Come prevenire le aritmie maligne nel cuore sano: ecco la nostra sfida

Il Professor Lazzerini illustra le nuove frontiere diagnostiche delle canalopatie cardiache autoimmuni

Anche quest’anno, per la precisione il 29 settembre, la World Heart Federation ha promosso la celebrazione della Giornata Mondiale del Cuore. Ne parliamo con il Professor Pietro Enea Lazzerini, che da anni studia i meccanismi immunologici e infiammatori delle malattie cardiovascolari, in particolare delle aritmie cardiache e della morte improvvisa.

Professor Lazzerini, che significato e obiettivi ha questa giornata?

La Giornata Mondiale del Cuore è un importante evento globale di informazione per ricordare quanto sia fondamentale prestare attenzione al nostro cuore: i dati sulle malattie cardiovascolari, nonostante i grandi progressi scientifici, continuano a essere allarmanti. Solo in Europa, oltre 80 milioni di persone ne sono affette, sono responsabili di circa 4 milioni di decessi annui, nel 25% dei casi per morte cardiaca improvvisa, evento quasi sempre secondario all’insorgenza di aritmie maligne. Obiettivo primario della giornata è   sensibilizzare ed educare l’opinione pubblica in merito alla prevenzione delle malattie cardiovascolari, incoraggiando la messa in atto di stili di vita salutari e promuovendo un atteggiamento attivo e consapevole verso la problematica.

La sua attività di ricerca è da anni focalizzata sui meccanismi immunologici e infiammatori delle malattie cardiovascolari, in particolare delle aritmie cardiache e della morte improvvisa. Ci aiuta a capire cosa sono le aritmie cardiache, i loro tipi, le loro cause e le opzioni terapeutiche attualmente disponibili?  

Si parla di aritmia tutte le volte in cui il cuore batte troppo velocemente, troppo lentamente o in maniera irregolare. Esistono diversi tipi di aritmie, classificati a seconda della frequenza cardiaca, ovvero tachiaritmie quando la frequenza sale oltre i 100 battiti/minuto e bradiaritmie quando scende sotto i 60 battiti, e della sede di origine, ovvero atriali o ventricolari. Le più pericolose sono le tachiaritmie ventricolari, dove la frequenza cardiaca sale così tanto da non permettere un adeguato tempo di riempimento alla pompa e, tra le bradiaritmie, i blocchi atrio-ventricolari, a causa dei quali la frequenza cardiaca scende sino a ridurre in maniera critica la quantità complessiva di sangue pompata per unità di tempo nei vari organi. Queste aritmie, che possono portare a un sostanziale arresto della funzione di pompa del cuore – il cosiddetto arresto cardiaco – sono definite maligne e rappresentano la più comune causa di morte cardiaca improvvisa. Nella maggior parte dei casi sono la conseguenza di cardiopatie strutturali. La loro terapia si basa sul trattamento della cardiopatia di base e, ove non sufficiente, sull’utilizzo di una terapia farmacologica antiaritmica oppure di un defibrillatore impiantabile (una batteria che, al bisogno, genera shock elettrici in caso di tachiaritmie ventricolari) o, ancora, di un pacemaker.

Il 29 settembre la World Heart Federation ha promosso la Giornata Mondiale del Cuore: ne abbiamo parlato col Prof. Pietro Enea Lazzerini.

In termini di mortalità, quale è il peso delle aritmie cardiache nei Paesi occidentali?

Le aritmie sono un’importante causa di morbilità e mortalità. La morte cardiaca improvvisa è responsabile del decesso di oltre 1.000 persone al giorno nei soli Stati Uniti e di 150-200 in Italia. Più in generale, dei circa 20 milioni di persone che ogni anno nel mondo muoiono per malattie cardiache, quasi 5 milioni sono colpiti da morte cardiaca improvvisa.

Ci descrive le ricerche che sta effettuando con il suo team in merito alla diagnosi e al trattamento delle aritmie cardiache provocate da disfunzioni dei canali ionici cardiaci (canalopatie) su base autoimmune?

