Rivoluzione culturale per il welfare

Secondo Luca Pesenti, esperto in materia, le misure messe in campo dal governo sono già importanti, ma adesso in Italia serve un vero cambio di passo da parte di tutto il sistema.

“Sul welfare aziendale in Italia siamo progrediti parecchio negli ultimi anni ma ora serve una vera svolta culturale da parte di tutto il sistema produttivo e sociale”. Ne è convinto Luca Pesenti, docente di “Sistemi di welfare comparati” alla facoltà di Scienze politiche e sociali all’Università Cattolica, che ha da poco scritto un libro – intitolato “Il welfare in azienda. Imprese smart e benessere dei lavoratori” (ed. Vita e Pensiero) – che si propone come manuale teorico e pratico per orientarsi nel settore in Italia.

Professor Pesenti, che cosa pensa del welfare aziendale in Italia e del suo sviluppo in relazione ad altri Paesi europei e alle attuali dinamiche di spesa sanitaria e di invecchiamento della popolazione?

Abbiamo vissuto una fase di forte sviluppo negli ultimissimi anni, anche perché partivamo da molto indietro visto che l’Italia, storicamente, non è un sistema all’inglese dove tutta la contrattazione è aziendale e l’employee benefit è molto sviluppato. Da noi, lo sviluppo della contrattazione di secondo livello e del welfare aziendale stanno andando di pari passo solo negli ultimi anni, anche perché nel passato c’è chi si è opposto nella convinzione che il tema del welfare dovesse essere esclusivamente di competenza statale, o al più demandato alla contrattazione nazionale. Poi, dopo 30 anni che non veniva modificata, la normativa fiscale è cambiata nel 2015 e nel 2016 e adesso c’è una significativa convenienza a ricorrere al welfare aziendale: da una parte le aziende sono più competitive, dall’altra lo Stato incentiva la diffusione di beni e servizi che possono parzialmente compensare l’arretramento del welfare pubblico. Chiaramente, la sanità è un epicentro critico all’interno di questa dinamica.

Che cosa si può fare per ampliare ulteriormente lo sviluppo del welfare aziendale?

Fino ad oggi il welfare aziendale si è diffuso nelle grandi aziende e parzialmente nelle medie, lasciando fuori le piccole che però rappresentano il grosso dell’industria e dell’occupazione in Italia. In questo senso, le ultime due leggi di Stabilità hanno rappresentato passaggi importanti, ormai ci sono pochi vincoli regolamentari; piuttosto serve una svolta di tipo culturale da parte di tutto il sistema produttivo e sociale sia da parte dei dipendenti che devono iniziare ad entrare nell’ottica di avere dei benefit al posto di una parte della retribuzione (quella variabile) che da parte delle aziende che non sempre conoscono bene le norme e hanno difficoltà ad abbracciarle all’interno delle logiche complessive della gestione delle risorse umane. Insomma, siamo davanti a una sfida che presenta opportunità e rischi.

Che ruolo devono giocare secondo lei in questo contesto i fondi sanitari integrativi come Assidai?

Saranno sicuramente un collegamento con la contrattazione di primo livello. Il tema più forte a mio parere è legato all’andamento della spesa out of pocket in Italia visto che siamo al 22% della spesa sanitaria totale, superiore alla media dell’Unione Europea a 28 Paesi. Una spesa molto alta per un sistema universalista come il nostro, con il 7% dei bisogni medici che non trovano soddisfazioni per cause economiche (un valore doppio rispetto alle medie UE). Di questo passo il problema si pone e si porrà sempre di più con difficoltà crescenti: non c’è dubbio che i fondi sanitari un ruolo forzatamente lo dovranno avere.

Luca Pesenti Ricercatore di Sociologia generale nella Facoltà di Scienze Politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove insegna Sistemi di welfare comparati e Modelli, strumenti e regole del welfare. Dottore di ricerca in Sociologia economica nella Facoltà di Economia dell’Università di Brescia, si occupa di temi legati al welfare contrattuale. Dal giugno 2013 è Direttore delle ricerche e componente del comitato scientifico dell’Osservatorio Donazione Farmaci presso la Fondazione Banco Farmaceutico.

