Celiachia, salgono le diagnosi in Italia

Con quasi 252mila casi nel 2022 si torna ai livelli del 2019: a dirlo l’ultima Relazione al Parlamento preparata dal Ministero della Salute su questa patologia. Il Ministro Schillaci: “Importante la prevenzione”

Dopo una contrazione rilevante, il saldo delle diagnosi di celiachia torna a salire e si riporta ai livelli del 2019. A dirlo è l’ultima Relazione al Parlamento su questa patologia, realizzata dal Ministero della Salute, pubblicata nelle scorse settimane e riferita al 2022. Dai dati si evince infatti che, in Italia, erano stati diagnosticati 251.939 celiaci, di cui il 70% (176.054) appartenenti alla popolazione femminile e il restante 30% (75.885) a quella maschile. La prevalenza media nazionale è dello 0,43% – femminile allo 0,58%, maschile allo 0,26% – mentre le Regioni (o province autonome) con i numeri più elevati sono Trento, Toscana e Valle D’Aosta, tutte con lo 0,54 %. Per quanto riguarda invece le fasce di età, per ben il 67%, ricade tra 18 ai 59 anni.

Fin qui si parla ovviamente dei casi “accertati”, ma la realtà purtroppo è ben diversa. La celiachia, che ricordiamo è un’enteropatia infiammatoria di natura autoimmune scatenata dall’ingestione di glutine (complesso proteico presente in molti cereali, come orzo, frumento e segale) in soggetti geneticamente predisposti, si stima abbia una prevalenza nella popolazione italiana intorno all’1% per un numero di casi attorno ai 600mila: il problema è dunque che oltre la metà di coloro che soffre di questa patologia non lo ha ancora scoperto o accertato.

È bene sottolineare che nei soggetti celiaci mangiare glutine scatena una risposta immunitaria che colpisce l’intestino tenue. Il persistere di questa risposta produce un’infiammazione che danneggia le strutture fondamentali dell’intestino stesso, i villi intestinali, causandone un appiattimento e di conseguenza un’incapacità di assorbire i nutrienti. Il danno intestinale può causare perdita di peso, gonfiore e talvolta diarrea. Il malassorbimento in particolare di vitamine e oligoelementi può causare danni a diversi organi, tra cui sistema nervoso, osso, apparato riproduttivo, sistema sanguigno. Non esiste una cura specifica per la celiachia, l’unico trattamento efficace consiste nella rigorosa eliminazione del glutine della dieta.

In Italia – ricorda il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, nell’introduzione alla Relazione al Parlamento – la dieta del celiaco è in quota parte finanziata dal Servizio Sanitario Nazionale per l’erogazione gratuita dei prodotti senza glutine. Inoltre, aggiunge, “la celiachia in Italia è riconosciuta anche come malattia sociale poiché condiziona il normale inserimento nella vita di gruppo tanto da comprometterne alle volte l’osservanza della dieta. Per prevenire il più possibile situazioni di disagio e agevolare l’accesso sicuro ai servizi di ristorazione collettiva è previsto un ulteriore contributo annuale che le Regioni possono investire per implementare iniziative di formazione per gli operatori del settore alimentare e per consentire l’adeguamento delle mense annesse alle strutture pubbliche”. Infine, il tema della prevenzione, che ha un valore chiave anche in questo frangente: “Per la celiachia ad oggi non esiste una cura, ma le complicanze di una diagnosi tardiva restano importanti per cui nel 2023 il Parlamento italiano ha deciso di investire sulla prevenzione sviluppando un programma di screening nazionale per la popolazione pediatrica”, conclude il Ministro.