Sebbene le cardiopatie strutturali rappresentino la causa più frequente di aritmie cardiache e morte cardiaca improvvisa, nel 15% dei casi cica – 30% considerando i soggetti sotto i 40 anni – all’esame autoptico non viene identificata alcuna alterazione strutturale cardiaca. è ormai ben definito che una percentuale di questi casi, apparentemente inspiegati, è dovuta alle cosiddette canalopatie cardiache congenite, un gruppo di malattie aritmogene geneticamente determinate, responsabili di profonde alterazioni dell’attività elettrica del cuore che espongono a un aumentato rischio di insorgenza di aritmie maligne. Cionondimeno, in circa il 70% dei casi di morte improvvisa in soggetti con cuore strutturalmente sano, l’autopsia molecolare non identifica alcuna causa genetica. In questo scenario, evidenze recenti sempre più solide dimostrano come altri fattori possano promuovere lo sviluppo di aritmie inducendo disfunzione di canali ionici, pur in assenza di alterazione cardiaca strutturale. In particolare, sono stati identificati dal nostro e da altri gruppi di ricerca diversi autoanticorpi con attività pro-aritmica in grado di legare specificamente e di modulare la funzione dei canali cardiaci del calcio, del potassio o del sodio. Pertanto, il nostro gruppo ha coniato il nuovo termine di canalopatie cardiache autoimmuni, oramai ampiamente accettato a livello internazionale.

Cosa rende complessa la diagnosi di canalopatia cardiaca autoimmune e quali sono le novità del kit diagnostico al quale state lavorando?

Nella pratica clinica attuale, la diagnosi di canalopatia cardiaca autoimmune non è semplice. La ricerca di autoanticorpi anti-canali ionici circolanti è ristretta, a livello mondiale, a pochi centri di riferimento e non esiste la possibilità pratica di ricercare differenti tipi di autoanticorpi anti-canali ionici contemporaneamente in uno stesso paziente, elemento fondamentale per personalizzare il percorso diagnostico-terapeutico. Appare dunque di estrema importanza avere a disposizione un sistema diagnostico semplice e pratico per le canalopatie cardiache autoimmuni da utilizzare nella pratica clinica in modo agevole e diffuso. Pertanto, stiamo sviluppando un kit basato su una metodica quantitativa che utilizzi come sistema rivelatore le specifiche sequenze peptidiche riconosciute dai diversi autoanticorpi. Ciò al fine di testare nel siero contemporaneamente la presenza di più possibili anticorpi-anti canali ionici, specificamente selezionati sulla base del tipo di aritmia presentato dal paziente.

Che ricadute potrebbe avere il vostro lavoro a livello clinico, diagnostico e terapeutico?

Le ricadute nella pratica clinica potrebbero essere notevoli. In particolare, potrebbero fruire di tale kit diagnostico soprattutto pazienti con aritmie cardiache o arresto cardiaco “abortito”, ovvero ripreso grazie alle manovre di rianimazione, nei quali, nonostante indagini approfondite (inclusa quella genetica) non si riesca a identificare alcuna causa nota, ma anche pazienti con patologie cardiache strutturali o canalopatie cardiache congenite che non rispondono ai trattamenti antiaritmici convenzionali. Dal punto di vista terapeutico, l’identificazione di un meccanismo autoimmune alla base di un evento aritmico potrebbe creare opportunità innovative e personalizzate, ad esempio con terapie mirate al sistema immunitario.

 

Pietro Enea Lazzerini è Professore Ordinario di Medicina Interna presso l’Università di Siena e Direttore della Unità Operativa Complessa di Medicina Interna della Azienda Ospedaliera Universitaria Senese. La sua attività di ricerca è da anni focalizzata sui meccanismi immunologici e infiammatori delle malattie cardiovascolari, in particolare delle aritmie cardiache e della morte improvvisa. Tale attività ha portato alla pubblicazione di oltre 150 articoli su riviste internazionali “peer reviewed”, alcune di prestigio assoluto tra cui Nature, Circulation, Journal of the American College of Cardiology, European Heart Journal, nonché a ricoprire il ruolo di “invited speaker” in numerosi congressi internazionali, tra cui le Scientific Sessions della American Heart Association, della Heart Rhythm Society e della European Society of Rheumatology.

Paniere welfare

Il punto di vista di Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

Ci sono valori nelle nostre vite dai quali non si può prescindere e, indubbiamente, uno di questi è l’accesso universale alle cure mediche che, insieme ad altri pilastri essenziali come sanità in generale, politiche sociali, previdenza e istruzione, rientrano nel “paniere del welfare”: tutti i servizi che lo Stato e i privati garantiscono al fine di favorire il benessere individuale e collettivo, con una spesa che in Italia, nel 2023, ammonta a oltre 600 miliardi di euro.

