Ogni grado in più sulla Terra peggiora le cronicità

Forte legame tra salute, clima e ambiente

Dottoressa Bianco, un capitolo importante del vostro studio si è concentrato sull’interdipendenza tra salute, clima e ambiente. Quali sono state le principali risultanze?

Questa XVII Edizione di Meridiano Sanità si è aperta con una riflessione importante sugli impatti che i cambiamenti climatici e il contesto ambientale hanno sulla nostra salute. Ci stiamo pericolosamente avvicinando a un punto critico che potrebbe rendere irreversibili molti degli effetti della crisi climatica.

Lo shock della pandemia ci ha ricordato che i danni che facciamo al pianeta ledono anche la salute umana, dando vita a nuove minacce e amplificando problematiche esistenti. Basti pensare che a ogni grado centigrado in più aumenta la mortalità di malattie cardiovascolari e respiratorie.

E anche se il cambiamento climatico non conosce confini, ci sono alcune zone più a rischio di altre, come la regione del Mediterraneo, inclusa l’Italia. Nel nostro Paese, solo a luglio il caldo estremo ha causato oltre 2.000 decessi.

Nel vostro studio si parla anche di un concetto nuovo, la Planetary Health, ce lo può illustrare?

La Planetary Health considera proprio l’interdipendenza tra sistemi naturali, animali e umani. Attraverso un approccio olistico e intersettoriale, promuove la collaborazione delle diverse discipline.

Quando parliamo di ambiente, è necessario specificare che non parliamo solo degli effetti del cambiamento climatico, ma anche di tutte quelle condizioni che caratterizzano il contesto in cui ciascuno di noi nasce, cresce, lavora e vive la propria socialità. Fattori come le condizioni abitative, l’ambiente di lavoro e l’inquinamento atmosferico impattano direttamente sulla nostra salute, non solo fisica ma anche mentale. A questo riguardo il nostro Meridiano Sanità Index, sviluppato nel Rapporto, cattura anche queste dimensioni.

In Italia, l’esposizione alle catastrofi naturali è cinque volte superiore rispetto alla media europea, mentre si registrano progressi incoraggianti sul fronte delle malattie croniche. Come interpretare questo quadro?

Molte delle caratteristiche che fanno del nostro Paese un unicum nel panorama europeo contribuiscono purtroppo anche a renderlo particolarmente vulnerabile di fronte a rischi come frane, incendi, eruzioni vulcaniche e terremoti, tanto che nel 2021 si è verificato un evento estremo ogni due giorni.

Esattamente come per le altre sfide di salute, senza azioni di prevenzione, senza il potenziamento di politiche specifiche e il monitoraggio dei risultati, prevedere un miglioramento è difficile. L’esempio delle malattie croniche, la cui mortalità è in diminuzione negli anni ma la cui prevalenza è in costante aumento, ci ricorda ancora una volta la necessità di agire sui determinanti, lavorando per ridurre l’esposizione ai fattori di rischio oltre alla diagnosi precoce.

Quanto è importante la collaborazione tra pubblico e privato per migliorare il “punteggio” sanitario italiano, anche in relazione alle evoluzioni climatiche?

L’interazione pubblico-privato si riflette già in molte dimensioni della nostra sanità: penso alle collaborazioni di Open Innovation nell’ambito delle Life Sciences, alla contaminazione con il mondo delle start-up per quanto riguarda la digitalizzazione, ma anche a modelli di finanziamento sperimentali.

La nostra filiera industriale, riconosciuta come una delle migliori nel mondo, rappresenta un asset strategico non solo per la salute dei cittadini ma anche per la competitività del Paese. Tornando ai fattori ambientali, penso alla grande sfida contro l’antimicrobico-resistenza, un fenomeno per cui l’Italia riporta un triste primato in termini di decessi in Europa. In questo caso le sinergie tra pubblico e privato devono favorire l’avanzamento dell’attività di ricerca per lo sviluppo di nuovi antibiotici e di vaccini per affrontare le sfide attuali e future della sanità.

Mettiamo in agenda il benessere

Il punto di vista di Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

Una delle tendenze del mercato del lavoro messe in luce dal post pandemia è la difficoltà a reperire e, molto spesso anche a trattenere, competenze e figure professionali qualificate. L’abilità dell’impresa nel risolvere questo mismatch tra domanda e offerta di lavoro ha effetti diretti sulla crescita del business e si misura su una serie di fattori che sono sempre più tenuti in considerazione nelle politiche aziendali.