Il buon lavoro

Il punto di vista di Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

Molti fattori concorrono allo stare bene in azienda: dal clima aziendale al senso di appartenenza a un’organizzazione, passando dal welfare e in particolare dai servizi per la salute. Avere un buon lavoro, oggi, non significa solo avere una posizione sociale riconosciuta e un buon reddito, ma anche essere impegnati in un’attività conciliabile con le proprie esigenze e le aspirazioni personali. Le azioni per la salute e il welfare risultano tra i filoni di intervento più apprezzati da lavoratrici e lavoratori e non è un caso che rappresentino il nuovo terreno di sfida delle aziende per motivare chi già è impiegato a restare e per attrarre nuovi lavoratori. La connessione tra nuovi bisogni e sviluppi del welfare aziendale è confermata dal 5° rapporto sul Welfare occupazionale e aziendale in Italia, in cui si evidenzia che uno dei rischi incombenti di maggior rilievo, per effetto della curva demografica, è dato dalla copertura della non autosufficienza e dalle conseguenze di una vita più lunga. Anche i giovani manifestano un’attenzione significativa alle politiche organizzative orientate al benessere e al welfare in azienda. Questa nuova interpretazione del senso attribuito al lavoro ha rappresentato per me la spinta per scrivere, insieme a Manuela Perrone, il libro “Il buon lavoro. Benessere e cura delle persone nelle imprese italiane”, edito da Luiss University Press per la collana Bellissima, uscito recentemente nelle librerie. Un saggio mi auguro utile per riflettere sul cambiamento in atto.

Digiuno intermittente e metabolismo

Secondo i suoi sostenitori, tra cui Franco Berrino, migliora il funzionamento del nostro corpo, “che si libera del superfluo” e aiuta a prevenire le malattie croniche

Astenersi da cibo e bevande per 16-18 ore (saltando la cena) o di 24 ore (saltando pranzo e cena) o di 36 ore (saltando colazione, pranzo o cena) consente alle cellule di attivare l’autofagia, un processo con cui esse si liberano di organelli e proteine malfunzionanti che è meglio smaltire, insomma un’occasione per fare decluttering, ossia liberarsi del superfluo, ovvero di tutto quello che non serve per la vita”.

Così nel libro “La via della leggerezza” il medico ed epidemiologo italiano, Franco Berrino, descrive il cosiddetto digiuno intermittente, di cui è sostenitore, in particolare per alcune categorie (adulti in sovrappeso) insieme ad altri esperti di alimentazione. Il motivo? Secondo Berrino è presto detto: al di là del famoso adagio “colazione da re, pranzo da signore e cena da povero”, più studi hanno dimostrato che una colazione abbondante e una cena leggera prevengono la sindrome metabolica e l’associata resistenza insulinica. E, come sappiamo, la sindrome metabolica è associata a un maggior rischio di diabete, infarto, cancro, steatosi e cirrosi epatica, broncopatie croniche e anche malattie neurodegenerative. Proprio contro queste ultime, secondo Berrino, il digiuno intermittente sarebbe un’ottima forma di prevenzione.

Una cosa è certa: prima di iniziare qualsiasi forma di digiuno intermittente è bene rivolgersi a un medico o a uno specialista. Per esempio, secondo gli esperti, è sconsigliato a bambini, adolescenti, donne in gravidanza, a chi soffre di gravi patologie e a chi è sottopeso. Discordanti, invece, i pareri sugli anziani.

Detto questo, esistono diversi approcci al digiuno intermittente che si basano sulla scelta di mangiare o digiunare in determinati periodi di tempo.

Programma Nazionale Equità Salute

L’iniziativa punta a supportare l’organizzazione regionale e locale dei servizi sanitari e socio-sanitari in sette Regioni italiane caratterizzate da maggiori difficoltà. Il ruolo di sostegno dei fondi europei

Contrastare la povertà sanitaria, prendersi cura della salute mentale, porre il genere al centro delle cure, assicurare una maggiore copertura degli screening oncologici. Sono queste le quattro aree in cui il Programma Nazionale Equità nella Salute, lanciato di recente dal Ministero della Salute, individua le priorità d’intervento, ovvero dove risulta “necessaria un’iniziativa nazionale a supporto dell’organizzazione regionale e locale dei servizi sanitari e socio-sanitari”. Il Programma, va ricordato, persegue l’Obiettivo di Policy 4, previsto dal Regolamento (Ue) 2021/1060, di “un’Europa più sociale e inclusiva attraverso l’attuazione del Pilastro europeo dei diritti sociali”. Più in particolare, l’obiettivo dell’iniziativa è rafforzare i servizi sanitari e renderne più equo l’accesso in sette Regioni: Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia. In queste Regioni si registrano infatti, rispetto al resto del Paese, minori livelli di soddisfacimento degli standard definiti a livello nazionale (LEA, Livelli Essenziali di Assistenza) e maggiori difficoltà finanziarie e organizzative nella gestione del servizio sanitario.

