Dimmi quanta acqua hai e ti dirò chi sei

Con il controllo bioimpedenziometrico si misura l’idratazione dell’individuo, la massa grassa e quella madra. Indicazioni preziose per correggere stili di vita sbagliati.

Un uomo adulto di 70 chili dovrebbe avere 45 litri d’acqua nel proprio corpo, circa il 65%. Un neonato, invece, è idratato all’80%, mentre una persona molto anziana scende al 50%. Bastano questi dati per capire che invecchiare è un lento disidratarsi. Al tempo stesso è fisiologicamente provato, che la carenza di acqua rende difficile il buon funzionamento di qualsiasi attività del nostro corpo. È dunque importante essere idratati per poter star bene, e far sì che tutti i meccanismi fisiologici e metabolici funzionino al meglio: per esempio, una diminuzione del 2% d’acqua a livello intracellulare compromette seriamente la prestazione di un atleta mentre la diminuzione del 7% può causare gravi danni all’organismo.

L’importanza del test bioimpedenziometrico

Questa lunga premessa era necessaria per fare intuire l’importanza di sottoporsi periodicamente a un test bioimpedenziometrico, che molto semplicemente misura la quantità d’acqua presente nel nostro organismo. Esso viene effettuato attraverso un’apparecchiatura medicale e non è assolutamente doloroso: basta stare sdraiati e dura una decina di minuti.

Il campo di applicazione di questo test è praticamente infinito: in base al livello di idratazione di una persona si può poi intervenire modificando l’allenamento (per uno sportivo), l’alimentazione o semplicemente lo stile di vita. Ma per capire l’estrema utilità di questo test va anche osservato che misura la presenza d’acqua sia intracellulare sia extracellulare e matematicamente estrapola tantissimi dati, tra cui la massa grassa e la massa magra con un ottima precisione se si è in normoidratazione. In pratica, divide il corpo in tre compartimenti: grasso, magro e acqua.

Ma come viene effettuato in concreto il test bioimpedenziometrico? Vengono applicati degli elettrodi sulle mani e sui piedi e lo strumento induce un passaggio di una lieve corrente elettrica attraverso il corpo. Lo strumento misura così la resistenza offerta dall’organismo a questa corrente e ricava tutti i dati.

Elettrocardiogramma sotto sforzo, testarsi come atleti per un cuore in salute

Un conto è controllare gli ingranaggi della nostra macchina quando è in garage, un altro spingerla al massimo e sentire se il motore gira al meglio. È questa la filosofia del test cardiovascolare da sforzo (anche detto ECG sotto sforzo): un esame che consiste nella registrazione dell’elettrocardiogramma appunto durante uno sforzo fisico. Ciò a differenza dell’elettrocardiogramma basale, che diversamente viene registrato in condizioni di riposo. In questo modo è possibile esaminare la risposta dell’apparato cardiocircolatorio all’esercizio fisico, in particolare per quanto riguarda la frequenza cardiaca, i cambiamenti della pressione arteriosa ed eventuali alterazioni del tracciato elettrocardiografico. Durante lo sforzo fisico, infatti, aumentano le richieste di lavoro al cuore, mettendo in evidenza eventuali alterazioni che non si manifestano a riposo.

L’elettrocardiogramma da sforzo può essere considerato l’esame cardine nella cardiopatia ischemica, soprattutto in tema di prevenzione: un elemento cruciale specie per chi, come i manager, è purtroppo spesso soggetto a vita sedentaria. Questo test permette, infatti, di diagnosticare la cardiopatia ischemica in una persona con episodi di dolore toracico che fa sospettare un’angina pectoris oppure di valutare la gravità di una cardiopatia ischemica nota, per esempio tenendo sotto controllo una persona che ha avuto un infarto o soffre di un’angina stabile. Non solo: l’elettrocardiogramma sotto sforzo consente di valutare l’efficacia di una terapia farmacologica e i rischi di alcuni casi particolari di aritmie.

Come si svolge esattamente il test? Si applicano al paziente elettrodi adesivi sul torace e sul dorso, con cui si registra inizialmente un elettrocardiogramma basale. Il paziente stesso inizia poi lo sforzo fisico, solitamente pedalando su una cyclette oppure camminando su un tappeto rotante. Lo sforzo è progressivo e viene incrementato aumentando la resistenza opposta dai pedali del cicloergometro o la velocità del tappeto rotante. Si continua a far crescere il carico di lavoro fino a raggiungere un determinato valore di frequenza cardiaca, calcolato dal medico in base al sesso e all’età del paziente.

