L’invecchiamento della popolazione italiana rischia di essere una “bomba” non solo per il settore sanitario, ma per gli equilibri economici e sociali dell’intero Paese. A lanciare l’allarme, giustificato da numeri eloquenti, è stata la terza edizione degli Stati Generali dell’assistenza a lungo termine, organizzati da Italia Longeva, con la collaborazione, tra gli altri, del Ministero della Salute e dell’Istat: un appuntamento che ha acceso un faro sulla copertura Ltc (Long Term Care), un fronte sul quale Assidai si è sempre mossa in prima linea e su cui invece l’Italia staziona nelle retrovie rispetto ai principali partner europei.
Nel 2030 5 milioni di anziani disabili
Il punto di partenza è una cifra che riassume perfettamente il rischio che grava sul sistema Italia: nei prossimi dieci anni, 8 milioni di anziani avranno almeno una malattia cronica grave, vale a dire ipertensione, diabete, demenza, malattie cardiovascolari e respiratorie. Curarli tutti in ospedale, secondo il Professor Roberto Bernabei, presidente di Italia Longeva, sarebbe come “trasformare Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Bologna e Firenze in grandi reparti a cielo aperto”. Quindi, l’obbligo diventa “dare una risposta efficace alla fragilità e alla non autosufficienza dei nostri anziani, che si accompagnerà anche a una crescente solitudine”. Del resto, la popolazione italiana, in continua crescita negli ultimi 100 anni, oggi diminuisce, e al contempo invecchia, più velocemente: nel 2050 saremo due milioni e mezzo in meno. Al tempo stesso – secondo le stime elaborate dall’Istat per Italia Longeva – gli over65, oggi un quarto della popolazione, diventeranno più di un terzo, vale a dire 20 milioni di persone, di cui oltre 4 milioni avranno più di 85 anni. Ma già nel 2030, secondo le ricerche effettuate, la cosiddetta “bomba dell’invecchiamento” potrebbe esplodere con 5 milioni di anziani potenzialmente disabili, innescando un circolo vizioso se non adeguatamente gestito: l’aumento della vita media causerà l’incremento di condizioni patologiche che richiederanno cure a lungo termine e determineranno un’impennata del numero di persone non autosufficienti, esposte al rischio di solitudine e di emarginazione sociale; crescerà inesorabilmente anche la spesa per la cura e l’assistenza a lungo termine degli anziani e quella previdenziale, mentre diminuirà la forza produttiva del Paese e non ci saranno abbastanza giovani per prendersi cura degli anziani.
Assidai in prima linea sulla LTC – Long Term Care
Sono tutte dinamiche più volte evidenziate da Assidai che, sulla copertura LTC (cioè l’insieme dei servizi socio-sanitari forniti con continuità a persone che necessitano di assistenza permanente a causa di disabilità fisica o psichica) ha spesso giocato d’anticipo. Nel 2015, infatti, aveva impresso una prima svolta estendendo la copertura anche al coniuge o al convivente more uxorio dell’iscritto, mentre l’anno scorso ha introdotto novità molto positive e rilevanti sia per gli iscritti under 65 (allargata la copertura a tutto il nucleo familiare dell’iscritto con aumento del 30% della rendita in caso di presenza di un figlio minore e fino alla sua maggiore età, e raddoppio della rendita in presenza di un figlio già non autosufficiente) sia per gli iscritti over 65 (con il pacchetto garantito arricchito di ulteriori prestazioni).
Italia fanalino di coda UE sulla non autosufficienza
Secondo i più recenti dati Eurostat, l’Italia naviga nelle retrovie a livello europeo per le cure a lungo termine che, nel solo 2016, hanno assorbito 15 miliardi di euro, dei quali ben 3,5 miliardi pagati di tasca propria dalle famiglie. Il nostro Paese riserva alla LTC il 10% della spesa sanitaria, fanalino di coda tra i big europei: Svezia e Olanda guidano la classifica con il 26,3% e il 24,8%, la Germania è al 16,3%, l’Austria sfiora il 15% e la Francia è al 12%. “Nei prossimi 50 anni – ha concluso nel corso degli Stati Generali Tito Boeri, presidente dell’INPS – le generazioni più a rischio di non autosufficienza passeranno da un quinto a un terzo della popolazione. Non è pensabile rispondere a una domanda crescente di assistenza basandosi sul contributo delle famiglie”. È per questo che, oltre al Servizio Sanitario Nazionale, anche la sanità integrativa deve fare la propria parte (ed essere messa nelle condizioni di farlo), per rendere sostenibile la gestione dell’invecchiamento della popolazione a livello sociale, finanziario e “umano”.