Per perseguire la promozione, il mantenimento e il recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione è necessario sia che i servizi sanitari garantiscano la qualità delle prestazioni erogate (azioni di sistema) sia che l’organizzazione sanitaria includa attivamente le fasce più vulnerabili della popolazione, che subiscono più frequentemente e gravemente gli effetti delle barriere di accesso economiche, sociali e culturali.

 

Le verifiche sull’attuazione

Il Programma sarà soggetto a verifiche periodiche sul suo iter. Infatti, secondo l’articolo 16 del Regolamento (Ue) 2021/1060, ciascun Stato membro istituisce un quadro di riferimento dell’efficacia dell’attuazione che prevede la sorveglianza, la rendicontazione e la valutazione della performance di un Programma durante la sua attuazione e contribuisce a misurare la performance generale dei fondi. Tale quadro di riferimento consta di: indicatori di output (che misurano il prodotto dell’attività svolta nell’attuazione dell’intervento) e di risultato (relativi invece ai vantaggi/svantaggi di chi ha beneficiato degli interventi stessi), entrambi collegati a obiettivi specifici stabiliti nei regolamenti europei. Inoltre, gli indicatori di output avranno un target intermedio da centrare entro fine 2024 e uno finale entro il 31 dicembre 2029, gli indicatori di risultato dovranno essere raggiunti entro il 31 dicembre 2029. Laddove i target intermedi e i target finali – va sottolineato – sono stabiliti in relazione a ciascun obiettivo specifico nell’ambito di un programma e permettono alla Commissione e agli Stati membri di misurare i progressi compiuti verso il conseguimento degli obiettivi specifici medesimi.

 

Le risorse finanziarie

Il Programma Nazionale Equità nella Salute 2021-2027 ha una dotazione finanziaria di 625 milioni di euro, comprensiva della quota di Assistenza Tecnica (AT) pari a 23,7 milioni di euro, di risorse Ue e nazionali. Essendo un Programma plurifondo, è sostenuto dal Fondo Sociale Europeo Plus (FSE+) e dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR). Per riassumere, la dotazione finanziaria del Programma vede 185,9 milioni di euro destinati all’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della Povertà (Inmp) in qualità di Organismo intermedio designato all’attuazione degli interventi relativi all’area “Contrastare la povertà sanitaria”. Altri 405,7 milioni sono suddivisi tra le sette Regioni destinatarie (Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia) secondo la modalità di riparto basata sulla quota di accesso al Fondo Sanitario Nazionale 2022.

Infine, rimangono in capo al Ministero della salute gli interventi previsti nelle Priorità di Assistenza tecnica di importo complessivo pari a euro 23,75 milioni nonché quelli di adeguamento delle competenze del personale (5,12 milioni) e le iniziative di comunicazione, sensibilizzazione e informazione (4,5 milioni).

Allergie, in Italia solo il 2% si vaccina

Nel nostro Paese e a livello mondiale sono sempre più diffuse e rappresentano una voce di spesa rilevante del Servizio Sanitario Nazionale

Per le persone allergiche il vaccino ad hoc può essere un salvavita, ma su 6 milioni di italiani che potrebbero usufruirne – su un totale di 12 milioni – solo il 2% opta per la somministrazione, anche a causa della mancata rimborsabilità in varie Regioni. Un paradosso, affermano gli allergologici, che espone ad alti rischi e determina un costo notevole per il Servizio Sanitario Nazionale (circa l’1-2% della spesa sanitaria complessiva). Per questo, in occasione dell’ultimo congresso della Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica (Siaaic) a Bologna, gli specialisti hanno chiesto che il problema sanitario delle allergie, oggi banalizzato, diventi una priorità nell’agenda politica.