Esplode il gap tra spesa sanitaria italiana ed europea

La sanità pubblica italiana è sempre più insostenibile dal punto di vista sanitario. A dirlo ci sono anche i dati contenuti nel 12° Rapporto Sanità a cura di C.R.E.A. Sanità – Università di Roma “Tor Vergata”, che rivelano come la spesa sanitaria corrente totale italiana nel 2015 si attestava a 2.436 euro pro-capite, con uno scarto di oltre il 32,5% rispetto ai 3.608 pro-capite dell’Europa occidentale. Un gap in aumento del 2,6% rispetto all’anno precedente e del 16,8% in confronto al 2005. Nel decennio 2005-2015 il gap in termini di spesa totale pro-capite tra l’Italia e l’Europa occidentale è, quindi, più che raddoppiato, passando dal 15,7% al 32,5%. E nel 2020, se si continuerà con questo ritmo, la forbice potrebbe arrivare al 40%. Allo stesso tempo, sottolinea il rapporto, la spesa privata dei cittadini cresce tuttavia agli stessi ritmi di quella dell’Europa occidentale, dimostrando di mantenere una funzione di complementazione della spesa pubblica anche in tempi di crisi.

LTC in Italia alle corde: urge una stampella privata

Prima di tutto i numeri. Secondo l’ultimo rapporto del Censis sul tema, in Italia il 5,5% della popolazione, ovvero 3.167.000, non è autosufficiente. Tra questi, le persone con non autosufficienza grave, in stato di confinamento, ossia costrette in via permanente a letto, su una sedia a rotelle o nella propria abitazione per impedimenti fisici o psichici, sono quasi la metà, per l’esattezza 1.436.000. E ancora: il modello tipicamente italiano – fatto secondo il Censis di una “centralità della famiglia con esercizio della funzione di caregiving e presa in carico della spesa per le esigenze dei non autosufficienti oltre che di un mercato privato di assistenza in cui l’offerta è garantita per la gran parte da lavoratrici straniere” – scricchiola. A rivelarlo è un altro dato eloquente: il 50,2% delle famiglie con una persona non autosufficiente (contro il 38,7% delle famiglie totali) ha a disposizione risorse familiari scarse. Per fronteggiare il costo privato dell’assistenza ai non autosufficienti, ancora il Censis sottolinea che 910mila famiglie italiane si sono dovute “tassare”, mentre altre 561mila hanno utilizzato tutti i propri risparmi, venduto la casa o si sono indebitate. Tutto ciò deriva anche dall’approccio dei cittadini alla non autosufficienza, che viene affrontata solo quando è conclamata. Specificatamente, il 30,6% dei cittadini non ci pensa e il 22,7% vedrà il da farsi quando accadrà. Il resto della popolazione conta sui risparmi accumulati (26,1%), sul welfare (17,3%) e sull’aiuto dei familiari (17%).

Numeri che fanno capire come la copertura LTC, per essere sostenibile, ha bisogno di una “stampella” privata, offerta ad esempio da fondi sanitari integrativi come Assidai. Del resto, un’altra criticità, altrettanto rilevante, è destinata ad aumentare il peso dell’LTC nei prossimi anni. Il nostro Paese detiene il primato della popolazione più anziana in Europa, con il 22% di ultra 65enni nel 2015 (di cui circa la metà oltre i 75 anni). Una quota che, secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, dovrebbe crescere fino al 33% entro la metà del secolo.

In Italia, inoltre, secondo le stime della Ragioneria Generale dello Stato, la spesa pubblica per LTC ammonta all’1,9% del Prodotto interno lordo, di cui circa due terzi erogati a soggetti con più di 65 anni. Il 90% di tale esborso è composto, in parti pressoché uguali, dalla componente sanitaria della spesa e dalle indennità di accompagnamento. Spesa che lo Stato italiano e gli enti pubblici sono purtroppo sempre meno in grado di sostenere.

