L’Italia impone lo stop al cibo sintetico, con particolare attenzione alla carne sintetica e a quella cosiddetta “coltivata“.
Con il disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri del 28 marzo, infatti, si è deciso che:
«è vietato agli operatori del settore agroalimentare e a quelli del settore dei mangimi impiegare nella preparazione degli alimenti, bevande e mangimi, vendere, detenere per vendere, importare, produrre per esportare, somministrare oppure distribuire per il consumo alimentare alimenti o mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o da tessuti derivanti da animali vertebrati”.»
Una netta presa di posizione, che prevede anche un quadro sanzionatorio rilevante (multe comprese tra 10mila e 60mila euro, ma che possono arrivare anche a coprire il 10% del fatturato dell’operatore che ha violato il divieto, se superiore a 60mila euro), su un tema quanto meno controverso, visto che alcuni considerano proprio la carne sintetica come un mezzo per abbattere le emissioni di gas serra e fornire al pianeta alimenti proteici a basso costo e ridotto impatto ambientale.
La mossa del Governo
La decisione del Governo era stata anticipata nei giorni scorsi dal Ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, che presentando il provvedimento con cui è stata autorizzata in Italia (a precise condizioni) la messa in vendita delle farine di insetti aveva chiarito come sarebbero state “completamente diverse le regole sul cibo sintetico”.
Infatti, aveva aggiunto il politico, mentre le farine di insetti sono sì prodotti che non fanno parte della nostra cultura alimentare ma restano comunque naturali, gli alimenti iperprocessati non lo sono, né si possono escludere possibili effetti negativi sulla salute umana.
Per questo, mentre per le farine di insetti è bastato fissare regole commerciali (con precise indicazioni in etichetta, scaffali distinti nella grande distribuzione), per il cibo sintetico anche in base a un principio di precauzione l’idea di fondo è quella del divieto di produzione e commercializzazione. Divieto che però – aspetto cruciale – non si potrà estendere anche ai cibi sintetici prodotti in altri Stati che, in virtù del provvedimento appena emesso, dovranno trovare autonomi canali di distribuzione nel nostro paese.
La storia della carne sintetica
Un pochino di storia. Il primo hamburger 2.0 – ricorda un articolo del Sole 24 Ore.com – è stato prodotto dieci anni fa, nel 2013, nel laboratorio di Mark Post, cardiologo e professore di fisiologia vascolare all’Università di Maastricht, con uno sforzo finanziario non da poco: 250mila euro per 150 grammi di macinato. Un prezzo simbolico che include i costi di tutta la ricerca alla base dell’hamburger sintetico, nato da una coltura di cellule staminali bovine, a partire da un frammento estratto con una biopsia indolore dai muscoli del collo di una mucca.
Il Dott. Post stimò allora che in pochi anni i surrogati sintetici sarebbero diventati competitivi come le polpette vendute al supermercato, grazie alle economie di scala. Dopo un decennio, infatti, lo stesso hamburger può stare sul mercato a 4 dollari e gli analisti di Barclays stimano che il giro d’affari della carne sintetica sia destinato a raggiungere i 450 miliardi di dollari nel 2040, ossia il 20% del mercato globale della carne.
Il sistema appena illustrato, portato su scala industriale, sarà in grado di produrre da una sola cellula 10 mila chili di carne. In pratica quelle cellule per diventare hamburger impiegano poche settimane, mentre attraverso la crescita naturale di un bovino occorre un anno e mezzo.
A livello di Paesi, fra i più avanzati in questo ambito spiccano Singapore, città-Stato che importa il 90% del cibo, e Israele. In Italia la realtà pioniera è Bruno Cell: una startup nata nel Centro di Biologia Integrata di Trento, progetto dell’Università insieme alla Provincia Autonoma.
I vantaggi della carne sintetica
Quali sarebbero i vantaggi della carne sintetica? Innanzitutto, di carattere ambientale.
Gli allevamenti sono responsabili del 14,5% dei gas serra, e quelli intensivi sono la causa principale anche della deforestazione. E poi c’è il tema del dispendio idrico, sempre più d’attualità alla luce del recente crollo delle precipitazioni. Per un chilogrammo di carne bovina – sostengono gli esperti – servono in media 11.500 litri d’acqua, mentre per la stessa quantità di carne “coltivata” bastano tra 367 e 521 litri, mentre il consumo di suolo si riduce del 99%. Poi, come evidenziato da un articolo della giornalista Milena Gabbanelli su Corriere.it, ci sono ragioni sanitarie: l’allevamento intensivo è fonte di epidemie (mucca pazza, influenza suina, aviaria), mentre l’uso massiccio di antibiotici a scopo preventivo contribuisce a provocare l’antibiotico-resistenza negli esseri umani.
