Lo scorso 31 maggio è stata celebrata la Giornata Mondiale senza tabacco: un’occasione importante finalizzata a sensibilizzare l’opinione pubblica sugli effetti nocivi e mortali del fumo e a scoraggiare l’uso del tabacco in qualsiasi forma, essendo quest’ultimo responsabile – secondo gli studi più aggiornati – del 25% di tutti i decessi per cancro a livello globale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità nel mondo e il Ministero della Sanità e l’Istituto Superiore di Sanità in Italia sono sempre stati in prima fila nella battaglia contro il fumo visto che la nicotina e i prodotti del tabacco aumentano in modo significativo anche il rischio di malattie cardiovascolari e polmonari.
Siamo nel campo della prevenzione primaria, cioè tutta quella serie di comportamenti corretti e salutari (che comprendono anche, per esempio, un’alimentazione equilibrata e uno stile di vita attivo), finalizzati a evitare l’insorgere delle malattie croniche, principali killer a livello mondiale e responsabili di almeno il 70% dei decessi nei Paesi occidentali.
OMS e Ministero della Salute: i costi del fumo
I numeri, del resto, parlano chiaro. Secondo l’OMS il tabacco uccide più di 7 milioni di persone ogni anno: oltre 6 milioni sono il risultato del consumo diretto di tabacco, mentre circa 890.000 derivano dal fumo passivo per i non fumatori. Ciò tenendo presente anche un altro dato chiave: circa l’80% degli 1,1 miliardi di fumatori del mondo vive in Paesi a basso e medio reddito.
Ancora: il fumo di tabacco è la causa principale del cancro del polmone, seconda causa di morte a livello globale dopo le patologie cardiocircolatorie. Non è un caso, infatti, che dopo 10 anni di abbandono delle sigarette, il rischio di cancro ai polmoni scenda a circa la metà di quello di un fumatore.
Ma il fumo di tabacco è anche la principale causa di broncopneumopatia cronica ostruttiva, una condizione in cui l’accumulo di muco e pus nei polmoni si traduce in una tosse dolorosa e in difficoltà di respirazione, e aggrava l’asma.
Ha effetti sui neonati: i bambini piccoli esposti al fumo passivo sono a rischio di esordio ed esacerbazione di asma, polmonite e bronchite e frequenti infezioni delle vie respiratorie inferiori. Globalmente, secondo l’OMS, 165mila bambini muoiono prima dei cinque anni di questo tipo di infezioni causate dal fumo passivo.
Infine, il fumo di tabacco è una forma molto pericolosa di inquinamento dell’aria interna: contiene oltre 7.000 sostanze chimiche, 69 delle quali sono note per causare il cancro e anche se può essere invisibile e inodore può rimanere sospeso nell’aria per un massimo di cinque ore, esponendo ai rischi spiegati finora chi lo respira.
Per riassumere, sottolinea dal canto suo il report annuale 2020 “Prevenzione e controllo del tabagismo” redatto dal Ministero della Salute, il tabacco provoca più decessi di alcol, AIDS, droghe, incidenti stradali, omicidi e suicidi messi insieme: il fumo è una causa nota o probabile di almeno 25 malattie.
“La più grande minaccia per la salute e il primo fattore di rischio delle malattie croniche non trasmissibili a livello mondiale”,
sintetizza l’OMS. Per questo il Piano di Azione Globale dell’OMS per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie ha incluso l’obiettivo di ridurre la prevalenza dell’uso di tabacco (da fumo e non da fumo) del 30% nel 2025 rispetto ai valori del 2010 anche se dai dati stimati la riduzione si fermerebbe al 23,4%.