In cima, o quasi, troviamo la crescente attenzione al welfare aziendale.

Numerosi studi mostrano che esiste un legame diretto tra il livello di produttività e il benessere lavorativo dei collaboratori. Un benessere che è legato alle condizioni di salute psicofisica del singolo, al clima aziendale, a modelli organizzativi che riconoscono centralità al capitale umano e che sanno conciliare tempo di vita e tempo di lavoro.

È partito da tale consapevolezza il Premio Giovane Manager che, per l’edizione 2022, ha scelto questo tema per esortare i manager a essere i primi a “mettere in agenda” il benessere proprio e dei collaboratori. Fasi, che è main sponsor del Premio, e Assidai partecipano a questa azione di sensibilizzazione rivolta ai manager più giovani.

L’obiettivo è quello di costruire una cultura aziendale dove le risorse umane possano esprimere i loro talenti e in cui sia riconosciuto il fatto che per ottenere il meglio è necessario saper dare il meglio.

 

Sanità pubblica al bivio tra spesa e demografia

Il Rapporto Oasi curato dal Cergas (Bocconi) avverte: dopo lo slancio legato alla pandemia e al Pnrr si rischia la frenata. E sugli equilibri fiscali futuri potrebbe pesare l’invecchiamento della popolazione.

Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è a un bivio cruciale. Se l’esperienza della pandemia e i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) sembravano aver segnato una svolta per la sanità pubblica, con ingenti risorse destinate alla sanità pubblica e alla ridefinizione di alcune policy fondamentali (medicina di territorio, telemedicina, rafforzamento delle università e del Fascicolo Sanitario Elettronico), alcuni trend positivi hanno rallentato. A partire, per esempio, dall’aumento della spesa pubblica in sanità o dall’assunzione di nuovo personale. È questo, in estrema sintesi, il quadro offerto dal Rapporto OASI 2022 (Osservatorio sulle Aziende e sul Sistema Sanitario Italiano) del Cergas Bocconi.

Il calo della spesa e il nodo Pnrr

Detto in numeri, come sottolineato dal responsabile scientifico del Rapporto, Francesco Longo, “l’incidenza della spesa per il Servizio Sanitario Nazionale sul Prodotto Interno Lordo, al 7,2%-7,3% nel 2021, è prevista in discesa al 7% nel 2022 e al 6% nel 2025, mentre gli ingressi stabili di personale del 2020 sono stati in buona parte compensati dalle uscite per pensionamenti, dovuti all’elevata età media dei dipendenti della sanità pubblica”.

Dopo il boom della spesa legato al picco della pandemia, un rintracciamento era quasi fisiologico. Tuttavia, anche i numeri del Pnrr – sottolineano gli esperti della Bocconi – vanno letti con attenzione. Esso infatti, in sanità, non potrà che concretizzarsi in un piano di riorganizzazione e riallocazione delle risorse, anziché essere un intervento di espansione e ammodernamento. Il piano prevede 20 miliardi di investimenti in sanità in 6 anni, dunque 3,3 miliardi all’anno, ovvero meno del 3% dei 130 miliardi di spesa sanitaria corrente annua.

Demografia ed equilibri fiscali

Altro elemento sfidante per la sanità pubblica è rappresentato dall’evoluzione demografica, fa notare il coordinatore del Rapporto, Alberto Ricci, che “fa presagire un gap crescente tra risorse e bisogni e presenta problemi politicamente scomodi, perché qualsiasi risposta si voglia individuare, risulta poco consolatoria e quindi fisiologicamente impopolare”. Per dare un’idea, nel 2021 si sono registrati 7 nascite e 12 decessi per mille abitanti. Non solo: nel corso dell’anno il calo della popolazione italiana è stato di 253.000 unità, spiegato solo in parte minore dai 59.000 decessi causati dal Covid. La bassissima natalità (1,25 figli per donna: ne servirebbero 2,2 per tenere la popolazione stabile) e l’alta speranza di vita (82 anni) comportano un’incidenza degli anziani già al 24% (14 milioni, di cui i non autosufficienti sono 3,9 milioni, il 6,6% della popolazione).

