livello globale l’obesità contribuisce a un eccesso di 700 mega-tonnellate (una mega tonnellata è un miliardo di chili) di emissioni di anidride carbonica l’anno, pari a circa l’1,6% di tutte le emissioni prodotte dall’uomo.
L’allarme di Lancet: il futuro dei bambini a rischio
Partiamo dall’analisi di Lancet, secondo cui inquinamento, cambiamenti climatici, obesità e strategie aziendali tese solo al raggiungimento del profitto “minacciano da vicino la salute e il futuro di ogni bambino e adolescente nel mondo” e 250 milioni sotto i 5 anni rischiano di non raggiungere il loro potenziale di sviluppo. Secondo Helen Clark, ex premier della Nuova Zelanda e copresidente della Commissione di esperti che ha redatto il rapporto il momento è cruciale: la salute dei bambini e degli adolescenti è migliorata negli ultimi 20 anni, ma i progressi si sono fermati, e sono addirittura destinati a tornare indietro. Il motivo? Circa 250 milioni di bambini sotto i cinque anni nei Paesi a medio e basso reddito rischiano di non raggiungere il loro potenziale di sviluppo. Inoltre, più di 2 miliardi di persone vivono in Paesi in cui lo sviluppo stesso è ostacolato da crisi umanitarie, conflitti, disastri naturali, tutti problemi sempre più legati al cambiamento climatico.
Poi c’è sicuramente il tema dell’obesità e della cattiva alimentazione: in alcuni Stati – sottolineano gli esperti – i bambini vedono fino a 30mila annunci pubblicitari in televisione ogni anno. Una delle responsabilità è legata a comunicazioni “aggressive” che spingono i piccoli da subito verso i cibi somministrati da fast food e incentivano l’uso di bevande zuccherate.
La classifica “sostenibile” di 180 Paesi
Alla luce di questa situazione, lo studio ha lanciato un nuovo indice globale di 180 Paesi, che valuta il benessere dei più piccoli in termine di salute, istruzione e nutrizione, con l’indice della sostenibilità, ovvero una misurazione indicativa delle emissioni di gas serra e i divari di reddito.
In questa speciale classifica l’Italia assicura una qualità di vita relativamente buona ai bambini e agli adolescenti, ma non pensa al loro futuro, visto che scivola nelle retrovie per la sostenibilità. Il nostro Paese si colloca infatti al 26esimo posto per l’indice di sopravvivenza e del benessere dei più piccoli mentre è solo al 134esimo posto per quanto riguarda le emissioni di anidride carbonica pro-capite. I cinque Paesi che assicurano ai bambini le migliori condizioni sono Norvegia, Repubblica coreana, Paesi Bassi, Francia e Irlanda mentre in coda alla classifica ci sono Repubblica Centrafricana, Ciad, Somalia, Niger e Mali. Inoltre, per quanto riguarda le emissioni di anidride carbonica pro-capite, gli Stati Uniti, l’Australia e l’Arabia Saudita sono tra i dieci Paesi con i dati peggiori.
Meno obesità e meno emissioni
Il tema delle emissioni viene collegato in maniera ancora più diretta all’obesità da un altro studio “The Environmental Foodprint of Obesity”, pubblicato su Obesity – l’organo ufficiale di The Obesity Society (TOS) – da esperti dell’Università di Copenaghen, dell’Alabama e dell’ateneo di Auckland in Nuova Zelanda. La loro tesi?
“Le dimensioni corporee medie degli esseri umani sono in aumento e insieme alla crescita della popolazione globale potrebbero ostacolare ulteriormente i tentativi di ridurre le emissioni di gas serra”.
Si sottolinea, infatti, come “tutti gli organismi dipendenti dall’ossigeno sul pianeta producono anidride carbonica a causa dei processi metabolici necessari per sostenere la vita. Quindi, la produzione totale di anidride carbonica di qualsiasi specie è collegata al tasso metabolico medio, alla dimensione corporea media e al numero totale di individui della specie”.