In Italia l’immunoterapia specifica, ovvero il vaccino, resta dunque una chimera per milioni di pazienti, sebbene nelle linee guida internazionali venga indicata come la migliore terapia per un allergico su due sia per le allergie respiratorie sia per quelle alle punture d’insetto. è infatti l’unico trattamento in grado di fermare l’escalation di sintomi infiammatori che porta all’asma, una condizione che nel nostro Paese, nei casi più gravi, causa quasi 300 vittime ogni anno. Anche a livello globale il trend è in aumento: secondo l’Oms sono circa 350 milioni le persone al mondo soggette ad allergie respiratorie. La previsione è che entro il 2050 quasi la metà della popolazione soffrirà di qualche forma di allergia, complici il cambiamento climatico e l’inquinamento. Nel nostro Paese circa il 10% degli under 14 soffre di asma e l’80% di questi è allergico.

L’immunoterapia allergene specifica, ovvero il vaccino, è “una terapia desensibilizzante che può davvero cambiare il decorso della malattia – ha spiegato Mario Di Gioacchino, Presidente Siaaic – e consiste in dosi progressivamente crescenti dell’allergene verso cui il paziente è sensibilizzato. In tal modo si sviluppa una attiva tolleranza immunitaria, con produzione di anticorpi protettivi verso l’allergene. Tale effetto si mantiene per molti anni dopo la sospensione del trattamento, che dura 3-4 anni”.

A limitare l’impiego dei vaccini sono molteplici ragioni. “Certamente il problema dei costi, nelle Regioni nelle quali il trattamento è a totale carico dei pazienti, rappresenta un forte ostacolo – ha dichiara il Presidente Di Gioacchino – A causa della mancanza di una legislazione che regoli la rimborsabilità in modo uniforme, la situazione è a macchia di leopardo. La decisione se erogare e in che misura i vaccini dipende dalle Regioni, con un’inaccettabile difformità di trattamento di una malattia cronica la cui cura dovrebbe essere inserita invece nei Lea”.

Osteoporosi, prevenzione fondamentale. L’Italia rappresenta un modello nel mondo

Intervista alla Professoressa Maria Luisa Brandi: “Servono calcio, attività fisica e luce solare”

La prevenzione è fondamentale contro l’osteoporosi: tutti devono adottare stili di vita corretti e i soggetti più fragili devono assumere i farmaci adeguati. A dirlo è la Professoressa Maria Luisa Brandi, tra i massimi esperti in tema di malattie dello scheletro, nonché promotrice, attraverso il suo ruolo di Presidente di Fondazione Italiana Ricerca sulle Malattie dell’Osso (FIRMO), di un’attiva campagna di sensibilizzazione su queste patologie, troppo poco note eppure capillarmente diffuse.

Lo scorso 20 ottobre è stata celebrata la Giornata Mondiale dell’Osteoporosi nel cui ambito lei ha coordinato il progetto mondiale “Capture the Fracture”. Che obiettivo ha questa giornata e che valore particolare ha avuto quest’anno?

La Giornata Mondiale dell’Osteoporosi (World Osteoporosis Day) viene celebrata ogni anno nel mondo sotto il coordinamento della International Osteoporosis Foundation (IFO). Quest’anno la giornata è stata dedicata al tema fratture da fragilità e loro prevenzione. La Fondazione FIRMO, che io ho l’onore di presiedere dal 2006, accompagna IOF in questo percorso di comunicazione in Italia e lo fa da 16 anni. Io ho poi l’onore di fare parte del board IOF e di coordinare per il mondo il progetto di IOF noto come “Capture the Fracture”. L’Italia è certamente ai livelli più alti a livello internazionale per la cura delle fratture da fragilità.

 

Quali sono i numeri e il trend della diffusione dell’osteoporosi in Italia e nel mondo? E quali sono le principali cause?