In Italia, meno fumo ma ancora troppi morti
In questo contesto come si posiziona l’Italia? Per quanto ci riguarda qualche buona notizia c’è. Nel 2019, secondo i dati Istat, i fumatori, tra la popolazione di 14 anni e più, sono poco meno di 10 milioni. La prevalenza è scesa per la prima volta sotto il 19% ed è pari al 18,4%; restano comunque forti differenze di genere: tra gli uomini i fumatori sono il 22,4%, tra le donne il 14,7%. In ogni caso la progressione è positiva: nel 1993 la prevalenza era al 25,8%, prima dell’entrata in vigore della cosiddetta Legge Sirchia (nel 2003) al 23,8% con una riduzione relativa, dunque, negli ultimi 16 anni, di oltre il 22%. Nel dettaglio, il calo dei fumatori è quasi raddoppiato passando da una diminuzione di circa lo 0,7% annuo tra il 1993 e il 2003 all’1,3% annuo tra il 2003 e il 2019, soprattutto grazie al fatto che le donne fumatrici nel periodo 1993-2003 addirittura aumentavano dello 0,4% l’anno, mentre dopo la Legge Sirchia hanno cominciato a decrescere dello 0,9% l’anno. Anche gli uomini fumatori che prima diminuivano dell’1,2% l’anno hanno aumentato la “velocità” diminuendo dell’1,6% ogni anno.
In Italia, sottolinea inoltre il Ministero della Salute, si stima che possano essere attribuibili al fumo di tabacco oltre 93mila morti (il 20,6% del totale di tutte le morti tra gli uomini e il 7,9% del totale di tutte le morti tra le donne) con costi diretti e indiretti pari a oltre 26 miliardi di euro. Per quanto riguarda il carcinoma polmonare, una delle principali patologie fumo-correlate, nel nostro Paese la mortalità e l’incidenza sono in calo tra gli uomini ma in aumento tra le donne, per le quali questa patologia ha superato il tumore allo stomaco, divenendo la terza causa di morte per neoplasia, dopo il tumore al seno e al colon-retto. Un andamento che rispecchia quello della prevalenza dei fumatori, con una progressiva riduzione nei maschi e un costante lieve aumento nelle femmine tra il 1993 e il 2005.
I costi economici e sociali delle sigarette
Il tema dei “costi” legati al fumo non è certo secondario rispetto alle conseguenze a livello sanitario. La spesa sanitaria pubblica annuale dell’Unione Europea per il trattamento di sei principali categorie di malattie causate dal fumo è stimata intorno a 25,3 miliardi di euro, mentre è stimata in ulteriori 8,3 miliardi di euro all’anno la perdita in termini di produttività (inclusi prepensionamenti, decessi, situazione di non autosufficienza e assenteismo dal lavoro) legata al fumo: se monetizzati, gli anni di vita persi a causa del tabacco corrisponderebbero a 517 miliardi di euro ogni anno.
Diversi studi documentano, inoltre, l’effetto negativo delle sigarette sull’economia e sul lavoro. In particolare, l’evidenza mostra che per le aziende i fumatori sono fonte di costi più alti, dovuti soprattutto alla perdita di produttività associata a malattia e a pause per fumare, a più frequenti incidenti durante l’orario di lavoro, ai maggiori costi dei premi assicurativi per malattie o per incendio, a effetti negativi sui colleghi non fumatori e a pensionamenti anticipati per disabili.
La prevenzione primaria e Assidai
Assidai ritiene la prevenzione primaria fondamentale per evitare o ridurre a monte l’insorgenza e lo sviluppo di una malattia o di un evento sfavorevole: stili di vita sani e corretti, un’alimentazione equilibrata, un consumo limitato di alcolici, la pratica quotidiana di movimento (se non di attività sportiva) e ovviamente lo stop a qualsiasi uso di tabacco.
Del resto, il nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN) – per quanto considerato tra i migliori al mondo per le caratteristiche di universalità ed equità – nei prossimi anni sarà ulteriormente sotto pressione per le dinamiche demografiche e di spesa pubblica e non appesantirlo ulteriormente con costi miliardari legati al trattamento delle patologie legate per esempio al fumo (a partire da cancro e malattie cardiocircolatorie) deve essere considerato una priorità da ciascun cittadino, anche come atto di responsabilità nei confronti della comunità.