La conciliazione vita-lavoro è un tema cruciale per qualsiasi società moderna e, a tal proposito, alla fine dello scorso anno, l’Istat ha presentato i principali risultati di un approfondimento tematico sulla conciliazione tra lavoro e famiglia, realizzato sulla base dei dati del modulo ad hoc europeo “Reconciliation between work and family life” inserito nella Rilevazione sulle forze di Lavoro nel 2018.
Il report dal titolo “Conciliazione tra lavoro e famiglia”, ha affrontato, quindi, queste tematiche evidenziando che, nel nostro Paese, nell’anno 2018, 12,74 milioni di adulti (persone tra i 18 e i 64 anni), si sono presi cura dei figli minori di 15 anni o di parenti malati, disabili o anziani. Stiamo parlando del 34,6% di tutta la popolazione: oltre un italiano su tre. E tra questi, quasi 650mila persone si sono trovate in una condizione di ulteriore disagio, dovendo occuparsi contemporaneamente sia dei figli minori sia di altri familiari.
Il tema della “cura genitoriale” ha visto secondo l’Istat oltre 10,5 milioni di persone prendersi cura di figli minori di 15 anni e, tra i genitori occupati, il 35,9% delle madri e il 34,6% dei padri hanno rilevato problemi di conciliazione tra il lavoro e la famiglia e poco meno di un terzo dei nuclei familiari con figli minori ha fatto uso di servizi pubblici o privati (a partire dagli asili) perché i servizi stessi sono o senza posti o troppo costosi, mentre il 38% ha potuto contare sull’aiuto di familiari, soprattutto di nonni oppure di amici.
Numeri emblematici di un quadro italiano ancora critico e in cui il rafforzamento del welfare aziendale, che nelle sue svariate forme si concretizza anche sotto forma di supporto al dipendente per la gestione dei bambini o per l’assistenza ai cari purtroppo non più autosufficienti, può sicuramente migliorare la situazione. Del resto, stare alla scrivania con uno spirito più sereno e senza il pensiero di rientrare a casa per rimediare alle emergenze familiari più varie, consente di lavorare con maggiore qualità ed efficienza con vantaggi sia per l’azienda sia per il dipendente: è questo, proprio lo spirito del welfare aziendale. Assidai, per esempio, nella proposta dei propri Piani Sanitari offre una serenità agli iscritti sul tema della salute e prevede la copertura per la non autosufficienza – LTC Long Term Care (migliorata peraltro per tre volte negli ultimi anni) tanto che l’offerta risulta molto valida sia per i singoli Dirigenti, Quadri o Consulenti sia per le aziende che scelgono l’assistenza sanitaria di un Fondo di assistenza sanitaria come Assidai come benefit per i propri dipendenti per offrire loro uno strumento concreto per una reale conciliazione tra il lavoro e le esigenze (o emergenze) familiari.
L’Italia e l’emergenza sulla non autosufficienza
Lo studio dell’Istat dedica una parte specifica al confronto dell’Italia con i partner dell’Unione Europea sul tema della “Responsabilità di cura”: circa 106 milioni di persone di età compresa tra i 18 e i 64 anni hanno dichiarato di avere tali responsabilità; l’Irlanda è il Paese dove la quota di individui è più alta, quasi il 45% della popolazione, le percentuali più basse (circa il 28%) sono invece in Germania e Bulgaria. La media europea si attesta al 34,4% della popolazione e questo è un dato in linea con l’Italia ma solo in apparenza. Questo perché il nostro Paese rispetta la media solo per quanto riguarda la responsabilità di cura nei confronti dei figli minori di 15 anni (26,9%) mentre è addirittura al quarto posto in Europa per la percentuale di persone di 18-64 anni coinvolte esclusivamente nella cura di familiari di 15 anni e non più autosufficienti (quasi il 6%), dopo Grecia (8%), Paesi Bassi (7,7%) e Croazia (6,5%). È il delicato tema della Long Term Care, dove un sostegno privato al pubblico è essenziale per garantire in futuro la sostenibilità del sistema, anche alla luce del trend demografico italiano con stime che ci indicano, nel medio termine, come il Paese più vecchio del mondo dopo il Giappone.
Conciliazione lavoro e famiglia: il ruolo delle madri e dei padri
C’è poi il delicato tema del ruolo svolto dalle madri e dai padri nell’assistenza ai figli o di donne e uomini in generale nella cura dei familiari non più autosufficienti. Qualche numero? Nella fascia di età tra i 45 e i 64 anni, in sei casi su dieci sono proprio le donne (un milione e 343 mila) ad avere questo tipo di responsabilità: tra queste una su due è occupata (49,7%). Dal confronto con le donne che non hanno questo tipo di responsabilità emerge un divario tra i tassi di occupazione pari a quasi 4 punti percentuali mentre il possesso di un titolo di studio pari o superiore alla laurea, invece, riduce la differenza tra le donne con e senza responsabilità a soli 1,9 punti.
Ma ci sono altri numeri rilevanti: l’11,1% di donne con almeno un figlio non ha mai lavorato per prendersi cura dei figli contro il 3,7% della media europea; il 38,3% di donne occupate, tra 18 e 64 anni, con figli sotto i 15 anni, è stata costretta a modificare alcuni aspetti professionali per conciliare lavoro e famiglia mentre per i padri con le stesse caratteristiche il valore è pari all’11,9%.