Parliamo di centinaia di milioni di persone nel mondo e di oltre 4 milioni solo nel nostro Paese. Le forme più frequenti di osteoporosi sono le due involutive, note come postmenopausale e senile. Ma esiste una grande famiglia di cosiddette osteoporosi secondarie, dato che praticamente tutte le malattie e molti farmaci causano perdita di massa ossea. Per i primi ricordiamo le malattie neuromuscolari, reumatologiche, da malassorbimento ed endocrinologiche; per le seconde vanno sottolineati i cortisonici, i farmaci antiormonali e gli antiepilettici.

Qual è l’importanza della prevenzione primaria e secondaria per l’osteoporosi? In quest’ottica, quanto pesano sul SSN le diagnosi tardive?

La prevenzione primaria è fondamentale e si compone di tre cardini: introdurre le quantità raccomandate di calcio per età, fare attività fisica con regolarità, esporsi 30 minuti al giorno alla luce solare. La prevenzione è raccomandata a tutti e se non applicata crea problemi di fragilità ossea a ogni età. La prevenzione secondaria, che va effettuata nei pazienti più fragili e senz’altro nei pazienti che si sono fratturati o spontaneamente o per un trauma minore, prevede l’uso di farmaci antifratturativi, sia antiriassorbitivi, sia anabolici, sia veri e propri bone builder, che non solo bloccano la perdita di osso, ma ne favoriscono la formazione. Oggi è più costoso non trattare il paziente fragile che trattarlo, visto che i farmaci possono dimezzare le fratture da fragilità e alla fine le fratture costano più della terapia farmacologica.

Quali sono i principali segnali di allarme a cui prestare attenzione per l’osteoporosi e da quale età bisogna effettuare esami di controllo?

La diagnosi di osteoporosi oggi può essere fatta con le macchine a raggi X DEXA e più recentemente anche con la tecnica ecografica REMS. Entrambe ci permettono di ricevere un punteggio chiamato T-score. E’ importante comunque effettuare anche una valutazione dei marcatori di metabolismo osseo che ci aiutano a scoprire le osteoporosi secondarie.

L’Italia è stato il primo Paese al mondo a pubblicare le linee guida sulle Fratture da Fragilità. Che valore ha questo primato?

Questo oggi ci permette di avere un riconoscimento dal resto del mondo che usa il nostro modello per adattarlo al proprio. Una grande soddisfazione per il gruppo di lavoro che ha costruito le linee guida sotto la guida dell’Istituto Superiore di Sanità.

Negli ultimi anni le cure contro l’osteoporosi sono migliorate? E ci sono prospettive di consistenti miglioramenti nei prossimi anni?

Abbiamo importanti molecole innovative, quali il romosozumab un vero e proprio bone builder, in grado di inibire contemporaneamente il riassorbimento osseo mentre stimola la formazione da parte degli osteoblasti. I farmaci per l’osteoporosi esistono ormai da trenta anni e tutti per essere registrati per l’osteoporosi devono prevenire le fratture vertebrali con una potenza che va dal 30 al 70%. Le fratture da fragilità sono l’evento cronico più prevedibile oggi. Eppure, noi trattiamo soltanto il 20% dei pazienti più fragili, quelli già fratturati che per AIFA dovrebbero essere tutti rimborsati. La continuità assistenziale del paziente fragile è il vero problema e su questo si sta lavorando per costruire percorsi che permettano che questo avvenga, i cosiddetti Fracture Liaison Services che sono parte del progetto “Capture the Fracture” nel mondo e di un progetto della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia noto come progetto Accredita.

 

Maria Luisa Brandi

Professoressa Ordinaria di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo presso l’Università di Firenze, dove coordina il Master Universitario di II livello di Malattie Metaboliche dell’Osso dal Gene alla Cura. È responsabile del Centro Regionale di Riferimento su tumori endocrini ereditari, e Direttore dell’Unità operativa di Malattie del metabolismo minerale e osseo. Ha insegnato alle università di Georgetown e Charlottesville negli Usa e alla Royal London School of Medicine di Londra. Dal 2006 presiede Firmo, Fondazione italiana ricerca sulle malattie dell’osso. È autrice di 100 libri, in tema di endocrinologia cellulare e molecolare e di oltre 500 pubblicazioni.

