Nei prossimi 30 anni i casi di demenza (o di malattie associate ad essa) sono destinati a triplicare nel mondo. È l’allarme lanciato da un nuovo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica inglese “The Lancet”, secondo cui il numero di persone affette da demenza aumenterà drasticamente, passando dai 57 milioni di casi del 2019 a oltre 153 milioni di casi nel 2050.
Lo studio nel dettaglio
La ricerca è stata condotta dagli scienziati dell’Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME), che hanno valutato i possibili casi di demenza in 195 paesi e territori in varie parti del globo, sottolineando che attualmente essa rappresenta la settima causa di morte in tutto il mondo e una delle principali ragioni di disabilità e dipendenza tra le persone anziane, con costi globali che, secondo le stime, per il 2019 ammontavano a oltre 1000 miliardi di euro. Da che cosa è causata? L’aumento previsto è in gran parte dovuto all’invecchiamento e alla crescita della popolazione, ma anche a stili di vita non salutari e a un basso grado di istruzione.
Secondo i ricercatori, i fattori di rischio che devono essere affrontati con urgenza e che rappresentano oltre sei milioni di casi dell’aumento previsto includono alti tassi di fumo, obesità e diabete. Insomma, ancora una volta parliamo di stili di vita salutari che, come sappiamo, rappresentano il principale strumento a nostra disposizione per diminuire l’incidenza delle malattie croniche, prima causa di decessi a livello mondiale. Un concetto, questo, che Assidai non manca di sottolineare ai propri iscritti, anche con iniziative di divulgazione ad hoc, perché si tratta di uno dei punti di partenza fondamentali per condurre un’esistenza in buona salute.
L’aumento maggiore sarà in Africa, Europa +74%
Analizziamo la situazione a livello geografico. Il modello previsionale utilizzato dai ricercatori stima che l’aumento più significativo si verificherà nell’Africa subsahariana orientale, dove si prevede un aumento del 357% dei casi di demenza, che passeranno da circa 660 mila nel 2019 a oltre 3 milioni nel 2050. L’incremento più contenuto, invece, si stima nell’Asia del Pacifico ad alto reddito, dove si pronostica che il numero di casi crescerà del 53%, da 4,8 milioni registrati nel 2019 a 7,4 milioni tra meno di 30 anni. Infine, nell’Europa occidentale gli studiosi hanno calcolato una crescita del 74% per i valori associati all’insorgenza della demenza con incrementi relativamente contenuti in Grecia (45%), Italia (56%), Finlandia (58%). Come detto, i ricercatori ipotizzano che l’invecchiamento della popolazione possa giocare un ruolo fondamentale in questi valori. Tuttavia, c’è anche una potenziale buona notizia: un maggiore accesso all’istruzione, se effettivamente realizzato, potrebbe tuttavia ridurre di 6 milioni il numero di casi di demenza entro il 2050.
Le donne più “esposte” rispetto agli uomini
Un altro elemento notato dai ricercatori è che il sesso femminile è più colpito dalla demenza, con circa 40% di casi in più rispetto agli uomini, e questo andamento rimarrà probabilmente stabile anche nei prossimi decenni. La differenza non è soltanto dovuta al fatto che le donne sono in media più longeve, ma ci sarebbero evidenze che i meccanismi biologici alla base della malattia cambino a seconda del sesso. In particolare, un’ipotesi è che l’Alzheimer si diffonda diversamente nel cervello di uomini e donne e numerosi fattori di rischio genetici sono collegati al sesso.
I rimedi per invertire il trend crescente
Alla luce di questa situazione come agire per frenare il trend di crescita esponenziale previsto per la demenza a livello globale? “Il nostro lavoro – ha dichiarato la leader del team di ricerca, Emma Nichols – offre previsioni accurate sulla demenza a livello mondiale. Speriamo che i dati che abbiamo ottenuto siano utili per lo sviluppo di trattamenti efficaci, ma anche per i responsabili politici e gli esperti di salute pubblica. Le informazioni che abbiamo ottenuto potrebbero guidare scelte e decisioni più consapevoli in materia di prevenzione e contrasto della demenza”.
Il presupposto è che attualmente non abbiamo cure risolutive contro l’Alzheimer e le altre forme di demenza, patologie complesse e multifattoriali, studiate approfonditamente soltanto negli ultimi 35-40 anni. Certo, la ricerca sta compiendo passi in avanti su vari fronti e agendo su diversi possibili meccanismi sottostanti. Tuttavia, a fronte di una diffusione sempre maggiore del problema e di un carico molto gravoso, per il singolo e i suoi familiari, ma anche per i sistemi sanitari, la prevenzione resta uno strumento essenziale.
A tal proposito, gli autori dello studio richiamano l’attenzione sulla necessità urgente di politiche che mettano in primo piano buone abitudini relativi allo stile di vita, alla sana alimentazione e all’attività fisica fino all’aumento dei tassi di scolarizzazione; senza sottovalutare una cattiva gestione del diabete di tipo 2, della pressione e del colesterolo che potrebbero avere un ruolo, come anche l’insonnia. Infine, alcuni elementi che potrebbero rinforzare le abilità riguardano non solo l’esercizio fisico, ma anche quello mentale, con test e giochi cognitivi, e probabilmente anche un maggiore coinvolgimento sociale.
L’alimentazione contro la demenza: una ricerca giapponese
A proposito di stili di vita e di alimentazione e del loro influsso sulla demenza, va ricordato un altro recente studio condotto dall’Università giapponese di Tsukuba, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica “Nutritional Neuroscience”. Secondo i ricercatori una dieta ricca di fibre può rappresentare un alleato importante anche contro questa patologia. Per dimostrare la propria tesi, gli studiosi giapponesi hanno coinvolto 3.739 soggetti adulti a cui è stato chiesto di completare una serie di questionari che ne hanno analizzato i regimi alimentari tra il 1985 ed il 1999. Nel complesso, i partecipanti erano persone generalmente sane e di età compresa tra 40 e 64 anni che, in seguito, sono state monitorate tra il 1999 ed il 2020, per verificare se avessero sviluppato una qualche forma di demenza. I risultati hanno fatto emergere che coloro che si collocavano nel gruppo di partecipanti con il più alto consumo di fibre nella propria dieta personale, avevano manifestato un rischio inferiore di sviluppare forme di demenza.