“Metà degli infarti è evitabile modificando i nostri stili di vita”. A parlare è il Professor Filippo Crea, uno dei massimi esperti cardiovascolari a livello italiano e internazionale. Senza contare, aggiunge che tra bypass, pacemaker e stent, negli ultimi decenni le innovazioni della medicina hanno cambiato la vita di molte persone, anche se oggi sul fronte della prevenzione, a dirlo sono i numeri, resta ancora molto da fare.
Il 29 settembre di ogni anno si celebra la Giornata mondiale del cuore (World Heart Day), che ha l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione mondiale sulle malattie cardiocircolatorie e sulla loro prevenzione. Che valore ha secondo lei questa giornata?
Il valore risiede nel fatto che le malattie cardiovascolari causano il 40% delle morti in Europa, e per le donne si arriva al 50%.
Noi medici diciamo che prevenire è meglio che curare e dunque bisogna agire: si tratta di malattie con un così forte impatto epidemiologico, ma in gran parte prevenibili.
Le malattie cardiocircolatorie sono la prima causa di decesso a livello mondiale e rappresentano la principale cronicità. Ci può illustrare le principali patologie e quali sono quelle più frequenti e rischiose?
Le patologie più frequenti sono la cardiopatia ischemica e le malattie coronariche, caratterizzate da un’alterazione dell’anatomia o della funzione delle arterie che portano il sangue al cuore. Questa resta la principale causa d’infarto.
Poi non vanno dimenticate le aritmie e tra queste la fibrillazione atriale, il cui rischio aumenta col passare degli anni. Tra le malattie valvolari, c’è la stenosi aortica, anche in questo caso legata all’età e molto più frequente dopo i 70 anni. In aggiunta non va dimenticata l’insufficienza cardiaca, determinata da tutte le malattie del cuore quando non vengono intercettate in tempo: il risultato è che il cuore stesso non riesce più a fare bene il suo lavoro.
Come possiamo prevenire l’insorgere delle malattie cardiocircolatorie? Quanto conta l’ereditarietà e quanto i nostri stili di vita? Come possiamo prenderci cura del nostro cuore?
La familiarità per l’infarto vale soprattutto per quello precoce, cioè prima dei 60 anni, e per i congiunti di primo grado.
In generale quando è presente significa che si nasce con le coronarie un pochino più suscettibili andando avanti con gli anni e dunque bisogna essere ancora più attenti nella prevenzione. A tal proposito ci sono delle buone regole che dobbiamo osservare, tenendo presente innanzitutto che ci sono tre fattori di rischio – l’ipertensione, il diabete e l’ipercolesterolemia – da curare con farmaci e ai quali è riconducibile la metà degli infarti.
L’altra metà degli infarti è evitabile modificando i nostri stili di vita: tolleranza zero sul fumo (anche poche sigarette al giorno raddoppiano il rischio), evitare la sedentarietà anche con soli 15-20 minuti di passeggiata al giorno, adottare a tavola una dieta mediterranea con frutta, verdura e pesce, e fare attenzione al peso corporeo.
Quali sono i principali segnali di allarme per scoprire “in anticipo” potenziali patologie?
I sintomi sono tanti. Il più tipico è il dolore al petto, al torace. Se dura pochi minuti poi scompare può essere associato a uno sforzo, se invece dura più di mezz’ora può essere segnale di un infarto e bisogna recarsi subito al pronto soccorso.
Un altro sintomo, ma non sempre, è l’affanno: se di solito faccio quattro rampe di scale senza sforzo, poi inizio ad avere problemi dopo un piano, la causa può essere, tra le altre, il cuore. Infine, ci sono le palpitazioni, un sintomo che invece solo il cuore può dare. Tutte le casistiche che ho elencato, intervenendo in tempo rivolgendosi a un medico, possono essere risolvibili.
Che risultati rilevanti ha raggiunto la medicina nella cura delle patologie cardiocircolatorie negli ultimi 10-20 anni e quali sono i prossimi obiettivi?
Facendo un grande sforzo di sintesi, potrei dire che i passi veramente cruciali che hanno cambiato la storia della cardiologia sono i seguenti.
Sul versante coronarico il bypass ha rappresentato la svolta per molti pazienti e più di recente lo hanno fatto gli stent, con la possibilità di aprire le coronarie. Nel futuro, su questo fronte, non mi aspetto nulla di clamoroso, visto quanto già di straordinario è stato fatto.
Sul versante delle aritmie, per quanto riguarda la fibrillazione atriale, le due cose che hanno cambiato la storia sono stati il pacemaker e successivamente l’ablazione.
Infine, per l’insufficienza cardiaca, in passato l’intro-duzione di pacemaker particolari e la terapia di risincronizzazione hanno dato entrambi ottimi risultati. Più di recente, il passo più importante è stata la combinazione di quattro farmaci messi a punto negli anni che, grazie a un effetto additivo, hanno migliorato in maniera straordinaria la prognosi di insufficienza cardiaca che, se non trattata, è peggiore di quella di cancro al polmone.
Lei è il primo italiano Editor in Chief dello European Heart Journal. Ci può illustrare le ultime ricerche alle quali ha lavorato con il suo team e quali ritiene di particolare rilevanza?
Ne vorrei citare una che ci ha dato molta soddisfazione e riguarda le coronarie, su cui come dicevo con i bypass e gli stent sono stati mossi passi fondamentali.
Quello che abbiamo scoperto è che sia l’angina sia l’infarto possono essere causati da alterazioni funzionali delle coronarie, che si ammalano senza ostruzioni. Per molti anni ciò era stato trascurato: noi abbiamo dato una grossa mano a chiarire che circa metà dei pazienti con angina e il 10% di quelli con infarto non hanno ostruzioni: prima venivano purtroppo persi per strada, ora invece si può intervenire con tecniche diagnostiche e terapie mirate.
Filippo Crea
Direttore del Centro d’Eccellenza di Medicina Cardiovascolare del Fatebenefratelli Isola Tiberina – Gemelli Isola è Professore ordinario di Cardiologia, Direttore dell’Istituto di Cardiologia e Direttore della Scuola di Specializzazione in Cardiologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Ha formato più di 200 cardiologi, molti dei quali hanno ruoli preminenti in università italiane e straniere e in importanti ospedali. Ha vinto il Newburgh Prize – consegnatogli dalla Professoressa Levi Montalcini – e l’Arrigo Recordati International Prize. Dal 2020 è il primo italiano Editor in Chief dello European Heart Journal.