Fringe benefit, nuove regole per le esenzioni

Con la Manovra di fine anno cambiano nuovamente le soglie: 2mila euro per i lavoratori  con figli e 1000 euro per tutti gli altri.  Il nuovo regime allargato anche a spese per l’affitto e interessi sul mutuo prima casa.  

“Il Governo torna a intervenire sul fronte dei fringe benefit. Con l’ultima Manovra, approvata a fine dicembre, è cambiata nuovamente la soglia di esenzione dei compensi in forma non monetaria (beni in natura e servizi non monetari come macchina o telefono aziendale) concessi dalle imprese ai dipendenti.

L’effetto dell’intervento? Innanzitutto, rispetto alla situazione precedente si riduce il gap tra i lavoratori con figli e chi invece non ne ha. L’esenzione fiscale sui fringe benefit, che si potranno usare anche per pagare affitto e mutuo prima casa, sarà infatti di 1000 euro per tutti (invece di 258,23 euro) mentre scende dai 3mila dell’anno scorso a 2 mila per i lavoratori con figli. Viene quindi prevista, limitatamente al periodo d’imposta 2024, una disciplina più favorevole per venire incontro alle esigenze dei lavoratori: tra le categorie interessate rientrano lavoratori subordinati, lavoratori a progetto e co.co.co.  

 

Allargata la platea dei beneficiari 

Per essere ancora più chiari, è dunque prevista per l’intera platea di beneficiari dell’agevolazione, a prescindere dai figli a carico, la possibilità di fruire in regime di esenzione non solo di beni e servizi, ma anche di somme di denaro per l’anticipo o il rimborso delle utenze domestiche, delle spese per l’affitto e degli interessi sul mutuo della prima casa. L’inclusione di queste ultime categorie di spesa agevolabili è la vera portata innovativa, sottolinea a tal proposito Il Sole 24 Ore, che tuttavia precisa come “sarà auspicabile un intervento chiarificatore dell’amministrazione finanziaria, per guidare gli operatori nella corretta applicazione della nuova disposizione”. Questo perché “potrà essere necessario chiarire quali voci includere nelle spese per l’affitto. Data la formula generica della norma – prosegue il quotidiano – vi potrebbero entrare tutte quelle connesse alla locazione, come le spese per le imposte di registro e di bollo, la tassa sui rifiuti e le spese condominiali, oltre alle spese per le utenze domestiche, intestate al conduttore o riaddebitate allo stesso in modo analitico o forfettario dal proprietario”. 

 

Il valore per il welfare aziendale 

Già l’anno scorso, con il Decreto Lavoro, approvato in estate e convertito successivamente in Legge, l’esecutivo aveva introdotto come detto alcune variazioni sulla normativa dei fringe benefit, finalizzate a incentivare il potere d’acquisto e ridurre il cuneo fiscale. Variazioni che sono state “aggiornate” dalle disposizioni contenute in Manovra e che, in buona sostanza, contribuiscono alla crescita e al consolidamento del welfare aziendale, ormai un elemento sempre più centrale, in Italia e nelle aziende tricolori, per vivere e rafforzare il rapporto tra datore di lavoro e dipendente su nuove basi, imperniate sulla condivisione, sulla collaborazione e sul cosiddetto work life balance, ovvero l’equilibrio tra vita lavorativa e privata. 

Va ricordato che per fringe benefit si intendono i compensi in natura e i servizi concessi dai datori ai dipendenti. Per esempio: i buoni spesa, le ricariche telefoniche, il premio per la polizza extraprofessionale. Insomma, voci addizionali alla retribuzione corrisposta da un’impresa ai propri dipendenti: un compenso “in natura”, che figura comunque in busta paga. Lato azienda si tratta di somme interamente deducibili, che riducono quindi l’imponibile fiscale dell’impresa. Dal punto di vista del dipendente sono somme non soggette a contribuzione né a prelievo fiscale, ovviamente con i tetti previsti dalla legge. 

Da Assidai principi unici sul mercato

Giacomo Gargano, Presidente di Praesidium, illustra le strategie del broker e i punti di forza del Prodotto Unico, che porteranno a un aumento degli iscritti

Presidente, chi è Praesidium e cosa fa per Assidai?