È logico dunque pensare, secondo i ricercatori, che le persone obese producono più anidride carbonica da metabolismo ossidativo rispetto agli individui con peso normale. Inoltre, per mantenere un fisico più pesante è necessario produrre e trasportare più alimenti e bevande per i consumatori e dunque si aumenta il consumo di combustibili fossili. Tradotto in numeri, a livello globale l’obesità contribuisce a un eccesso di 700 mega-tonnellate (una mega tonnellata è un miliardo di chili) di emissioni di CO2 l’anno, pari a circa l’1,6% di tutte le emissioni prodotte dall’uomo. Complessivamente l’obesità è risultata associata a un 20% in più di emissioni di gas serra se confrontata con le emissioni di persone normopeso. Ecco perché, secondo gli autori, questi dati non devono spingere a stigmatizzare le persone sovrappeso (“che soffrono già di atteggiamenti e discriminazioni negative”) ma piuttosto offrire ai Governi nazionali un motivo in più per sviluppare, finanziare e attuare strategie preventive e terapeutiche nella lotta all’obesità: il vantaggio oltre che in termini di salute e di risparmio sui costi sanitari sarebbe infatti anche per l’ambiente.
Obesità, un problema anche per l’Italia
Anche in Italia, il Paese che ha inventato la dieta mediterranea, il tema dell’obesità e degli individui in sovrappeso non è purtroppo da sottovalutare. Anzi, Assidai lo ha sempre evidenziato e descritto con approfondimenti e interviste sul proprio sito e nelle comunicazioni agli iscritti. Stando agli ultimi dati, nel nostro Paese è in sovrappeso oltre una persona su tre (il 36%, con preponderanza dei maschi, che arrivano al 45,5% contro il 26,8% tra le donne), obesa 1 su 10 (10%) e diabetica più di 1 su 20 (il 5,5% per l’esattezza). Una situazione preoccupante, alla quale se ne aggiunge una specifica che riguarda i più piccoli: in Italia la percentuale di bambini e adolescenti obesi è aumentata di quasi tre volte nel 2016 rispetto al 1975.
Lottare contro l’obesità significa anche diffondere una corretta educazione alimentare – è da preferire una dieta mediterranea che privilegia verdure e pesce riducendo al minimo grassi, zuccheri e alcol – ed evitare in tutti i modi la sedentarietà, puntando invece su un’attività fisica, anche moderata, da svolgere più volte a settimana. Tutti temi su cui Assidai ha da tempo preso posizione così come sul fatto che l’obesità possa rappresentare un fattore di rischio per la tenuta del nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Le istituzioni più autorevoli stimano infatti che in Italia l’obesità colpisca 6 milioni di persone (22 milioni di persone nel nostro Paese sono da considerarsi sovrappeso) per un costo annuo stimato in 9 miliardi di euro che gravano sulla sanità pubblica, già provata dai noti trend demografici sfavorevoli. Ecco perché una lotta consapevole all’obesità può aiutare anche il nostro Servizio Sanitario Nazionale a conservare, con il supporto dei fondi sanitari integrativi, le proprie caratteristiche uniche di equità e universalità.
Decade Nutrizione ONU e impegno dell’Italia
Al proposito, va sottolineato, come il nostro Paese – attraverso il Ministero della Salute – ha adottato precisi impegni a livello nazionale e internazionale per raggiungere gli obiettivi ONU e garantire alla popolazione l’accesso a diete sane ed equilibrate. Questo tema è stato presentato da Assidai su un recente numero di Welfare 24, newsletter del Fondo di assistenza sanitaria integrativa realizzata in collaborazione con Il Sole 24 Ore, in un articolo dedicato alla Decade di azione sulla Nutrizione delle Nazioni Unite. L’Italia si è mossa nell’ambito di due documenti chiave “globali” in quanto approvati dalle Nazioni Unite. Stiamo parlando degli obiettivi dell’Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2015, e della risoluzione “United Nations Decade of Action on Nutrition”, più nota come “Decade Nutrizione”. Quest’ultima è stata promossa nel 2016 e ha avviato azioni importanti per porre fine alla fame e alla malnutrizione a livello mondiale, assicurando l’accesso universale a regimi alimentari più sani e sostenibili, per tutte le persone, indistintamente e ovunque esse vivano.
In questo contesto l’Italia si è impegnata con i propri partner a seguire determinate linee d’azione. Tra queste c’è stato il lancio di campagne di promozione dell’allattamento al seno, che costituisce – secondo l’opinione di molti esperti – l’alimentazione migliore e più naturale per neonati e bambini, ma anche l’implementazione di azioni specifiche a tutela delle donne, spesso più vulnerabili alle carenze nutrizionali rispetto agli uomini. Inoltre, sono state avviate iniziative per la prevenzione del sovrappeso e dell’obesità infantili, su cui sono già stati stretti accordi con l’industria del settore alimentare per la riformulazione degli alimenti (soprattutto per i bambini) e il miglioramento delle loro caratteristiche nutrizionali; infine è stato dato il via a programmi di educazione alimentare all’interno delle scuole e delle comunità locali con interventi e studi pilota.