Vent’anni fa, per l’esattezza il 16 gennaio 2003, veniva approvata la “Tutela della salute dei non fumatori”, anche nota come “legge Sirchia”, una delle norme più coraggiose a tutela della salute pubblica.
Girolamo Sirchia era l’allora Ministro della Salute, che riuscì a condurre in porto quella che, per diversi anni, era sembrata un’impresa quasi impossibile: affermare il diritto delle persone di non essere esposte al fumo passivo. A ben venti anni di distanza quali sono stati gli effetti di questa svolta sulla salute degli italiani e sul numero di fumatori nel nostro Paese? La risposta è: sicuramente positiva, anche se – in particolare per il secondo aspetto – l’ultimo triennio, segnato dal Covid, ha registrato una preoccupante inversione di rotta.
La nascita della legge Sirchia
Che cosa prevedeva la Legge Sirchia? Innanzitutto va ricordato che tre anni prima, un altro ministro della Salute, il Professor Umberto Veronesi, uno dei più famosi oncologi del nostro Paese, aveva provato a promuovere senza successo un provvedimento simile. La norma del 2003 di Sirchia sarebbe entrata in vigore soltanto il 10 gennaio 2005 e si proponeva di proteggere la salute dei non fumatori in tutti i luoghi chiusi.
Niente più fumo passivo obbligato, quindi, alla macchinetta del caffè in ufficio, al bancone del bar, in pizzeria, sui treni. Oltre al divieto di fumo, dovevano essere affissi cartelli appositi, identificati i responsabili dell’applicazione della norma, previste multe per i fumatori che la violavano e per gli esercenti inadempienti, fissati stretti criteri per le aree fumatori, dove consentite (ventilazione, superfici, collocazione, barriere, segnalazioni).
Contrariamente alle più fosche aspettative, – ricorda un approfondimento sul sito della Fondazione Umberto Veronesi – quando i nuovi limiti entrarono in vigore, nel 2005, la gente non smise di uscire per mangiare, bere e incontrarsi. Ma si adattò e, anzi, accolse la misura con favore. Un’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) sui proprietari di pub e ristoranti rilevò che dopo l’entrata in vigore della legge antifumo solo il 2% aveva registrato proteste da parte dei clienti, favorevoli nel 76% dei casi, e solo l’11% aveva riportato perdite finanziarie significative.
Nel 2005, il 90% degli italiani intervistati si dichiarava a favore dei limiti al fumo nei luoghi chiusi e nel 2006 l’88% riteneva che la norma fosse rispettata senza problemi. Questa tendenza si è rafforzata nel tempo ed è cambiata anche la percezione del fumo nei luoghi privati: nel 2008 il 70% degli italiani dichiarava di non consentire il fumo in casa, in nessuna stanza, nel 2021 la percentuale era salita all’88,6%.
Il calo del numero di fumatori
Ma la domanda chiave che tutti ci poniamo è: avere vietato il fumo nei locali pubblici ha ridotto la percentuale di italiani tabagisti?
In linea generale sì, anche se non nelle fasce più adulte della popolazione. E si è registrato un calo anche nella media di sigarette fumate ogni giorno. Va precisato che i dati differiscono in base alla fonte utilizzata. In questo caso la scelta è di affidarsi ai numeri di Istat, elaborati da Info Data de Il Sole 24 Ore, che partono dal 2001 e arrivano fino al 2021. I dati evidenziamo che all’inizio del secolo il 23,7% degli italiani aveva il vizio del fumo. Una percentuale che, vent’anni più tardi, si è ridotta al 19%. Dato, quest’ultimo, in aumento rispetto al 18,4% riscontrato prima della pandemia, anche se non è chiaro se sia stato il lockdown a contribuire all’aumento.
Altro aspetto interessante è la riduzione della media di sigarette fumate ogni giorno. Nel 2001 il fumatore medio ne accendeva 14,6 ogni giorno, ovvero tre quarti di un pacchetto. Una cifra che due anni fa è scesa a 11, ovvero poco più di metà pacchetto. I trend cambiano se i dati vengono analizzati per fasce di età. Per esempio, tra chi ha un’età compresa fra i 60 e i 75 anni, la percentuale di fumatori è in aumento: dal 15% del 2001 al 20,5% del 2021. Allo stesso modo, nella fascia tra i 65 ed i 74 anni si è passati da un 13,1% di tabagisti al 15,1%.
In calo patologie asmatiche e coronariche
E gli effetti sulle patologie? Qui ci viene in soccorso uno studio della Società italiana di allergologia, asmologia e immunologia clinica che evidenzia un bilancio positivo.
Sono, infatti, diminuiti del 10-15% gli accessi al pronto soccorso e i ricoveri dei pazienti asmatici, anche tra i più piccoli. “I progressi ottenuti negli ultimi 20 anni rappresentano un importante risultato di salute pubblica”, sottolineano gli esperti della società.
Tra i benefici della legge 3/2003, l’Istituto Superiore di Sanità evidenzia anche la riduzione degli eventi coronarici acuti registrata in Italia tra il 2004 e gli anni successivi all’introduzione della legge, “con valori che vanno dal -4% al -13% dei ricoveri per infarto tra le persone in età lavorativa”. In generale – va ricordato – i dati elaborati e comunicati dal Ministero della Salute nel maggio 2022 dicono che in Italia siano attribuibili al fumo oltre 93.000 morti all’anno (il 20,6% del totale di tutte le morti tra gli uomini e il 7,9% del totale di tutte le morti tra le donne) con costi diretti e indiretti pari a oltre 26 miliardi di euro.
Assidai e la prevenzione primaria
Un Fondo di assistenza sanitaria integrativa come Assidai promuove costantemente, sia nel corso degli eventi che sui propri organi di comunicazione, l’importanza di stili di vita corretti e di un’alimentazione appropriata perché il benessere dei manager e delle loro famiglie è al primo posto.
Il tabacco e l’alcol rappresentano fattori di rischio elevati e contribuiscono in modo importante allo sviluppo di molti tumori, oltre che per le patologie cardiocircolatorie. Ridurre, quindi, al minimo il consumo di alcolici, evitare il fumo, seguire un’alimentazione equilibrata e una dieta varia, che comprenda almeno cinque porzioni di frutta e verdura al giorno, ed effettuare attività fisica (o semplice movimento) con regolarità sono i capisaldi della prevenzione primaria, il principale strumento a nostra disposizione per evitare l’insorgenza di malattie croniche.
Ricordiamo che Assidai è presente sul mercato da oltre 30 anni e nasce nel 1990 da un’intuizione di Federmanager come Fondo sanitario integrativo del Fasi. Nel corso degli anni ha esteso il proprio campo d’azione proteggendo anche coloro che sono iscritti ad altri fondi primari diversi dal Fasi e tutelando non solo i manager delle aziende industriali, ma anche quadri e alte professionalità. Tra i vantaggi sottolineiamo il fatto che gli iscritti possono fruire di un’eccellente rete di strutture sanitarie presente in modo capillare su tutto il territorio nazionale.