Praesidium è il broker assicurativo del sistema Federmanager specializzato nello studio, nella progettazione e nella gestione dei programmi di welfare aziendali e individuali, dedicati a dirigenti, quadri, professional e alle loro famiglie. Grazie alla stretta relazione con il sistema Federmanager e con Assidai, di cui è broker esclusivo, opera nell’ambito della distribuzione delle iniziative di assistenza sanitaria, nonché di ogni tutela assicurativa per i dirigenti, di origine contrattuale, ed è in grado di rispondere a tutte le esigenze di welfare dei manager, in servizio e in pensione. L’attività di promozione alle aziende industriali avviene attraverso una Rete di Welfare manager, distribuiti sul territorio e con alta specializzazione, che offre un servizio professionale individuando le soluzioni più adeguate, anche personalizzate.

Qual’è la vostra percezione del Prodotto Unico Fasi-Assidai? Come si pone sul mercato e quali sono i suoi punti di forza?

Nell’ultimo CCNL Dirigenti di aziende produttrici di beni e servizi è stato dato un valore strategico all’assistenza sanitaria integrativa al Fasi, inserendo il Prodotto Unico Fasi-Assidai, che si pone, quindi, come una copertura di origine contrattuale. Il principale punto di forza è l’innovazione rispetto alle soluzioni offerte sul mercato in quanto amplia il livello dei rimborsi con una estrema semplificazione delle procedure di richiesta. Non solo: il network è il medesimo per i due Fondi, la richiesta di liquidazione per la forma indiretta o di attivazione per la forma diretta è unica e i tempi di rimborso sono molto rapidi. Vorrei poi sottolineare che non è necessaria alcuna pre-attivazione, plus molto apprezzato dai dirigenti, che vengono direttamente riconosciuti dalle strutture sanitarie convenzionate collegate con il portale di IWS (società costituita da Federmanager, Confindustria e Fasi per la gestione integrata dei servizi a beneficio degli assistiti).

Quali sono le strategie che state mettendo in atto per valorizzare la partnership con Assidai?

Il panorama degli operatori di mercato quali Casse o Fondi di Broker/Compagnie, Mutue è molto vasto e questi si propongono alle aziende senza una visione di lungo periodo, sottacendo spesso alcuni aspetti importanti sia per gli assistiti sia per le aziende. La valorizzazione parte dalla conoscenza dei principi distintivi di Assidai, oggi difficilmente replicabili, primo tra tutti l’assenza di limiti di età il manager può rimanere assistito dal Fondo anche nel momento in cui probabilmente ne avrà più bisogno, ovvero quando andrà in quiescenza. Siamo in un momento difficile per il mercato assicurativo, considerato hard a seguito della pandemia, con un aggravamento degli indicatori tecnici del ramo malattia. Assidai, pur attento all’equilibrio tecnico, ha sempre posto grande attenzione ai principi della mutualità non applicando quella fredda valutazione del rischio tipica delle Compagnie di assicurazione. Altro vantaggio è la presenza in tutti i Piani Sanitari Assidai di una copertura LTC (Long Term Care) per tutto il nucleo familiare, distintiva sul mercato in termini di tutele. Oggi Praesidium sta ampliando la rete dei Welfare manager per contribuire in maniera ancor più capillare alla diffusione di tali valori nelle aziende già assistite e in quelle prospect. Il recente restyling dei pacchetti aggiuntivi del Prodotto Unico ne ha consentito l’offerta a tutte le aziende, anche quelle di grandi dimensioni che richiedevano soluzioni tailor-made. Oggi possiamo dire che l’offerta è veramente completa.

Quanto stimate possa essere l’incremento degli iscritti Assidai?

Ci aspettiamo un incremento del numero dei dirigenti iscritti, in particolare su Prodotto Unico, di almeno un 15%. Per noi è anche di fondamentale importanza il mantenimento dei nostri attuali iscritti rispetto agli attacchi dei competitor.

