Il welfare aziendale, ormai diffuso in più di un’azienda su due in Italia, ha un ruolo sempre più centrale nel nostro Paese, anche grazie agli incentivi del Governo che dal 2016 ne hanno permesso uno sviluppo rilevante. Esso è, infatti, il simbolo di un nuovo genere di relazioni e di rapporti tra il dipendente e il datore di lavoro: non più in contrapposizione ma “alleati” per lo sviluppo dell’impresa e per il cosiddetto work life balance del dipendente stesso.
Lo strumento su cui si impernia il welfare aziendale sono i flexible benefit, ovvero una serie di servizi o beni messi a disposizione dei dipendenti da parte della propria azienda. Caratteristica fondamentale: non rientrano in una retribuzione vera e propria, in quanto sono privi di carichi impositivi e contributivi, ma consistono in “benefici” dei quali i lavoratori possono godere.
Le differenze tra flexible benefit e fringe benefit
Per spiegare bene il concetto di flexible benefit è cruciale rappresentare in maniera adeguata la differenza con i fringe benefit.
Quest’ultimi, di cui ci siamo già occupati, sono compensi in natura che il datore di lavoro offre ai dipendenti e che – aspetto fondamentale da tenere in considerazione – vanno ad aumentare il valore della retribuzione. Qualche esempio? L’auto e il cellulare aziendali, i buoni carburante, i buoni spesa, immobili concessi in locazione o in uso. Tutti questi beni, come detto, sono conteggiati nel reddito lordo del lavoratore e tassati, a meno che il valore non rimanga sotto una certa soglia. Proprio questa soglia è stata raddoppiata l’anno scorso dal DL di agosto 2020 che nel dettaglio, modificando quanto previsto dall’articolo 51, comma 3 del TUIR, ha innalzato la soglia di esenzione fiscale per i fringe benefit da 258,23 euro a 516,46 euro. Tutto ciò, tuttavia, vale soltanto per il 2020.
Passiamo ora ai flexible benefit, perimetro in cui ricadono tutte le misure di welfare aziendale concesse dal datore di lavoro e che non rientrano nel contratto individuale ma derivano piuttosto da accordi aziendali, territoriali o di categoria. Tutti questi servizi o benefici di fatto aumentano la retribuzione del dipendente ma – diversamente dai fringe benefit – non partecipano alla formazione del reddito imponibile e dunque non sono oggetto di tassazione. Qualche esempio lo offre il secondo comma dell’articolo 51 del TUIR, che snocciola tutti i redditi erogati ai dipendenti che non concorrono a formare la base imponibile. Tra questi l’assistenza sanitaria integrativa (i contributi versati dal lavoratore o dal datore di lavoro non sono tassabili fino un massimo di 3.615,20 euro e possono essere destinati non solo al dipendente ma anche ai suoi familiari); prestazioni di trasporto collettivo come il servizio di navetta, fornito dal datore di lavoro o da terzi, o abbonamenti al trasporto pubblico acquistati dal datore di lavoro; compartecipazione del datore di lavoro a spese per educazione, ricreazione o istruzione dei figli dei dipendenti; servizi di assistenza familiare e prestazioni per il rischio di non autosufficienza; previdenza complementare.
I vantaggi dei flexible benefit
Alla luce di queste considerazioni i vantaggi dei flexible benefit sono evidenti e altro non sono che la declinazione della filosofia, sempre più vincente, del welfare aziendale. Vantaggi per l’azienda ma anche per i dipendenti. Quest’ultimi, infatti, possono contare su un maggiore potere d’acquisto visto che i beni e i servizi erogati – come abbiamo visto – sono sostanzialmente esenti dal punto di vista fiscale e consentono una migliore gestione del proprio work life balance. Il datore di lavoro, dal canto suo, ottiene sia un risparmio sui costi sia un miglioramento della produttività legato alla maggiore motivazione del personale. I benefici del welfare aziendale, e dunque dei flexible benefit, sono stati misurati da un position paper realizzato da Social Value Italia, Percorsi di secondo welfare, Avanzi e ALTIS – Università Cattolica, “La valutazione d’impatto sociale come elemento costitutivo dei piani di welfare aziendale”, che ha svolto un’indagine presso 56 aziende italiane. Il risultato, di cui ci siamo già occupati è stato che, laddove vengono misurati, tra gli effetti positivie spiccano il senso di appartenenza (88%), impegno e dedizione (75%) e produttività (63%), seguiti poi dalla capacità di “attraction” (38%) e di “retention” (25%) e l’impatto su comunità e territori (25%). Un risultato, peraltro, coerente con altre ricerche condotte a livello internazionale.
Assidai e il welfare aziendale
Il flexible benefit più richiesto, come testimoniato da diverse indagini, è l’assistenza sanitaria integrativa su cui Assidai ritiene di avere una ricca offerta di Piani Sanitari riservati alle imprese e ai professionisti. Non solo, il nostro Fondo – ove richiesto – può valutare con i decision maker aziendali la realizzazione di Piani Sanitari ad hoc, personalizzati proprio sulla base delle caratteristiche richieste dalle aziende e dai lavoratori. Ciò perché Assidai è fermamente convinto che il benessere personale e un corretto bilanciamento tra vita lavorativa e vita privata fanno bene ai manager e ai dipendenti in generale, perché accrescono il benessere organizzativo generale all’interno di un’azienda e il livello di energia e motivazione dei singoli. E, di conseguenza, incrementano la produttività, l’operatività ordinaria e aiutano ad affrontare i cambiamenti organizzativi necessari per tenere il passo della competitività. Non solo, appoggiarsi a una soluzione complementare dal punto di vista sanitario permette di essere tutelati nel momento del bisogno e al tempo stesso di alleggerire, in ottica futura, le incombenze del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) che ha davanti a sé un futuro sempre più sfidante per la dinamica demografica del Paese.