Infine, le ragioni etiche: ogni anno sono allevati 60 miliardi di animali, la maggior parte prima di finire al macello vive in condizioni di tortura per ottenere massima produttività. Il tutto può essere riassunto con una frase pronunciata da Winston Churchill nel lontano 1931: “Tra cinquant’anni la smetteremo con l’assurdità di allevare un pollo intero per mangiarne solo il petto o le ali. Faremo crescere queste parti separatamente, con l’aiuto di mezzi adatti”.
Sicurezza alimentare
Altra domanda cruciale: dal punto di vista della sicurezza alimentare, il consumo di carne coltivata rappresenta un rischio per la salute umana?
La risposta è negativa secondo un articolo di approfondimento della Fondazione Umberto Veronesi. In Unione Europea la carne coltivata è considerata un “novel food” e quindi deve sottostare a stretti controlli e normative che regolamentano l’introduzione di questi alimenti sul nostro mercato, si spiega, come avviene anche per i prodotti che contengono insetti.
In Italia risulta già obbligatorio per legge riportare gli ingredienti e la provenienza degli alimenti in etichetta; pertanto, la carne coltivata potrà essere consumata da tutti coloro che liberamente e in modo informato decidono di acquistarla.
«Qualora l’Autorità Europea sulla Sicurezza Alimentare (EFSA) dovesse approvare la sicurezza della carne coltivata, questa potrà entrare nel mercato europeo e potrà essere acquistata – aggiunge la Fondazione Veronesi – Il disegno di legge emanato dall’attuale governo dovrà pertanto sottostare alla decisione dell’Unione Europea, mettendo la popolazione italiana nella condizione di poter acquistare questa carne coltivata purché non abbia provenienza italiana.
Mettendo da parte questo concetto, uno degli aspetti che mette in dubbio la sicurezza di questo prodotto è la modalità con cui è realizzato. Ancora una volta ci si trova davanti a un tema molto polarizzante: naturale verso “sintetico” (anche se in realtà questo termine non è corretto perché la carne coltivata è prodotta in laboratorio a partire da cellule animali)”.»
Una cosa è certa: al di là della provenienza della carne, l’elemento fondamentale alla base della nostra dieta deve essere la varietà, con una forte predilezione per frutta e verdura. Come spesso ricordato da Assidai, Fondo di assistenza sanitaria integrativa di emanazione Federmanager, nelle proprie informative agli iscritti e nell’attività di divulgazione quotidiana sui mezzi di comunicazione, un’alimentazione equilibrata – insieme con l’adozione di stili di vita sani – rappresenta uno dei pilastri della cosiddetta prevenzione primaria, principale strumento a nostra disposizione per evitare l’insorgere delle malattie croniche.
La posizione di Coldiretti
Infine, sul tema della carne sintetica, va registrata anche la posizione di Coldiretti, che ha promosso il disegno di legge del Governo, poiché risponde – ha commentato il Presidente Ettore Prandini – alle richieste di mezzo milione di italiani che hanno firmato la petizione che abbiamo promosso per salvare il Made in Italy a tavola dall’attacco delle multinazionali.
Secondo Coldiretti si tratta di una
«pericolosa deriva che mette a rischio il futuro della cultura alimentare nazionale, delle campagne e dei pascoli e dell’intera filiera del cibo Made in Italy e la stessa democrazia economica”. […] Le bugie sul cibo in provetta confermano che c’è una precisa strategia delle multinazionali che, con abili operazioni di marketing, puntano a modificare stili alimentari naturali fondati sulla qualità e la tradizione.
La verità è che non si tratta di carne ma di un prodotto sintetico e ingegnerizzato, che non salva l’ambiente perché consuma più acqua ed energia di molti allevamenti tradizionali, non aiuta la salute perché non c’è garanzia che i prodotti chimici usati siano sicuri per il consumo alimentare e, inoltre, non è accessibile a tutti poiché è nelle mani di grandi multinazionali»,
ha concluso Prandini.