È bene tener conto di questa ricchezza quando si intende riformare l’organizzazione di servizi essenziali.
Per questo insistiamo sull’opportunità di un patto strategico tra il welfare pubblico e quello privato, che sia efficace e a vantaggio della collettività. I nostri Fondi di sanità integrativa e quelli di previdenza complementare rappresentano una grande risorsa per i manager e le loro famiglie. In particolare, la sanità integrativa compensa le carenze manifestate da alcune realtà territoriali e garantisce meccanismi di tariffazione e pagamento trasparenti.

E in tema di risparmi ed efficientamento della spesa sanitaria anche la tecnologia ci viene in aiuto e può fare la differenza su molti fronti: intelligenza artificiale, telemedicina, robotica, big data, reti del futuro stanno cambiando, in meglio, il mondo della salute e quindi la nostra vita. Un futuro di grandi trasformazioni che può e deve essere orientato a favore dell’intero sistema.

Chemioterapia, benefici dall’attività fisica

Lo rivela una ricerca dell’Università di Basilea, secondo cui esercizi incentrati principalmente sull’equilibrio, svolti due volte a settimana, possono dimezzare il rischio di complicanze derivanti dalla cura. 

Non si tratta del primo report che sottolinea come chemioterapia e attività fisica possano convivere e, anzi, come quest’ultima possa portare benefici, in particolare al mantenimento di una buona condizione fisica generale e della funzionalità degli organi  

Formicolii, sensazione di punture di aghi, alterazioni della sensibilità. Sono questi, tra gli altri, alcuni dei stintomi tipici della neuropatia periferica, una possibile complicanza della chemioterapia, contro cui oggi non ci sono cure particolarmente efficaci. Tuttavia, una recente ricerca coordinata dall’Università di Basilea e pubblicata su Jama Internal Medicine ha suggerito che un semplice programma di esercizio fisico durante la terapia può ridurre, fino a più che dimezzare, il rischio di questa complicanza. 

La ricerca ha coinvolto 158 pazienti in cura in quattro ospedali nei pressi di Colonia, in Germania. I ricercatori li hanno divisi in tre gruppi: due di essi hanno effettuato per tutta la durata del trattamento due sedute a settimana di esercizi incentrati principalmente sull’equilibrio, eseguiti su una superficie instabile o su una pedana vibrante. Il terzo è servito invece come gruppo di controllo. I pazienti sono stati seguiti per i successivi cinque anni e, sia nel breve sia nel lungo periodo, è stata osservata una minore quota di effetti collaterali a carico dei nervi periferici. In particolare, nel gruppo di controllo, ha sofferto di neuropatia il 70,6% dei pazienti, mentre nei due gruppi che hanno effettuato i programmi di esercizi le percentuali sono state rispettivamente del 30% e del 41,2%. Numeri significativi, che danno l’idea delle possibilità offerte da questo tipo di percorso per alleviare le eventuali complicanze della chemioterapia.  

I benefici in questione, secondo i ricercatori, potrebbero addirittura andare oltre i semplici effetti sul sistema nervoso. “La prevenzione dei deficit neurologici aumenta la qualità della vita dei pazienti e, migliorando la tollerabilità e l’aderenza al trattamento oncologico, può anche avere un impatto sugli esiti clinici e sulla sopravvivenza globale”, sottolineano gli esperti dell’Università di Basilea. Insomma, potrebbero aprirsi orizzonti ancora più ampi: del resto, non si tratta del primo studio che sottolinea come chemioterapia e attività fisica possano convivere e, anzi, come quest’ultima possa portare benefici, in particolare al mantenimento di una buona condizione fisica generale e della funzionalità degli organi.  

Tumore al seno e mare, sì ma con qualche attenzione

Le donne operate di tumore al seno possono andare in vacanza al mare? Il dubbio è lecito per tutte coloro che sono state colpite da questa malattia. La risposta è sì, con qualche accorgimento, almeno sentendo il parere dei principali oncologi. Innanzitutto, meglio aspettare almeno 3-6 mesi dall’operazione prima di esporsi al sole, per evitare che la cicatrice diventi ipertrofica e si irriti. Chi ha già trascorso i 6 mesi dall’operazione non ha bisogno di indossare particolari indumenti al di là del costume: basta una protezione solare molto alta, con un fattore di protezione Spf superiore a 50, tranne in casi particolari in cui la cicatrice non si possa coprire neanche indossando un costume intero. In quel caso conviene indossare indumenti protettivi. 