Sulla prevenzione Italia ancora indietro, dai fondi integrativi la possibile svolta

ANNO 3 NUMERO 3   –    marzo-aprile 2016

Il Professor Renato Lauro, rettore emerito dell’Università Tor Vergata di Roma: “Il confronto con altri Paesi europei è penalizzante, ma il ministero della Salute sta lavorando bene per colmare il gap”

“L’investimento dell’Italia in prevenzione? “È chiaro che se ci paragoniamo ad altri Paesi europei il discorso è penalizzante, ma l’attuale ministro sta lavorando bene su questo fronte”. Il vero problema? “Molti settori nel nostro Paese vengono considerati una spesa anziché un investimento produttivo”. Il possibile ruolo della sanità integrativa? “In materia di prevenzione può essere importantissimo, ma servono proposte davvero incisive”. Secondo Renato Lauro, rettore emerito dell’Università degli Studi di Tor Vergata e ordinario di medicina interna, è la prevenzione il fattore chiave per rendere sostenibile il sistema sanitario italiano nei prossimi anni.

Nel nostro Paese, tuttavia, proprio la prevenzione mostra un gap rispetto ad altri Stati europei?

Ciò è dovuto soprattutto a due motivi: il pil italiano è inferiore e il monte finanziario della sanità è stato ridotto. Purtroppo il problema è anche che nel nostro Paese, da sempre, ci sono alcuni settori che vengono considerati spesa anziché un investimento produttivo positivo. La situazione è peggiorata con la crisi economica che ha portato tagli lineari di spesa ma credo vada messa a punto una risposta efficace e adeguata. A questo proposito vorrei sottolineare che l’attuale ministero della Salute, guidato da Beatrice Lorenzin, è molto attento alla situazione.

Intanto il Sistema sanitario nazionale mostrare sempre più difficoltà. Che ne pensa?

I costi delle malattie cronico-degenerative sono diventati difficilmente sostenibili, anche perché la vita media si è alzata. Se 70 anni fa di malattie cardiocircolatorie o di tumore si moriva, oggi si sopravvive sempre più spesso. Ciò significa che i pazienti vanno seguiti, curati e controllati periodicamente con i costi del sistema sanitario che lievitano enormemente: è chiaro che serve una svolta. Innanzitutto dobbiamo mettere bene a fuoco una cosa: abbiamo risorse che ci permettono di tracciare l’identikit e il genoma di un soggetto, cosa che può dare delle indicazioni sui possibili rischi di malattie. Poi c’è il punto clou: la prevenzione, che è in grado di ridurre in misura significativa le malattie, uno strumento fondamentale da potenziare.

Come valuta test chiave per la prevenzione come l’Ecg sotto sforzo o il controllo bioimpedenziometrico?

Oggi tutti fanno il check up, tutto serve in teoria ma serve anche e soprattutto un’attenta anamnesi. Poi bisogna guardare alla medicina in un’ottica socio-sanitaria e agire sul fronte della prevenzione delle malattie croniche dovute alla vita sedentaria, ad esempio l’obesità. In Italia c’è molto da fare ma ci vuole convinzione.

Che ruolo può giocare in questo quadro la sanità integrativa?

Un ruolo importantissimo, ma deve cambiare dal punto di vista funzionale, deve essere più incisiva nel fare proposte. I fondi integrativi hanno raggiunto una grossa esperienza nell’ambito dell’assistenza per una quantità di popolazione notevole, con una conseguente raccolta di dati così importante da poter effettuare valutazioni di ampio respiro e di supporto per lo Stato.

Quale ritiene debba essere, in generale, il ruolo dell’assistenza sanitaria integrativa?

Laddove ci sono delle mancanze che sono ormai evidenti del Sistema sanitario nazionale, i fondi hanno la sensibilità operativa per intervenire e contestualmente superare le lacune. Ciò consente di razionalizzare gli interventi pubblici ottenendo così una riduzione notevole della spesa sanitaria e liberando risorse per una serie di attività. Chi non capisce che i fondi sanitari possono avere un ruolo nella crisi del Sistema sanitario italiano ed europeo, in futuro dovrà rendere conto della mancata valorizzazione di un’occasione storica. L’interazione tra pubblico e privato in campo sanitario è ormai all’attenzione di tutti i governi europei e di Bruxelles. L’Italia deve restare al passo su questo fronte.