“Il rapporto tra lavoratori attivi (occupati) e pensionati, oggi 10 contro 6, nel 2050 potrebbe raggiungere la parità”, sintetizza Ricci. Con tutte le conseguenze del caso sugli equilibri tra risorse fiscali e spesa pensionistica. Di qui, secondo il Cergas, la necessità che il management sanitario interpreti la realtà a partire dalle evidenze, definisca scelte strategiche e provi ad attuarle. “In tal senso la probabilità di successo delle innovazioni di servizio è spesso dipendente dalle capacità di motivare e spiegare il cambiamento a cittadini, pazienti, enti locali e realtà sociali dei singoli territori”, concludono gli esperti.

È questa, insomma, la via da seguire per rafforzare e preservare il Servizio Sanitario Nazionale italiano, praticamente unico al mondo per le proprio caratteristiche di equità e universalità.

Il benessere mentale prima di tutto

È il risultato di una ricerca condotta da Ipsos a livello globale. Le preoccupazioni per la salute psichica superano per la prima volta quelle per il cancro e sono seconde solo al Covid.

Il 36% della popolazione mondiale (dal 31% del 2021) percepisce la salute mentale come uno dei principali problemi, secondo solo al Covid (47%) e, per la prima volta, davanti al cancro (34%). è questo il verdetto di uno studio condotto da Ipsos in 34 Paesi e diffuso di recente in occasione del World Mental Health Day 2022. Un dato chiaro e inequivocabile che evidenzia come i quasi tre anni di pandemia abbiano rimescolato le carte a livello sanitario e sociale, cambiando la gerarchia della priorità in diversi ambiti della nostra vita.

Basta pensare che – sempre secondo la ricerca di Ipsos – a livello internazionale, quasi otto persone su 10 (per la precisione il 76%) considerano salute mentale e fisica ugualmente importanti quando si tratta del proprio benessere personale. In Italia, lo pensa l’80% degli intervistati; solo il 13% ritiene che la salute mentale abbia un’importanza maggiore rispetto a quella fisica e solo il 6% l’opposto. 

Fermo il fatto che l’opinione pubblica italiana ritiene che il benessere mentale e fisico siano ugualmente importanti, c’è un altro tema indagato dallo studio di Ipsos. Ovvero: il sistema sanitario riflette questa visione e fornisce un trattamento adeguato? La risposta in questo caso è meno netta: il 40% ritiene che salute mentale e fisica siano trattate allo stesso modo. Il 9% sostiene che alla salute mentale sia data priorità, mentre il 41% pensa che il sistema sanitario si concentri maggiormente sulla salute fisica. 

Ma qual è il quadro italiano più nel dettaglio? Il 55% degli intervistati dichiara di pensare spesso al proprio benessere mentale, in aumento di 4 punti rispetto al 2021 e leggermente sotto la media internazionale pari al 58%. Guardando, invece, al benessere fisico si registrano percentuali più elevate: il 77% degli italiani afferma di pensarci spesso, in aumento di 5 punti rispetto allo scorso anno e sopra la media internazionale pari al 70%. In generale, i dati Ipsos mostrano come si tenda a preoccuparsi al proprio benessere fisico più frequentemente rispetto al benessere mentale, seppur con alcune differenze di genere e generazionali. In particolare, le donne tendono a pensare alla propria salute mentale più degli uomini (62% contro 53%), lo stesso vale più che gli under 35 (65%) rispetto agli over 50 (48%). Segno che le nuove generazioni sono maggiormente sensibili al benessere psicologico: un’indicazione che non può passare inosservata ai policy maker. 

Ambrosetti, allarme sulla salute globale “Più rischi con i cambiamenti climatici”

Il rapporto 2022 di Meridiano Sanità: il 24% dei decessi legato a fattori ambientali

Nel mondo il 24% dei decessi negli adulti e il 28% nei bambini sotto i 5 anni sono attribuibili a fattori ambientali modificabili, di cui oltre 7 milioni legati all’inquinamento atmosferico. La vulnerabilità della salute del Pianeta espone la popolazione non solo a un rischio maggiore di epidemie, ma anche di malattie croniche non trasmissibili: il 62% dei decessi globali associabili ai fattori ambientali è dovuto a queste patologie (8,5 milioni su 13,7 milioni). Questi alcuni dei principali dati illustrati nella XVII edizione del Rapporto annuale di Meridiano Sanità, realizzato dall’omonimo Think Tank di The European House – Ambrosetti, nato nel 2005 per dialogare sul futuro della sanità in Italia.