Fare il bagno al mare, sempre con la cicatrice coperta e non esposta al sole, non solo è possibile ma è addirittura consigliato: nuotare fa benissimo, soprattutto alle donne che hanno subìto lo svuotamento ascellare perché questo tipo di attività fisica evita l’accumulo di liquidi. La regola fondamentale, indipendentemente dalla cicatrice, è sempre quella di esporsi al sole solo nelle prime ore del mattino o dopo le 17. 

Discorso diverso per le donne che stanno facendo chemioterapia perché ci sono dei farmaci che possono provocare danni notevoli sulla cute e l’esposizione al sole può peggiorare questi danni. Per chi ha affrontato la radioterapia, invece, niente sole per un anno per il problema delle radiodermiti, delle teleangectasie e di tutta una serie di complicanze che possono provocare seri problemi. 

Bere e alimentarsi nel modo giusto: ecco i segreti per difenderci dal caldo

Intervista all’esperta Sara Farnetti: “Il nostro corpo ci parla, ascoltiamo i suoi messaggi” 

Il nostro corpo va dissetato: non solo con l’acqua, ma con un’alimentazione adeguata al caldo record dell’estate. Il consiglio, più che autorevole, arriva da Sara Farnetti, specialista in Medicina interna con Ph.D. in Fisiopatologia della Nutrizione e del Metabolismo.  

Dottoressa Farnetti, quali sono i principali accorgimenti per il nostro regime alimentare con il caldo estivo? 

Parola d’ordine: dissetare il corpo! L’errore più comune? Andare in vacanza da pentole e fornelli. Il rischio è quello di seguire una alimentazione ricca di zuccheri, che non è salutare anche se facile da gestire, specie sotto l’ombrellone o come turisti itineranti. L’eccesso di carboidrati ci fa aumentare di peso e infiamma. Un gelato o una barretta sono sì soluzioni veloci, ma possiamo fare di meglio per non trovarci a settembre con qualche kg di troppo, la digestione rallentata e la sensazione di gonfiore. Il fegato lavora bene se lo attiviamo: cucinare gli alimenti aiuta, non certo un pezzo di pizza e neppure un estratto di frutta e verdura. Meglio una frittata con zucchine, i fagiolini in padella con il pomodoro, la pasta con le zucchine fritte e i pinoli.  

 Quali sono i segnali che il corpo ci invia e a cui dobbiamo prestare attenzione in caso di forte caldo? 

Il corpo ci parla, ma spesso noi ci accorgiamo solo della malattia conclamata e non dei sintomi o dei segni che ci vengono inviati in anticipo. I crampi ci avvisano di uno squilibrio in atto, la stanchezza, la sensazione di cuore che batte o cardiopalmo, la cefalea, la pressione bassa, intensa sudorazione o intolleranza alle alte temperature sono altri segnali importanti. Gli anziani e i bimbi non si idratano con attenzione, dobbiamo avere cautele nei loro confronti ed è importante frazionare l’assunzione di acqua durante il giorno. In chi assume anti-ipertensivi spesso i sintomi sono di profonda spossatezza per la riduzione eccessiva della pressione. In questi casi è opportuno adeguare la terapia farmacologica alla stagione estiva. 

Infine, no alle ore calde per fare attività fisica, indossare sempre un cappello e non rimanere a lungo senza potersi idratare. 

 A questo proposito, come regolarsi con il bere? Quanta acqua assumere al giorno e che tipo di integratori, nel caso, prediligere? Bibite gassate e alcolici vanno banditi del tutto? 