Per l’OCSE troppi sprechi nella sanità

Un report dell’organizzazione sottolinea come il 20% delle spese potrebbe avere un utilizzo migliore. il 10% dei pazienti danneggiato in ospedale.

ll 20% della spesa sanitaria potrebbe essere indirizzato verso un utilizzo migliore. A sottolinearlo è un nuovo rapporto dell’OCSE – Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – “Tackling Wasteful Spending on Health” che analizza come affrontare e tagliare le spese inutili che appesantiscono i bilanci dei sistemi sanitari. Ma il quadro è ancora peggiore se si pensa che in tutti i principali Paesi occidentali, secondo l’organizzazione, “nel migliore dei casi una quota significativa della spesa di assistenza sanitaria è uno spreco mentre nel peggiore può anche essere danneggiata la salute dei cittadini”. I numeri? Sempre nell’area OCSE, un paziente su dieci è inutilmente danneggiato presso il punto di cura e oltre il 10% della spesa ospedaliera viene impiegata per correggere gli errori medici prevenibili o infezioni che le persone contraggono negli ospedali. “In una fase storica in cui i bilanci pubblici sono sotto pressione in tutto il mondo tutto ciò è allarmante – fa notare l’Organizzazione – i governi potrebbero spendere molto meno per l’assistenza sanitaria e migliorare per giunta la salute dei pazienti”.

Ancora: in Italia il 20% degli accessi al Pronto soccorso sono impropri mentre negli Stati Uniti più del 20% della spesa sanitaria totale è bruciata dagli sprechi. Nei 35 Paesi OCSE, invece, un bambino su tre nasce con il taglio cesareo, a fronte di indicazioni mediche che suggeriscono un tasso massimo del 15%. Tutto ciò mentre la penetrazione sul mercato di farmaci generici è ancora bassa ed eterogenea (tra il 10% e l’80% in tutti i paesi dell’area OCSE). Senza contare un problema altrettanto rilevante, rappresentato dalla percezione della corruzione: un terzo dei cittadini, infatti, considera il settore sanitario corrotto.

 

Nuovi LEA, si può ripartire

Il punto di vista di Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

Il Ministro Lorenzin ha definito “un passaggio storico” la firma dei nuovi Livelli Essenziali di Assistenza. Dopo ben 15 anni, infatti, è stato aggiornato l’elenco delle prestazioni sanitarie per le quali va garantito il diritto universale alla cura.

L’adeguamento dei LEA è di fondamentale importanza anche per noi che, attraverso i nostri Fondi di assistenza sanitaria integrativa, ci siamo dati il compito di rafforzare il sistema pubblico negli obiettivi di equità di accesso alle prestazioni, qualità delle stesse, ampliamento dei servizi e loro fruibilità sul territorio nazionale. L’aggiornamento dovrà infatti trovare applicazione uniforme nei diversi sistemi sanitari regionali, e questo è un obiettivo tutt’altro che immediato.

La sanità integrativa dunque potrà concentrarsi più consapevolmente nella propria funzione di supporto e complementarietà al SSN. Le politiche adottate dai Fondi come Assidai hanno finora anticipato molte scelte del decisore pubblico, rispondendo in modo flessibile all’evoluzione della domanda di assistenza degli associati. Continueremo secondo questo criterio, adeguando la nostra azione ai bisogni espressi dai colleghi e finalizzandola su quelle aree in cui il SSN mostra minore capacità di intervento.

Sempre più leader nella Long Term Care: Assidai amplia ancora le prestazioni

Il Fondo si conferma in prima linea sul tema della non autosufficienza con diverse novità a favore degli iscritti

Dopo quella del 2015, Assidai imprime una nuova svolta sulla copertura Long Term Care (LTC), ovvero l’insieme dei servizi socio-sanitari forniti con continuità a persone che necessitano di assistenza permanente a causa di disabilità fisica o psichica. Se due anni fa la copertura era stata estesa anche al coniuge o al convivente more uxorio dell’iscritto, nel 2017 vengono introdotte novità molto positive e rilevanti. Vediamole nel dettaglio.

Novità LTC under 65 anni

La tutela Long Term Care per coloro che sono nella fascia di età sotto 65 anni è stata allargata a tutto il nucleo familiare dell’iscritto con aumento del 30% della rendita in caso di presenza di un figlio minore e fino alla sua maggiore età, e raddoppio della rendita in presenza di un figlio già non autosufficiente.
Va dunque rilevato che la tutela è estesa, quindi, anche ai figli fino al ventiseiesimo anno presenti nello stato di famiglia e, qualora l’assistito non risulti autosufficiente, è garantito il pagamento di una rendita annua vitalizia immediata, erogata in rate mensili di 1.100 euro fintanto che il percipiente è in vita. Detto in altri termini, in caso di riconoscimento dello “stato di non autosufficienza” dell’iscritto che ha un figlio minorenne, l’ammontare della rendita annua è pari a 17.160 euro (fino ad oggi era 13.200) fino al raggiungimento della maggiore età del figlio minore. Se invece si tratta di un figlio disabile l’ammontare stesso passa da 13.200 a 26.400 euro.