Lo studio, che si è avvalso – come punto di partenza – delle statistiche fornite dalle istituzioni più autorevoli a livello globale, a cominciare dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità, ha evidenziato come la salute sia il risultato di una combinazione di una molteplicità di elementi sociali, politici ed economici (ad esempio il luogo in cui si vive, la qualità dell’ambiente circostante, la genetica, lo stile di vita, il reddito e il livello di istruzione). Tra i principali determinanti, quelli ambientali stanno assumendo una rilevanza sempre maggiore a cominciare dall’inquinamento e dal cambiamento climatico. Un esempio su tutti: la cattiva qualità dell’aria rappresenta un punto particolarmente critico per l’Italia: secondo le ultime stime della European Environmental Agency, infatti, il 17% dei decessi per inquinamento nel Vecchio Continente si verifica nel nostro Paese. A ciò si aggiunge un quadro in chiaroscuro a livello globale. Stando alle ultime stime dell’Indice di Sviluppo Umano, l’indicatore composito elaborato dalle Nazioni Unite per misurare e comparare lo stato di benessere delle popolazioni dei diversi Paesi, gli effetti della pandemia, acuiti anche dalle conseguenze del conflitto russo-ucraino, hanno portato indietro di 5 anni la storia del progresso globale.

A questa performance negativa – si tratta della prima volta in 32 anni che l’Indice non cresce per due anni consecutivi – hanno contribuito in maniera significativa il peggioramento dell’aspettativa di vita alla nascita, registrato nel 70% dei Paesi del mondo, e la riduzione del reddito medio pro-capite, nell’85% dei casi. Allargando la prospettiva a un perimetro temporale più ampio, tuttavia, la narrativa cambia completamente. Considerando anche in questo caso il 1990 come punto di partenza, l’aspettativa di vita globale è infatti aumentata di oltre 7 anni, passando dai 65,4 anni di trent’anni fa ai 73 attuali. Nello stesso periodo, è migliorata anche l’aspettativa di vita in buona salute (+13,3%), si è ridotto il tasso di mortalità infantile nei primi 5 anni di vita (-60,6%) così come la mortalità prematura per malattie non trasmissibili (-29%). Il trend di lungo periodo, in buona sostanza, è positivo ma solo un aumento rilevante dell’attenzione sul fronte del clima può permetterci di superare le difficoltà incontrate negli ultimi tre anni e di puntare a un ulteriore miglioramento del livello di salute e di benessere a livello globale.

Alzheimer, allarme globale sul boom di casi. Previsti 150 milioni di malati nel 2050

Ogni tre secondi nel mondo qualcuno sviluppa una forma di demenza, di cui il morbo di Alzheimer è la forma più comune. Parliamo di una malattia neurodegenerativa a decorso progressivo e cronico per la quale non è stata ancora trovata una cura e che rappresenta ormai in tutto il pianeta, in particolare nei Paesi sviluppati a causa del graduale invecchiamento della popolazione, uno dei principali elementi di criticità a livello sanitario e sociale. Anche per questo, il 21 settembre è stata celebrata – come ogni anno – la Giornata Mondiale dell’Alzheimer, giunta alla sua XXVI edizione. L’obiettivo? Sensibilizzare l’opinione pubblica e combattere lo stigma che ancora colpisce le persone con demenza e i loro familiari.

I numeri parlano chiaro: una ricerca dell’Institute of Health Metrics and Evaluation dell’Università di Washington, pubblicata sulla prestigiosa rivista britannica “The Lancet” stima, infatti, che in Italia ci siano attualmente 1.487.368 persone con demenza: un numero destinato ad aumentare del 56% entro il 2050, quando arriverà a 2.316.951. Un trend che si riflette a livello globale: la stima è che i casi triplicheranno passando dai 57 milioni del 2019 a oltre 153 milioni tra quasi 30 anni.