Ci sono molte strategie per rimanere idratati. Anche l’acqua di vegetazione degli alimenti è essenziale: quindi, non solo acqua da bere, ma anche da mangiare. Un’ora prima dell’esposizione al sole, bere un paio di bicchieri di acqua a piccoli sorsi; durante l’esposizione, ogni 15-20 minuti bere un sorso di acqua e limone, più dissetante e depurativa, oppure tè o tisana di zenzero non dolcificati;  consumare un pinzimonio misto, multicolore, anche in spiaggia, 2-3 volte al giorno; prevedere nel pasto serale un’abbondante porzione di verdura cruda e un frutto per dissetare la pelle, bevendo un po’ di più se la sudorazione è stata profusa; infine, no a bibite analcoliche e succhi di frutta: sono troppo ricchi di zuccheri veloci, responsabili dell’aumento del grasso addominale. Bibite gassate e alcolici sono freschi, ma non dissetano e non sono utili per la calura estiva. Il nostro sistema ha sete di minerali, non solo di acqua e bevendo troppo rischiamo addirittura di perdere sodio, potassio, magnesio e calcio con le urine o con il sudore. I crampi sono un sintomo importante: avvisano che il corpo non riesce a gestire una carenza di minerali. Possiamo quindi assumere integratori a base di magnesio, potassio e calcio per evitarli. Una carenza di minerali può essere concausa di astenia, confusione mentale, deficit di forza, insonnia, dolori diffusi, nervosismo e, nel tempo, anche di osteoporosi e aritmie. La disidratazione può provocare stipsi e l’intestino pigro favorisce le infezioni urinarie, la concentrazione delle urine, e le coliche biliari per l’aumento della viscosità della bile. Bere è davvero funzionale per tutto l’organismo e queste combinazioni di cibi aiutano a ripristinare velocemente l’equilibrio dei minerali: capperi con l’aperitivo o fiori di cappero nelle insalate, un crostino con le alici, pane con pomodoro, olio e sale, una insalata di rucola e Parmigiano, patate fritte in olio evo e insalata di pomodori, un pinzimonio con aceto olio e sale.  

 Quali sono, invece, i cibi assolutamente da evitare? 

Alcuni alimenti sono troppo ricchi di sodio. Non incorriamo nel luogo comune che basta mettere più sale!  Per chi non lo usa, un pizzico di sale a crudo può giovare, ma attenzione agli alimenti ricchi di sodio. La bresaola, il prosciutto crudo e cotto, il pesce affumicato come il salmone, gli affettati di pollo e tacchino, i formaggi stagionati, sono ricchi di sodio e un consumo eccessivo, anche d’estate, è sconsigliato. Peggiorano sintomi come arti pesanti, gambe gonfie, ritenzione e non sono troppo salutari per i reni. Per gli ipertesi, se la pressione tende a scendere, meglio ridurre la terapia farmacologica che fare incetta di sodio con gli alimenti. 

 Ci può dare un modello di alimentazione per la classica giornata “da ombrellone”? 

Sotto l’ombrellone non mangiamo a caso: meglio scegliere bene a pranzo per concedersi qualcosa di sfizioso a cena, dove in compagnia è più difficile dire di no. Cerchiamo di evitare panini, toast, tramezzini, gelato, macedonia, se la sera ci attendono un bel piatto di spaghetti, la pizza o un buon gelato. Meglio un pinzimonio di verdure, un avocado, il cocco fresco, un’insalata con le uova sode oppure di pomodoro, rucola e tonno, una frittata di uova e zucchine, uno yogurt bianco con cetrioli. Così controlliamo l’insulina, il corpo si sfiamma e allo stesso tempo assumiamo i minerali anti-calura. 

Rinnovata la certificazione del Sistema di Gestione

Il riconoscimento è stato ricevuto in base alle norme UNI EN ISO 9001:2015 e rilasciato da DNV-GL, Ente di certificazione di primaria importanza nel panorama internazionale  

Anche quest’anno Assidai ha ottenuto il rinnovo della certificazione del Sistema di Gestione Qualità in base alle norme UNI EN ISO 9001:2015, rilasciato da DNV-GL, Ente di primaria importanza nel panorama internazionale, per quanto concerne l’erogazione del servizio di rimborsi spese mediche e assistenziali per dirigenti, quadri e consulenti. 

Di che cosa si tratta esattamente? Certificare il proprio Sistema di Gestione, in base ai dettami della norma sopra richiamata,  permette al Fondo di raggiungere i più elevati standard di conformità in merito ai servizi offerti a manager, quadri, consulenti e alle loro famiglie, con l’obiettivo finale di costruire, a livello nazionale, un sistema sanitario integrato e complementare pubblico-privato, che operi nell’interesse delle persone assistite e favorisca, nel contesto del welfare sociale e aziendale, un ottimo bilanciamento tra il livello qualitativo dei servizi offerti e la sostenibilità economica. 