Novità LTC over 65 anni

Il pacchetto garantito agli over 65 anni, invece, è stato arricchito con ulteriori importanti prestazioni, anche se gli iscritti sono autosufficienti: assistenza fisioterapica a domicilio (nel caso di fratture del femore, delle vertebre o del bacino), assistenza a domicilio tramite operatore socio-sanitario, spesa a domicilio, consegna farmaci presso l’abitazione e custodia animali (queste ultime tre fattispecie previste in caso di fratture del femore, delle vertebre, del bacino o del cranio).
Va anche ricordato che Assidai è da sempre in prima linea sulle coperture Long Term Care, un tema destinato ad avere sempre più peso in Italia e negli altri Paesi europei alla luce del trend di invecchiamento della popolazione e delle difficoltà del Sistema sanitario nazionale.
In Italia non esiste una vera e propria esperienza in ambito di coperture LTC rispetto ad altri Stati. In modo assolutamente innovativo, fin dal 2010, Assidai ha scelto di essere accanto ai propri iscritti introducendo le coperture del rischio di non autosufficienza che, nel giro di pochi anni, hanno visto aumentare il livello delle prestazioni garantite.

Assidai: che cos’è la non autosufficienza

La definizione di non autosufficienza varia in base all’età dell’assistitito. Fino a 65, anni la perdita di autosufficienza avviene quando l’assistito a causa di una malattia, di una lesione o la perdita delle forze si trovi in uno stato tale da aver bisogno, prevedibilmente per sempre, quotidianamente e in misura notevole, dell’assistenza di un’altra persona nel compiere almeno quattro delle seguenti sei attività elementari della vita quotidiana: lavarsi, vestirsi e/o svestirsi, mobilità, spostarsi, andare in bagno, bere e/o mangiare. Dal 66esimo anno di età, la perdita di autosufficienza avviene quando l’assistito è incapace di compiere in modo totale, e presumibilmente permanente, almeno tre delle attività elementari della vita quotidiana (sopra citate) e necessita di assistenza continuativa da parte di una terza persona per lo svolgimento delle stesse.

Presentazione Welfare 24

La parola al Presidente Assidai, Tiziano Neviani

La copertura Long Term Care è un tema di stretta attualità. E lo sarà sempre di più, soprattutto in Italia, viste le dinamiche di invecchiamento della popolazione e le difficoltà finanziarie del Sistema Sanitario Nazionale. Dal canto suo, Assidai su questo fronte ha sempre lavorato in prima linea. Fin dal 2010 i Piani Sanitari includono coperture per la non autosufficienza, nel 2015 il Fondo ha esteso la copertura al coniuge dell’iscritto e da quest’anno inserisce ulteriori garanzie prevedendo novità importanti sia per gli iscritti under che over 65 anni.

Tutti elementi illustrati nel dettaglio nel nuovo numero di Welfare 24, che offre ai lettori anche il prezioso punto di vista di un esperto di welfare aziendale come il Professor Luca Pesenti, il quale evoca la necessità di una svolta “culturale” in questo campo, anche a fronte degli importanti incentivi messi in campo dall’esecutivo negli ultimi due anni.

E a proposito di Governo: dopo 15 anni, il Ministero della Salute ha finalmente aggiornato i Livelli Essenziali di Assistenza (i cosiddetti Lea): il Presidente di Federmanager, Stefano Cuzzilla, sottolinea come si tratti di una decisione “storica” che permette così alla sanità integrativa, cioè anche a noi di Assidai, di concentrarsi più consapevolmente nella funzione di supporto e complementarietà al Sistema sanitario nazionale.

Per una “welfare community”

Il punto di vista di Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

Dalle analisi Bankitalia sappiamo che negli ultimi anni, complici la contrazione dei fatturati ma soprattutto la sfiducia verso la possibilità di una ripresa economica, gli strumenti di incentivazione della produttività sono stati gradualmente tralasciati dalle imprese italiane. Pertanto, bene ha fatto il governo con questa manovra a confermare l’utilizzo della leva fiscale per sostenere la premialità e, soprattutto, a detassarla ulteriormente quando essa è tradotta in welfare.