La ricerca è stata condotta valutando i possibili casi di demenza in 195 Paesi e territori in varie parti del globo, sottolineando che attualmente essa rappresenta la settima causa di morte in tutto il mondo e una delle principali ragioni di disabilità e dipendenza tra le persone anziane, con costi globali che, secondo calcoli puntuali, per il 2019 ammontavano a oltre 1000 miliardi di euro. Le cause principali? Come detto ci sono l’invecchiamento e la crescita della popolazione, ma non vanno sottovalutati stili di vita non salutari (tra i fattori di rischio i ricercatori puntano il dito in particolare su fumo, obesità e diabete) e un basso grado di istruzione. Va detto, in ogni caso, che ad oggi non si conoscono ancora con esattezza le cause dell’insorgenza di questa malattia.

L’Alzheimer è la causa più comune di demenza nella popolazione anziana dei Paesi sviluppati: ne è colpito, infatti, circa il 5% della fascia sopra i 65 anni e oltre il 20% sopra gli 85 anni. In particolare, la malattia innesca un processo degenerativo che distrugge le cellule del cervello e, in questo modo, causa un deterioramento irreversibile fino alla non autosufficienza. Del resto, il decorso di queste patologie pone un significativo problema di assistenza del malato per le strutture ospedaliere e per le famiglie con il tema della Long Term Care che assume così sempre più rilevanza in ottica futura. L’emergenza è riconosciuta a livello globale se si pensa che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha lanciato il “Global action plan on the public health response to dementia 2017-2025”, invitando i Paesi membri ad agire nel più breve tempo possibile con cinque obiettivi: aumentare la consapevolezza del problema della demenza; ridurre il rischio di questa patologia; assicurare ai malati diagnosi, trattamento e assistenza sanitaria; supportare le famiglie; promuovere ricerca e innovazione.

Superiamo la tempesta

Il punto di vista di Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

Inflazione alle stelle, sospinta dall’impennata dei costi dell’energia, una guerra alle porte dell’Europa, la pandemia che si sviluppa in nuove varianti e cambiamenti climatici che si riflettono pesantemente sui nostri ecosistemi. Molti osservatori la chiamano “la tempesta perfetta”, una definizione che riesce a rendere tutta la complessità di “navigare nel presente” per manager e imprese.
Le aziende italiane stanno dimostrando una straordinaria resilienza, segnale chiaro dell’eccellenza della managerialità che è chiamata quotidianamente a guidarle.
In una fase di così acuto stress lavorativo e organizzativo, ai nostri manager prospettiamo l’orizzonte di un porto sicuro: l’innovativa copertura sanitaria Prodotto Unico Fasi-Assidai. Un’offerta altamente innovativa che, anche grazie ai preziosi servizi erogati da IWS S.p.A. – espressione eminente della bilateralità tra Federmanager e Confindustria -, garantisce ai manager e ai loro nuclei familiari l’accesso alle migliori strutture sanitarie e ai professionisti presenti nelle diverse regioni.

Associazioni Territoriali Federmanager, ruolo chiave

Sono il simbolo del forte legame tra l’associazione e Assidai e rappresentano un canale privilegiato per gli iscritti, anche sulle pratiche cartacee.

Le Associazioni Territoriali Federmanager sono il simbolo del forte legame tra il Fondo di assistenza sanitaria e l’Associazione di rappresentanza che l’ha fondata nel lontano 1990. Assidai, come noto, è un Fondo di categoria e i dirigenti per iscriversi devono far parte anche di Federmanager. All’interno del Fondo vi è una specifica figura che segue i rapporti con le Associazioni Territoriali e, in particolare, monitora quotidianamente le richieste per risolvere al meglio qualsiasi eventuale problematica insieme al personale dedicato dello sportello Fasi-Assidai.
Nel corso dell’anno, Assidai partecipa con molto interesse, in un’ottica di sinergia, agli eventi organizzati sul territorio dalle Associazioni insieme agli Enti di tutto il sistema federale e al Fasi. In particolare, l’obiettivo di Assidai negli incontri è di presentare le attività in corso, illustrare le peculiarità del Prodotto Unico Fasi-Assidai, fornire informazioni su come iscriversi, oltre che ascoltare le esigenze degli iscritti, di coloro che vogliono aderire per la prima volta al Fondo di assistenza sanitaria e valutare le esigenze delle aziende che desiderano garantire ai loro manager un benefit importante come l’assistenza sanitaria integrativa.
Le Associazioni Territoriali sono 55, dislocate su tutto il territorio nazionale. Tra i vari servizi offerti c’è anche lo sportello Fasi-Assidai, che mette a disposizione un canale preferenziale, grazie alla consulenza offerta dal personale Federmanager che ben conosce Assidai e i valori che lo contraddistinguono. I servizi offerti gratuitamente sono numerosi: dal caricamento delle richieste di rimborso cartacee direttamente online, alla loro verifica puntuale per arrivare a eventuali segnalazioni, che poi possono essere analizzate one to one con Assidai.
In caso di necessità, il dirigente può fissare un appuntamento presso l’Associazione Territoriale dove è iscritto per consegnare le proprie richieste di rimborso cartacee. Una soluzione che permette di risparmiare tempo prezioso e che consente di relazionarsi direttamente con un personale preparato, pronto a chiarire ogni dubbio, proprio come è nello spirito degli sportelli Fasi-Assidai.

