Un recente studio realizzato da un gruppo di scienziati dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO), pubblicato di recente sulla rivista scientifica Nature Genetics e finanziato dallo European Research Council (ERC), evidenzia che il 40% dei tumori si può prevenire con stili di vita adeguati. Cioè eliminando del tutto fattori esogeni ed evitabili come alcol, obesità, fumo, sedentarietà, esposizione al sole eccessiva o senza adeguata protezione, oppure diete ad alto contenuto di zuccheri e carni rosse e a basso contenuto di frutta, legumi e vegetali. Si tratta di una conclusione importante, che conferma e rafforza la posizione di Assidai su questo tema: la prevenzione primaria è il principale strumento a disposizione per diminuire l’incidenza delle malattie croniche, che nei Paesi industrializzati sono la principale causa dei decessi e delle situazioni di non autosufficienza. Patologie simili, peraltro, sono un dramma umano, per il malato e per le famiglie, ma anche un enorme spesa per lo Stato e prevenirle aiuta in misura significativa la sostenibilità dei conti del Servizio Sanitario Nazionale.
Lo studio di Vogelstein-Tomasetti e il ruolo del “caso”
Al momento, però, il vero tema su cui tutti gli studiosi del mondo si interrogano è l’interpretazione delle statistiche, che vedono purtroppo un acuirsi del cancro nel mondo. In particolare: perché nel corso della propria vita, un uomo su 2 e una donna su 3 si ammalano? O meglio: stabilito che un tumore si sviluppa quando una singola cellula accumula 6 o 7 alterazioni del Dna a carico di particolari geni, che cosa determina le alterazioni stesse?
Negli ultimi anni vi stato un forte dibattito all’interno della comunità scientifica a seguito della pubblicazione, avvenuta nel 2015 sulla rivista Science, di una ricerca firmata da Bert Vogelstein e Cristian Tomasetti, rispettivamente genetista e biostatistico della Johns Hopkins University di Baltimora, che stimava l’incidenza della trasformazione spontanea delle cellule normali in tumorali, sulla base del numero di cellule staminali presenti e della loro frequenza di riproduzione nei diversi organi. Lo studio tuttavia si è prestato a una lettura distorta, al di là delle intenzioni degli autori, che ha portato alla divulgazione di un messaggio fuorviante che associava lo sviluppo del cancro alla casualità. In realtà, a leggere bene la ricerca, Vogelstein e Tomasetti non assolvevano affatto fumo, raggi del sole e altri fattori di rischio legati agli stili di vita. Ecco perché due anni dopo, sempre su Science, i due studiosi hanno voluto chiarire alcuni concetti in base a nuove analisi, sottolineando – dati alla mano – come circa due terzi delle mutazioni genetiche (e non tutte) che danno vita al cancro dipendono da errori casuali. Tuttavia, hanno fatto notare, dire che il 66% delle mutazioni sono casuali non vuol dire che il 66% dei casi di cancro è dovuto alla sfortuna e quindi non è prevenibile.
Ad ogni modo, il concetto da cui sono partiti i ricercatori dello IEO per lo sviluppo del nuovo studio mette proprio in discussione la casualità delle traslocazioni cromosomiche, ovverosia uno dei due tipi di alterazioni genetiche trovate nei tumori, ed evidenzia come le alterazioni genetiche più frequenti per lo sviluppo del cancro non avvengono casualmente nel genoma, ma sono prevedibili e soprattutto provocate dall’ambiente esterno alla cellula.
La nuova frontiera della prevenzione del cancro
In sintesi, lo studio dei ricercatori dello IEO, guidati da Piergiuseppe Pelicci, Direttore della Ricerca IEO e professore di Patologia generale all’Università di Milano, e Gaetano Ivan Dellino, Ricercatore IEO e di Patologia generale dell’Università di Milano, in collaborazione con il gruppo diretto da Mario Nicodemi, Professore all’Università di Napoli Federico II, hanno dimostrato come le alterazioni geniche sono la conseguenza di un particolare tipo di danno a carico del DNA, ossia la rottura della doppia elica. Lo hanno fatto analizzando le cellule normali e tumorali del seno e scoprendo su queste cellule che né il danno al DNA né le alterazioni geniche avvengono casualmente. Il danno si verifica infatti all’interno di geni con particolari caratteristiche e in momenti precisi della loro attività. Si tratta di geni più lunghi della media e che, pur essendo “spenti”, sono perfettamente attrezzati per “accendersi”. La rottura del DNA avviene nel momento in cui arriva un segnale che li fa accendere. È proprio studiando queste caratteristiche che, sostiene il team di ricercatori, si possono prevedere quali geni si romperanno con una precisione superiore all’85%. Insomma, un’ulteriore frontiera della prevenzione – in questo caso con una sorta di screening preventivo – che in futuro potrebbe aiutare a diminuire la diffusione della malattia più temuta degli ultimi decenni.
Ricerca che conferma le parole del Direttore del Programma di Senologia e della Divisione di Senologia Chirurgica presso l’Istituto Europeo di Oncologia, Professor Paolo Veronesi, in un’intervista concessa qualche mese fa alla rivista Welfare 24 di Assidai: un giorno, grazie al miglioramento delle cure e anche alla prevenzione primaria, il cancro verrà sconfitto.