Inoltre, tra gli occupati, quasi il 40% dei 18-64enni svolge attività di cura. Essere impegnati in un’attività lavorativa e allo stesso tempo doversi occupare di figli piccoli o parenti non autosufficienti comporta ovviamente una modulazione dei tempi da dedicare al lavoro e alla famiglia che può riflettersi sulla partecipazione degli individui al mercato del lavoro, soprattutto delle donne, le quali hanno un maggiore carico di tali responsabilità. Ciò si riflette ancora una volta nei numeri forniti dall’Istat: il tasso di occupazione dei padri di 25-54 anni, classe di età in cui è più alta la presenza in famiglia di figli di 0-14 anni, è l’89,3% mentre per gli uomini senza figli coabitanti è pari all’83,6%. Situazione diversa per le donne, che risultano più penalizzate: il tasso di occupazione delle madri di 25-54 anni è al 57%, quello delle donne senza figli coabitanti è al 72,1%. I tassi di occupazione più bassi si registrano in particolare tra le madri di bambini in età prescolare: 53% per le donne con figli di 0-2 anni e 55,7% per quelle con figli di 3-5 anni.
Difficoltà e compromessi nella conciliazione vita-lavoro
La conciliazione dei tempi di lavoro con quelli della vita familiare risulta difficoltosa per più di un terzo degli occupati (35,1%) con responsabilità di cura nei confronti di figli. Quasi la stessa proporzione di padri e madri di bambini sotto i 15 anni ha dichiarato infatti che c’è almeno un aspetto nell’attuale lavoro che rende difficile conciliare la vita familiare e quella professionale (34,6% e 35,9%, rispettivamente), in particolare quando i figli sono più di uno o in età prescolare.
Le principali difficoltà? Orario di lavoro lungo, eventuali turni serali o durante il fine settimana e la natura stessa del lavoro, ritenuto impegnativo o faticoso. Logico quindi che si debba scendere a dei compromessi, in cui gioca un ruolo preponderante la riduzione dell’orario (24% delle madri e 3,2% dei padri), seguita dalla modifica dell’orario stesso senza una sua riduzione. Quest’ultimo aspetto merita un’ulteriore analisi. Nel 2018, il 22,5% degli occupati con figli di 0-14 anni ha dichiarato di aver apportato un cambiamento nel lavoro attuale – leggi “compromesso” – per prendersi cura dei figli (cambiamento o riduzione dell’orario, cambiamento di lavoro o altra modifica). Ma se è vero che padri e madri riportano problemi di conciliazione in ugual misura, sono soprattutto le donne ad aver modificato qualche aspetto della propria attività lavorativa per meglio combinare il lavoro con le esigenze di cura dei figli: il 38,3% delle madri occupate, oltre 1 milione, ha dichiarato di aver apportato un cambiamento, contro poco più di mezzo milione di padri (11,9%). Del resto, la possibilità di modificare l’orario di inizio o di fine della giornata lavorativa e di assentarsi un’intera giornata per motivi familiari senza dover ricorrere a giornate di ferie – secondo l’analisi dell’Istat – rappresentano importanti strumenti di conciliazione dei tempi vita-lavoro per i dipendenti con responsabilità di cura. Nel 2018 quasi il 39% dei dipendenti tra i 18 e i 64 anni (6 milioni e 862 mila) ha dichiarato di occuparsi di figli con meno di 15 anni o di prendersi regolarmente cura di parenti non autosufficienti di 15 anni e più; tra questi un terzo ha affermato di poter modificare l’orario di inizio o fine della giornata lavorativa ogni volta se ne presenti la necessità.
I servizi pubblici e privati: a volte assenti o troppo cari
C’è poi il tema dei servizi a cui le famiglie possono ricorrere per essere supportati nell’assistenza. Secondo l’indagine dell’Istat, il 31% dei nuclei familiari con figli coabitanti di 0-14 anni si avvale regolarmente per almeno uno dei figli di servizi pubblici o privati, come asili nido, scuole materne, pre o post scuola, ludoteche, baby-sitter o altro. La percentuale è più alta al Nord (34,5%) e al Centro (33,3%) e più bassa nel Mezzogiorno (24,9%).
Perché invece a volte non ci si avvale dei servizi pubblici o privati? Tra le madri di figli di 0-14 anni che dichiarano di non utilizzare i servizi circa il 15% ne avrebbe bisogno; tale quota sale al 23,2% per chi ha figli tra 0 e 5 anni, a 19,1% tra le non occupate e al 17,5% per le residenti nel Mezzogiorno. Le motivazioni per le quali non si ricorre all’utilizzo dei servizi sono perché troppo costosi (9,6%) oppure assenti o senza posti disponibili (4,4%).
È chiaro come, a fronte di questa situazione, il welfare aziendale può rappresentare una valida soluzione, sia per gli individui sia per le aziende, per migliorare la conciliazione tra famiglia e lavoro e per tendere verso un completo annullamento di differenze di genere.