L’etichetta intelligente per mangiare sano

È la nuova iniziativa lanciata da alcuni Ministeri, tra cui quello della Salute, e dall’Istituto Superiore di Sanità per evidenziare le informazioni nutrizionali dei prodotti alimentari

Fotografare il codice a barre (EAN) dei prodotti confezionati per ottenere approfondite informazioni nutrizionali sugli alimenti e bevande che si consumano, evidenziandone la porzione consigliata dai nutrizionisti e il relativo apporto di calorie, sale, zuccheri e grassi alla dieta quotidiana di ciascuno di noi. è quanto consente la nuova app Nutrinform Battery (scaricabile gratuitamente da Apple Store e Play Store sui telefoni cellulari e i tablet). Per seguire una dieta sana occorre infatti alimentarsi in modo vario e bilanciato, con un corretto apporto di tutti i gruppi di alimenti, ognuno nelle giuste quantità.
La app è la versione smart e digitale dell’etichetta dei prodotti alimentari promossa dai Ministeri dello Sviluppo economico, della Salute e delle Politiche agricole, alimentari e forestali, e realizzata in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA) e i rappresentanti delle associazioni di categoria della filiera agroalimentare.
Si tratta, in particolare, del sistema di etichettatura basato sull’icona della batteria che l’Italia ha proposto alla Commissione Ue come alternativa al semaforo, raccogliendo già l’adesione di diversi Stati membri in vista della decisione che dovrà essere presa entro quest’anno a livello europeo.
Il semaforo Ue, va ricordato, prevede che nell’etichetta, a ogni singolo alimento (su 100 grammi o 100 ml di prodotto) vengano assegnati una lettera e il relativo colore (A, verde scuro; B, verde chiaro; C, giallo; D, arancione; E, rosso), in base a un algoritmo che tiene conto degli elementi nutrizionali da limitare (calorie, grassi saturi, zuccheri e sale) e da prediligere (fibre, proteine, frutta, frutta secca e verdure).

L’olimpionica Federica Pellegrini protagonista della campagna

Per la promozione di un’ampia diffusione dell’app tra i cittadini-consumatori, il ministero dello Sviluppo economico ha avviato una campagna di comunicazione e informazione sui media – in particolare sui canali digitali – dove sarà possibile scaricare direttamente l’applicazione dal titolo NutrInform Battery “il Gusto di essere informati”, che ha come testimonial la campionessa olimpionica Federica Pellegrini.
Ma come funziona esattamente la App? Di facile intuizione, la sua grafica permette di monitorare attraverso il simbolo della batteria il consumo giornaliero di cinque elementi che sono alla base di una corretta alimentazione: calorie, grassi, grassi saturi, zuccheri e sale.
Il consumatore, inquadrando con la fotocamera del cellulare il codice a barre dei prodotti confezionati, potrà conoscere la percentuale di calorie e nutrienti consumati nel corso della giornata, in riferimento alla porzione degli alimenti consigliata dai nutrizionisti secondo i valori stabiliti dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA).
Un aiuto in più, insomma, per seguire una dieta varia ed equilibrata, che a sua volta rappresenta uno dei capisaldi della prevenzione primaria, lo strumento a nostra disposizione contro le malattie croniche (patologie cardiocircolatorie, cancro e diabete), principale causa di decessi a livello mondiale e in particolare nei Paesi occidentali.

