Il 40% della popolazione è esposta al fumo passivo in luoghi pubblici, il 29% è un fumatore attivo, mentre solo il 6% ha provato a smettere negli ultimi 12 mesi (con un 8% che è intenzionato a farlo a breve). E ancora: meno di un quarto degli adulti in Cina è consapevole che la sigaretta causa l’infarto e il cancro al polmone e sia in India che in Indonesia oltre il 50% della popolazione non è conscio della correlazione tra fumo e ictus. Sono questi i principali risultati del Global Adult Tobacco Survey, uno studio condotto in 22 Paesi in via di sviluppo per complessivi 3 miliardi di persone e realizzato, tra gli altri, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ,dalla Cdc Foundation (finanziata dalla Bloomberg Philanthropies e dalla Bill & Melinda Gates Foundation). Tra gli Stati esaminati, oltre a quelli già citati, spiccano Brasile, Messico, Argentina, Nigeria, Etiopia, Russia, Indonesia, Grecia, Polonia, Turchia e Ucraina.
Un’indagine di ampio respiro, basata su interviste a oltre 380 mila famiglie, che ha evidenziato come il livello di consapevolezza dei danni causati dalle sigarette non sia ancora ai livelli sperati. Fumare e respirare il fumo passivo – sottolinea l’OMS – causa 7,1 milioni di morti l’anno, di cui, quasi la metà, circa 3 milioni, sono legate alle patologie cardiovascolari (compresi ictus e infarto), che a loro volta sono tra i primi fattori delle malattie non trasmissibili. Proprio questo è il rischio più subdolo del fumo: molte persone associano la sigaretta ai tumori e alle malattie polmonari e molte meno a ictus e malattie cerebrali, che invece – a dirlo sono i numeri – sono i principali “killer” a livello globale.
Gli obiettivi dell’OMS sul fumo ancora lontani
Nel 2000 l’OMS si era posta un obiettivo molto chiaro e ambizioso: ridurre del 30% entro il 2025 i fumatori adulti, cioè da 15 anni in su. Oggi centrarlo sembra difficile visto che, nel 2016, fumava il 20% della popolazione mondiale contro il 27% di inizio Millennio: oltre metà dei Paesi membri ha ridotto il numero di fumatori in questo lasso di tempo, ma solo uno su otto riuscirà a rispettare i target. Oltre l’80% dei fumatori vive in Paesi a medio e basso reddito, che sono anche quelli in cui il loro numero cala più lentamente con la Cina leader (oltre 307 milioni di tabagisti) seguita dall’India. Uno Stato su quattro, inoltre, non possiede neppure gli strumenti necessari per monitorare i consumi di tabacco dei propri abitanti.
Il fumo in Italia nell’indagine Doxa
A livello globale, oggi, ci sono 1,1 miliardi di fumatori adulti e almeno 367 milioni di consumatori di tabacco (senza fumo). Il numero di fumatori nel mondo è sostanzialmente invariato: era di 1,1 miliardi anche nel 2000. Un dato da attribuire alla crescita della popolazione, anche se i tassi di prevalenza diminuiscono. E l’Italia? In base alle indagini realizzate dalla Doxa, per l’Istituto Superiore di Sanità dal 28,9% del 2001 nel 2017 ci siamo attestati poco sopra il 22% con una riduzione dunque di circa il 24%. Sarebbe una buona notizia se non fosse che – sottolineano le stesse statistiche – da ormai nove anni il trend di calo si è fermato. In tutto, in Italia, i fumatori sono 11,5 milioni: 6,9 milioni di uomini (il 27,3%) e 4,6 milioni di donne (17,2%).
Costi sociali e finanziari del fumo
Senza calcolare i costi, da esaminare a 360 gradi. Un fumatore italiano in media consuma 5mila sigarette l’anno, pari a 250 pacchetti. Calcolando un costo medio di 5,5 euro a pacchetto in un anno spende in media 1.375 euro. In trent’anni di tabagismo spende oltre 41mila euro: smettendo si darebbe, da solo, un bell’aumento di stipendio senza contare ovviamente l’aspetto sanitario in termini di prevenzione primaria, un elemento – quest’ultimo – da sempre considerato cruciale da Assidai per la tutela della salute, ma anche degli equilibri economico-finanziari del Servizio Sanitario Nazionale. I costi del tabagismo per lo Stato sono infatti altissimi, stimati in circa 6,5 miliardi di euro l’anno per curare le malattie che derivano da esso, senza considerare i disagi sociali e famigliari. A livello globale, ovviamente, i numeri sono enormi: secondo l’OMS 422 miliardi di dollari l’anno (il 5,7% delle spese sanitarie globali), che con i costi indiretti (perdita di produttività per malattia o decessi) arrivano a 1.436 miliardi di dollari, pari all’1,8% del PIL mondiale.