In quest’ottica, il rinnovo della certificazione è molto importante: le normative della famiglia ISO 9000, sviluppate dall’Organizzazione internazionale per la normazione (ISO), definiscono requisiti per realizzare un Sistema di Gestione capace di incrementare l’efficacia e l’efficienza nella realizzazione del prodotto e nell’erogazione del servizio, al fine di ottenere e incrementare la soddisfazione del cliente. E proprio per questo richiedono, anno dopo anno, un miglioramento continuo che Assidai persegue anche mediante un piano di formazione e crescita professionale del personale.

Inoltre, con il procedere delle varie edizioni, la ISO 9001 è molto cambiata. Se le prime due norme erano ancora molto focalizzate sul controllo della qualità ed erano studiate per l’impresa manifatturiera, quelle successive hanno eliminato le prescrizioni tipiche di quel settore per favorire l’adattabilità anche alle piccole aziende e agli Enti che non fabbricano o commercializzano prodotti, ma erogano servizi. Proprio come Assidai.

Va ricordato che, la volontà di dotarsi di un Sistema di Gestione certificato (ormai dal 2011) è alla base della strategia di sviluppo sostenibile voluta dal Fondo e iniziata diversi anni fa anche con l’iscrizione all’Anagrafe dei Fondi Sanitari e il rinnovo annuale della stessa, con la certificazione volontaria del Bilancio d’esercizio, con la realizzazione del Codice Etico e di Comportamento e, in ultimo, con la recente certificazione secondo la prassi UNI PdR 125:2022 sulla parità di genere. 

 

Dal Ministero della Salute i principi per un’alimentazione sana

“Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato che gli individui che aderiscono ai principi di una sana e corretta alimentazione durante tutto il corso della vita presentano un minor rischio di sviluppare malnutrizione e patologie croniche non trasmissibili”. E’ partendo da questo presupposto che il Ministero della Salute ha diffuso di recente un opuscolo intitolato Principi per una sana alimentazione, in cui  sottolinea come nel 2019 EAT-Lancet Commission ha proposto un pattern alimentare sano e sostenibile basato sulla drastica riduzione del consumo di cibi non salutari, come ad esempio carne rossa, grassi di origine animale e zuccheri, a favore di un raddoppio degli alimenti di origine vegetale come frutta, verdura, legumi, frutta secca, semi e oli vegetali.  

Le raccomandazioni per un’alimentazione sana e sostenibile possono essere così riassunte in alcuni capisaldi. Tra cui: preferire il consumo di alimenti di origine vegetale come cereali integrali, legumi, frutta, verdura, legumi, noci; consumare due porzioni di frutta e tre di verdura al giorno, escluse patate, patate dolci, manioca e altre radici amidacee; ridurre al massimo il consumo di alimenti ricchi in zuccheri semplici o bevande zuccherate (inclusi i succhi di frutta) così come di alimenti altamente processati o preconfezionati; consumare meno di 5 grammi di sale (equivalenti a circa un cucchiaino) al giorno.  

Dengue, l’Oms lancia l’allerta globale

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) lancia l’allerta Dengue. Nei primi quattro mesi del 2024 nel mondo sono stati diagnosticati oltre 7,6 milioni di casi di questa malattia: 3,4 milioni di infezioni confermate, oltre 16mila casi gravi e più di 3mila morti. Inoltre, aggiunge l’Organizzazione, negli ultimi cinque anni, è stato segnalato un aumento sostanziale dei casi a livello globale, con un’ulteriore accelerazione nel corso di quest’anno.

Il virus della Dengue si trasmette agli esseri umani attraverso la puntura di zanzare infette. Normalmente – spiega l’Istituto Superiore di Sanità – la malattia, che può anche essere asintomatica, dà luogo a febbre nell’arco di 5-6 giorni dalla puntura stessa, con temperature anche molto elevate. La febbre è accompagnata da mal di testa acuti, dolori attorno e dietro agli occhi, forti dolori muscolari e alle articolazioni, nausea e vomito, irritazioni della pelle che possono apparire sulla maggior parte del corpo dopo 3-4 giorni dall’insorgenza della febbre. I sintomi tipici sono spesso assenti nei bambini.

Per ora, in ogni caso, la situazione non è da allarme rosso. “Finora nel 2024 in Europa non sono stati segnalati casi di Dengue autoctoni o trasmessi localmente, ma – puntualizza l’Oms – questi dati verranno aggiunti quando si verificheranno infezioni di questo tipo”. Nel 2023, invece, casi autoctoni erano stati segnalati nella regione europea in 3 Paesi, fra cui – come è noto – l’Italia (82), e poi la Francia (45) e la Spagna (3).