Qui tutte le informazioni sul Prodotto Unico Fasi-Assidai 

L’orizzonte della longevità

Vivere a lungo, vivere meglio: il progressivo invecchiamento della popolazione è ormai noto e se, da un lato, viene visto come una sfida per il futuro dell’Italia, dall’altro rappresenta un’opportunità di crescita per molti settori economici. L’inclusione della silver economy è oggi imprescindibile per programmare lo sviluppo di Paesi, imprese e istituzioni.

Secondo le stime riportate dal World social report 2023 delle Nazioni Unite, entro il 2050 il numero di persone di età pari o superiore a 65 anni è destinato a raddoppiare, superando quota 1,6 miliardi. Da manager avvertiamo il dovere di lavorare, in sinergia con le istituzioni, per consolidare un sistema di assistenza sanitaria che, nella migliore complementarità tra pubblico e privato, possa garantire agli assistiti uno sguardo sereno sulla terza età, in condizioni di buona salute e di pieno esercizio della propria capacità economica. Dobbiamo quindi prenderci cura delle fasce d’età più avanzate, una risorsa strategica in termini sociali, ancor prima che economici.

La longevità è un’occasione di sviluppo e il World economic forum ci ricorda che ci sono tre principi-chiave per la pianificazione di una vita lunga, resiliente e sostenibile: coltivare buone e sane abitudini, imparare e sviluppare nuove skill ed essere finanziariamente resilienti.

Sanità, rivoluzione digitale a rischio

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) solo la metà degli Stati europei ha predisposto politiche adeguate. Anche in Italia il Fascicolo sanitario elettronico è in ritardo

“Siamo all’apice di una rivoluzione sanitaria digitale, ma milioni di persone rischiano di rimanere indietro”. L’allarme arriva dal direttore dell’Oms Europa, Hans Henri Kluge, che in occasione del Secondo simposio dell’Organizzazione mondiale della sanità sul futuro dei sistemi sanitari digitali nel Vecchio Continente, ha evidenziato come “la salute digitale è il presente e il futuro”.

L’esperto ha sottolineato inoltre come da una parte la maggioranza dei Paesi della regione europea disponga già di qualche forma di cartelle cliniche elettroniche e di una legislazione che tutela la privacy dei dati personali, ma che dall’altra parte solo la metà degli Stati europei può contare su politiche volte a migliorare l’alfabetizzazione sanitaria digitale.

L’obiettivo, dunque, è superare gli squilibri, che penalizzano dal punto di vista dell’accesso al digitale proprio le persone più fragili, tra anziani e quanti vivono in aree rurali. Le parole chiave? Connettività, investimenti, fiducia e cooperazione, secondo l’Oms.

È cioè: la banda larga deve essere affidabile e a basso costo; i governi devono considerare la sanità digitale un investimento strategico a lungo termine; va creata fiducia attorno alla sanità digitale; bisogna collaborare maggiormente a livello internazionale, condividendo le conoscenze.

In quest’ottica, in Italia, come sottolineato in un intervento sul sito del Sole 24 Ore dal Professor Fabrizio Oliva, Presidente dell’Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri e Direttore Cardiologia 1 Ospedale Niguarda di Milano, la medicina digitale potrebbe consentire un passo avanti nella cura dei pazienti e nella ricerca clinica.

In questo quadro si inserisce come strumento di grande utilità il Fascicolo sanitario elettronico (Fse), ovvero un sistema informatizzato che raccoglie, organizza e archivia in formato digitale i dati relativi alla salute del paziente, consentendo la condivisione sicura e rapida delle informazioni.

Ad oggi, sottolinea Oliva, questo strumento non ha dato i frutti sperati e forse bisogna pensare a una sua versione più snella, facendo anche riferimento a due concetti innovativi come il Data Lake e la granularità dei dati. Il primo viene usato per definire un archivio di grandi dimensioni nel quale i dati sono conservati in formato grezzo e non strutturato, con la possibilità poi di classificarli in uno schema strutturato, offrendo così una visione più completa. Viceversa, la granularità dei dati permette di conoscere meglio i dettagli, mettendo il sistema nelle condizioni di prendere le decisioni appropriate.