Le malattie croniche o non trasmissibili sono il principale killer mondiale. Cancro, patologie dell’apparato cardiocircolatorio, diabete e malattie respiratorie – secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) – in futuro richiederanno circa il 70-80% delle risorse sanitarie a livello mondiale. Ogni anno, queste patologie uccidono 41 milioni di persone, rappresentando il 71% di tutti i decessi a livello globale (in Europa si arriva all’86%); 15 milioni di morti, peraltro, si verificano tra i 30 e i 70 anni. Per questo l’OMS ha messo a punto un piano di azione per ridurre su scala globale del 30% entro il 2030 l’incidenza delle malattie non trasmissibili. E sempre per questo motivo l’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane – che ha sede a Roma presso l’Università Cattolica – ha realizzato un approfondito studio sull’impatto delle cronicità nel nostro Paese, i cui dati, decisamente interessanti, approfondiremo più avanti.
Del resto, il tema è anche legato alla sostenibilità economica della sanità e dei conti pubblici, visto che in futuro – proprio per la crescente diffusione delle malattie croniche – la spesa sanitaria rischia di crescere in molti Paesi più del PIL. Per interrompere questa dinamica, che assomiglia molto a un corto circuito, è essenziale agire in tre direzioni.
Innanzitutto, far leva sulla prevenzione primaria, cioè l’adozione di stili di vita sani e di tutti gli esami che possano permettere di prevenire l’insorgere delle cronicità in età adulta. Aspetto fondamentale per Assidai, che propone importanti campagne di prevenzione dedicate agli iscritti al fondo sanitario e totalmente gratuite.
In secondo luogo, bisogna mettere a punto nuove strategie e metodi di cura, focalizzandosi su temi che diverranno di sempre maggiore attualità con l’invecchiamento della popolazione: per esempio la non autosufficienza, un fronte su cui invece l’impegno di Assidai è massimo, tanto da avere migliorato per tre volte in cinque anni la copertura per la non autosufficienza – Long Term Care (LTC) -offerta ai propri iscritti manager, quadri e consulenti.
Infine, c’è il ruolo dei fondi sanitari integrativi – come Assidai – che possono giocare un ruolo cruciale in un’ottica di complementarietà e sostegno al Servizio Sanitario Nazionale a maggior ragione nel momento in cui una persona si trova ad affrontare queste malattie.
Italia: più malattie corniche e più spese
In Italia la situazione è in costante evoluzione, purtroppo negativa. A dirlo sono gli ultimi dati dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, secondo il quale le malattie croniche l’anno scorso hanno interessato quasi il 40% della popolazione del nostro Paese, cioè 24 milioni di persone, delle quali 12,5 milioni hanno multi-cronicità. Le prospettive sono ancora più preoccupanti: tra 10 anni, cioè nel 2028, il numero di malati cronici salirà a 25 milioni, mentre i multi-cronici saranno 14 milioni.
La patologia più frequente è l’ipertensione, con quasi 12 milioni di persone affette nel 2028, mentre l’artrosi/artrite interesserà 11 milioni di italiani; per entrambe le patologie ci si attende 1 milione di malati in più rispetto al 2017. Tra 10 anni le persone colpite da osteoporosi, invece, saranno 5,3 milioni (500 mila in più) e quelle colpite da diabete e malattie cardiache rispettivamente 3,6 milioni e 2,7 milioni.
Tutto questo, ovviamente, si riflette anche a livello economico sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale. Attualmente si stima che in Italia si spendano complessivamente circa 66,7 miliardi di euro per curare le cronicità ma stando alle proiezioni effettuati sulla base degli scenari demografici futuri elaborati dall’Istat – l’Italia è destinata a diventare il Paese più vecchio del mondo dopo il Giappone – nel 2028 l’esborso complessivo arriverà a 70,7 miliardi di euro.
Istruzione e area geografica
A dimostrazione che sulle cronicità si può agire e incidere c’è il fatto che, stando ai dati sull’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, sulla loro diffusione pesano il genere, le differenze socio-economiche e culturali e il territorio in cui si nasce o si vive.
Le donne – soprattutto perché mediamente vivono più a lungo – sono le più colpite (il 42,6% a fronte del 37% degli uomini), e quando si guarda alla multicronicità il divario aumenta: il 25% delle donne contro il 17,0% degli uomini. Le persone con il livello di istruzione più basso soffrono inoltre molto più frequentemente di patologie croniche, rispetto al resto della popolazione, con un divario crescente all’aumentare del titolo di studio conseguito. Nel 2017, nella classe di età 45-64 anni (quella in cui insorge la maggior parte della cronicità), le persone con la licenza elementare o nessun titolo di studio con almeno una patologia cronica era pari al 56%, scendeva al 46,1% tra coloro che hanno un diploma e al 41,3% tra quelli che possiedono almeno una laurea.
Infine, il tema geografico: la prevalenza più elevata di almeno una malattia cronica si registra in Liguria con il 45,1% della popolazione mentre in Calabria c’è la quota più elevata di malati di diabete, ipertensione e disturbi nervosi, rispettivamente con 8,2%, 20,9% e 7% della popolazione. Il Molise spicca invece per la prevalenza maggiore di malati di cuore, il 5,6% della popolazione, la Liguria per la significativa presenza di malati di artrosi/artriti, il 22,6%, e la Sardegna per la quota maggiore di malati di osteoporosi, il 10,4%, infine la Basilicata si distingue per la prevalenza più alta di malati di ulcera gastrica o duodenale e bronchite cronica, rispettivamente 4,5% e 7,7%. La zona con la più bassa incidenza di patologie croniche è la Provincia Autonoma di Bolzano.
Tutto ciò a dimostrazione che con la prevenzione, l’educazione a stili di vita corretti e il senso di responsabilità si può frenare anche la diffusione a macchia d’olio delle malattie croniche in Italia migliorando, al contempo, le prospettive di sostenibilità nel lungo termine del Servizio Sanitario Nazionale.