“In futuro la svolta sarà un vaccino”

Intervista al Professor Pietro Calissano, neuroscienziato esperto mondiale sull’Alzheimer e “storico” collaboratore di Rita Levi Montalcini

Professor Calissano, il 21 settembre si è celebrata la giornata mondiale dell’Alzheimer. Qual è il significato di questo appuntamento?
Il significato nasce dai numeri: in Italia circa mezzo milione di persone sono affette da Alzheimer e il numero è direttamente collegato con la popolazione. Negli USA, ad esempio, ne soffrono 2,5 milioni di persone.

Quale ritiene sia l’entità del problema, a livello sanitario e sociale, rappresentato dalle forme di demenza e dalle preoccupanti stime sul loro incremento nei prossimi decenni?
Talvolta ho definito Alzheimer una “pandemia generazionale”. Non è infettiva, ma si instaura in rapporto all’età: trascurabile fino a 60 anni (tranne le forme sporadiche ereditarie), ma in progressione con l’invecchiamento fino a colpire un terzo della popolazione oltre i 90 anni. Purtroppo si vive il “paradosso” che i grandi successi della medicina negli ultimi decenni con il prolungamento della vita media si accompagnano anche a un incremento dell’incidenza della malattia. Questa relazione inversa, ovviamente, non significa che dobbiamo interrompere questi formidabili progressi medico-clinici, ma concentrare i nostri sforzi per trovare rimedi all’Alzheimer.

Quali sono le principali cause?
Le cause sono diverse. Ci troviamo nella situazione di alcuni decenni fa quando tutti i tumori venivano classificati come “cancro”. Oggi sappiamo che ci sono diversi tipi di cancro, e ciò permette di mirare meglio le cure. Grazie agli studi condotti in decine di laboratori, si sono individuate piuttosto bene le molecole proteiche che causano e propagano la malattia, ma siamo ancora indietro nel comprendere quali siano le cause che provocano l’attivazione di queste proteine tossiche.

Quali sono, ad oggi, le prospettive per trovare una cura per l’Alzheimer o quantomeno un farmaco che ne rallenti significativamente l’evoluzione?
Penso che lo sviluppo di vaccini potrebbe essere la via più giusta. Mi fa piacere ricordare che nel nostro gruppo allo European Brain Research Institute (EBRI) abbiamo iniziato un lavoro sperimentale con Nadia Canu e Giuseppina Amadoro più di due decenni fa. Purtroppo Nadia Canu è deceduta prematuramente, ma Amadoro sta portando avanti con enorme impegno il testimone di questa ricerca, che si è concretizzato nella produzione di un anticorpo monoclonale estremamente efficace nella cura di modelli animali che sviluppano l’Alzheimer. Stiamo ora iniziando il trasferimento di questo anticorpo per il suo uso clinico all’uomo.

Lei ha lavorato fianco a fianco con Rita Levi Montalcini. Quali sono stati i vostri principali ambiti di collaborazione e che ricordo conserva di lei?
Ho un bellissimo ricordo di Rita Levi Montalcini sia sul piano umano sia su quello scientifico. Fui selezionato per una borsa di studio nel suo piccolo gruppo di ricerca nel 1965 – ventuno anni prima del conferimento del Nobel – grazie a una mia discreta preparazione in biochimica maturata a Genova. Il mio compito consisteva nella ricerca del meccanismo con il quale il NGF, la proteina scoperta negli Usa, induceva la crescita delle fibre nervose nelle cellule bersaglio. Lavorai prima come borsista, in seguito come collaboratore, e fui un suo sincero amico fino alla sua scomparsa. Ovviamente il mio lavoro sperimentale progressivamente divenne più indipendente ma ricorderò sempre con quale interesse seguisse il nostro lavoro scientifico sulle possibili cure per l’Alzheimer.

Pietro Calissano è laureato in Medicina ed è un neurobiologo. È stato collaboratore di Rita Levi Montalcini (Nobel per la Medicina nel 1986) – con lui nella foto – fino alla sua scomparsa. Ha svolto le sue ricerche a Roma e in numerose università, fra le quali Washington University, Ucla, Harvard Medical School, Cambridge University, Weitzman Institute. Ha diretto l’Istituto di Neurobiologia e Medicina Molecolare del Cnr, è stato Ordinario di Neurofisiologia all’Università di Tor Vergata a Roma ed è stato co-fondatore insieme a Levi Montalcini dell’Ebri dove attualmente lavora.