Il welfare integrativo sta crescendo in modo importante tra i lavoratori dipendenti, grazie alla spinta autonoma delle aziende o per iniziative contrattuali (nazionali e territoriali), nonché in virtù di un quadro legislativo che sta via via introducendo un contorno sempre più favorevole. C’è tuttavia un’intera categoria, quella dei liberi professionisti, per cui questo tipo di strumento è decisamente meno diffuso e che gode di garanzie e coperture inferiori. Che prospettive hanno e che margini di manovra possono sfruttare se vogliono ricorrere a un fondo sanitario integrativo? E qual è al momento lo scenario fiscale per questa categoria?
Fondo sanitario integrativo: scenari per lavoratori e manager
Vediamo prima di inquadrare i possibili scenari. Un fondo sanitario integrativo supporta la tutela della salute del cittadino senza sostituirsi al Sistema Sanitario Nazionale e l’iscrizione può essere prevista dal CCNL di riferimento oppure è volontaria, come nel caso di Assidai, un Fondo sanitario a cui si aderisce per libera scelta. I liberi professionisti che hanno una Cassa, Ente, Fondo o Società di Mutuo Soccorso di competenza (per esempio i medici all’Enpam o i giornalisti alla Casagit) hanno l’obbligo di iscrizione, mentre i professionisti in pensione devono rivolgersi alla loro ex azienda oppure a una forma intermedia di rappresentanza di categoria.
Ci sono poi, invece, i liberi professionisti che non fanno direttamente riferimento a una Cassa di competenza e dunque – essendo “scoperti” sul fronte del welfare integrativo – possono fare riferimento a un Fondo sanitario come Assidai, il quale ricordiamo può essere integrativo del Fasi e altri fondi o sostitutivo per coloro che non hanno un’assistenza sanitaria integrativa al Servizio Sanitario Nazionale.
Assidai, nato su iniziativa di Federmanager nel 1990, è un Fondo sanitario che si rivolge ad aziende, manager, quadri, professionisti e loro familiari offrendo assistenza sanitaria, consulenza e tutela dagli imprevisti che possono compromettere l’abituale tenore di vita della famiglia.
La differenza tra fondi integrativi e fondi sostitutivi
Va anche evidenziata una distinzione che ci tornerà utile in seguito per affrontare un argomento chiave: il trattamento fiscale dei fondi sanitari. In Italia è stata istituita un’Anagrafe dei Fondi Sanitari Integrativi, che svolge un ruolo di censimento e di controllo sull’operato dei vari soggetti coinvolti. Sono tenute all’iscrizione nell’albo due tipologie di fondi sanitari.
La prima è quella dei “Fondi sanitari integrativi del Servizio Sanitario Nazionale”, che erogano solo ed esclusivamente prestazioni non comprese nei livelli essenziali di assistenza, e degli “Enti, Casse e Società di Mutuo Soccorso aventi esclusivamente fini assistenziali” che sono sia integrativi del SSN, sia sostitutivi. Il Ministero della Salute ha ribadito più volte questa distinzione dal punto di vista civilistico e fiscale e ne ha tracciato una netta linea di demarcazione. La differenza tra i “fondi sanitari integrativi” e gli “enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale” consiste proprio nel fatto che i primi, come detto, sono finalizzati all’erogazione di prestazioni non comprese nei LEA, cioè i livelli essenziali di assistenza (prestazioni integrative), mentre i secondi possono finanziare anche prestazioni sostitutive rispetto a quelle già erogate dal Servizio sanitario nazionale.
Il trattamento fiscale dei fondi sanitari integrativi
Quali sono i riflessi fiscali di tutto ciò? Chi aderisce a un fondo sanitario integrativo in forma individuale e volontaria (per esempio pensionati, lavoratori autonomi, liberi professionisti o inoccupati) il contributo di adesione versato dall’iscritto concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente e quindi solo le spese mediche sono detraibili dalle imposte nella misura del 19% per la parte eccedente la classica franchigia di 129,11 euro. Diverso invece il caso dei lavoratori dipendenti che aderiscono a un fondo previsto da un contratto, accordo o regolamento aziendale. In questo scenario i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore a enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale non concorrono a formare il reddito di lavoro e vanno in deduzione per un importo massimo di 3.615,20 euro.
Al proposito va precisato che con la risoluzione n. 107/E del 3 dicembre 2014, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito la questione della deducibilità fiscale dei contributi versati da un libero professionista (o, per analogia, anche da un lavoratore autonomo) ad un fondo sanitario integrativo di derivazione contrattuale, sottolineando che l’opzione è possibile solo per gli integrativi puri.
Nel dettaglio, “in base alle disposizioni normative e al parere del Ministero della Salute, il professionista non può dedurre dal reddito complessivo, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lettera e-ter del Tuir, i contributi versati ad un Fondo che non rientri tra i Fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale”. A tale riguardo la risoluzione precisa anche che tali Fondi (ex art. 9, Dlgs 502/92) danno diritto alla deducibilità dal reddito solo se erogano al 100% prestazioni integrative. Sempre ai fini del beneficio fiscale, si ricorda invece che le società di mutuo soccorso conferiscono a tutti i soci (quindi anche ai liberi professionisti) la detraibilita del 19% dalle imposte, fino ad un massimo di 1.291,14 (rif. art 15, comma 1, lettera i) bis Tuir).
Una cornice su cui in futuro sarebbe opportuna un’ulteriore riflessione da parte del legislatore per permettere ai fondi sanitari integrativi di consolidarsi ulteriormente per sostenere – in un’ottica di complementarietà – il Servizio Sanitario Nazionale.