Come sta il ceto medio

Abbiamo scelto di partire dallo stato di salute del ceto medio per comprendere le opportunità di crescita e benessere del nostro Paese.

Il valore del ceto medio per l’economia e la società” è il titolo dell’ampio rapporto realizzato da Cida e Censis, presentato il 20 maggio alla Camera dei deputati, dal quale emerge una situazione di vulnerabilità, tra rischi di declassamento e aspettative pessimistiche sul futuro.

Medici, insegnanti, manager, imprenditori, professionisti, amministratori pubblici, impiegati e pensionati: il 48,8% vive il timore di una regressione nella scala sociale e il 74,4% avverte il blocco della mobilità verso l’alto.

Abbiamo fotografato anche la situazione del Servizio sanitario, tra aumento della spesa privata, interminabili liste d’attesa, emersione di patologie croniche e fabbisogni sociosanitari di una popolazione più anziana.

Tutto questo, ancora, non ha minato la fiducia espressa negli operatori: il 62,2% è convinto che avere medici come dirigenti nel Ssn è una garanzia per i pazienti. In un tempo segnato dalla perdita di social reputation di tante professioni, il sapere medico resta un pilastro della convivenza civile.

Il finanziamento della sanità richiede certamente un aumento della spesa pubblica, ma anche la valorizzazione di soluzioni alternative. Una risorsa viene dalla sanità integrativa che può contribuire ad ampliare l’offerta in relazione alla domanda reale e appropriata di prestazioni.

Salute, il 42% cerca informazioni sul web

È quanto emerge da un’indagine di Nomisma: gli italiani si rivolgono a Internet per avere risposte rapide su disturbi o sintomi, per informazioni sulla prevenzione e per individuare strutture sanitarie o servizi di interesse

Oltre il 40% degli italiani cerca online informazioni su salute e benessere. E’ quanto emerge da una recente indagine di Nomisma, presentata recentemente a Bologna durante l’evento “About Health”, che aveva, tra gli altri, l’obiettivo di fare il punto sulle evoluzioni del settore salute e di interrogarsi sulle nuove opportunità derivanti dall’applicazione di tecnologie all’avanguardia e canali di comunicazione innovativi.

Il risultato dell’indagine non stupisce: la crisi sanitaria connessa alla diffusione della pandemia Covid-19 ha indubbiamente influenzato i bisogni e l’approccio degli italiani rispetto ai temi salute e benessere. In particolare, per trovare informazioni il 42% degli italiani si rivolge a siti web specializzati e il 38% a Google, da cui ovviamente partono poi ricerche più specifiche sul tema che si vuole approfondire. Il medico di base? Batte il web ma non di molto: a interpellarlo, infatti, è soltanto il 56% degli italiani. Il motore di ricerca è un crocevia utilizzato principalmente nella ricerca di risposte rapide e chiare riguardo disturbi o sintomi (52% degli italiani), di strutture, prestazioni o servizi di interesse (44%) nonché di informazioni e chiarimenti in tema di prevenzione (32%). Tra i contenuti più apprezzati tra gli utenti online figurano le interviste agli specialisti (58%) e gli articoli di approfondimento pubblicati su blog e siti specializzati (53%).

Google ha un ruolo rilevante anche per individuare la struttura sanitaria a cui rivolgersi (47%), anche se in questo caso specifico il passaparola rimane il principale canale di informazione (55%). Tra i driver che influenzano la scelta degli italiani, il più apprezzato è certamente la presenza di agevolazioni economiche (88%), come convenzioni con aziende, enti o associazioni, seguito dalla possibilità di consultare i referti online (76%) e di prenotare visite online sul sito della struttura (73%). Fondamentale anche la presenza di un servizio di assistenza clienti rapido e soddisfacente (73%).

Tra i temi approfonditi con la survey sulla popolazione, rientra anche la sensibilità al tema della sicurezza dei dati sanitari. L’83% degli italiani ritiene importante il rispetto della privacy e della sicurezza dei propri dati sanitari, e ben l’81% considera fondamentale ricevere informazioni chiare sulle modalità di trattamento degli stessi. Trattamenti non corretti e violazioni influiscono sul rapporto di fiducia tra pazienti e strutture sanitarie, con quasi 3 italiani su 10 che non tornerebbero in strutture che hanno subìto una violazione di dati.