Ci piace pensare che la Legge di Bilancio 2017 alimenterà la propensione degli imprenditori verso l’investimento in welfare aziendale in modo da agire più decisamente a livello di contrattazione di lavoro, e stabilizzare, per tutti i settori, il riferimento a sanità e previdenza integrative. Entrambe, più di altri tipi di benefit pur graditi, sono da considerare i pilastri su cui costruire una società più sana e un’economia più competitiva.

Rendiamo queste misure il più possibile strutturali e dotiamole progressivamente di autonomia rispetto al sistema dei premi di risultato: ne deriverà sicuramente un vantaggio condiviso e un nuovo modello di “welfare community” che corrisponde al disegno di Federmanager e delle più moderne politiche di relazione industriale già in atto in altri Paesi.

“Uno stimolo per la sanità integrativa”

Intervista al Professor Marco Leonardi, Consigliere Economico della Presidenza del Consiglio.

“La filosofia è quella dell’anno scorso, fornire un incentivo che si inquadra nella contrattazione di secondo livello. Visto il successo ottenuto nella Legge di Bilancio 2016, abbiamo deciso di potenziare le misure previste sia per quanto riguarda i tetti salariali sia per l’importo dei premi potenzialmente detassati convertendoli in welfare”. A parlare è Marco Leonardi, professore associato di Economia Politica presso l’Università di Milano. Leonardi è consigliere economico della Presidenza del Consiglio alle riforme del mercato del lavoro ed insieme al professor Tommaso Nannicini (ordinario alla Bocconi di Milano) è uno dei membri di spicco della squadra del Governo su questo settore.

Professore, quale è lo spirito di questa riforma in un periodo non facile per l’economia italiana e per le fasce più deboli per la popolazione?

L’idea è quella di alleggerire la pressione in un momento in cui i salari nazionali non possono dare grandi soddisfazioni dal punto di vista economico. Questo, oltre che per le aziende private, potrebbe valere anche per il settore pubblico: è indubbio che avere un welfare detassato anziché un salario tassato può essere una prospettiva interessante per tutti. Basta svolgere una facile simulazione sulla conversione di un premio di 2mila euro per capire l’utilità di questa misura.

In futuro volete puntare ulteriormente sullo sviluppo, attraverso adeguati incentivi, del welfare aziendale?

Certamente sì, è una strada che vogliamo percorrere anche se quanto fatto nell’ultimo anno, specie per quanto riguarda le grandi aziende, è già molto importante. In questo momento come possibili sviluppi vedo sicuramente il settore pubblico, che è ancora poco sviluppato. E poi c’è il tema delle piccole aziende dove si potrebbe pensare di introdurre un po’ di decontribuzione per le imprese che mettono a punto piani di partecipazione per il personale. Ecco, questa è una cosa che si potrebbe fare a breve, magari con un emendamento all’attuale Legge di Bilancio.

Quanto introdotto a livello di welfare aziendale favorisce anche lo sviluppo della sanità integrativa in Italia?

Direi proprio di sì. A tale proposito vorrei sottolineare un aspetto legato all’attuale Legge di Bilancio che forse è passato in secondo piano. Attualmente, i contributi versati dai lavoratori dipendenti ai fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale (in conformità di contratto o di accordo o regolamento aziendale, ndr) sono deducibili dal reddito per un importo complessivamente non superiore a 3.615,20 euro. Ecco, se il lavoratore decide di convertire il premio in sanità integrativa, l’importo non intacca il massimale previsto dal 730. Mi sembra si tratti di una novità non da poco, che aiuterà ulteriormente lo sviluppo di questo settore.

Marco Leonardi è professore associato di Economia Politica presso l’Università Statale di Milano. Laureato in Bocconi con il massimo dei voti, 44 anni, Leonardi è un grande esperto di tematiche del mercato del lavoro (su questo tema è Consigliere Economico della Presidenza del Consiglio) e vanta una profonda esperienza internazionale in ambito accademico.

“Il contributo Assidai rateizzato: una svolta epocale per il Fondo”

Il direttore Rossetti: “Rispondiamo alle esigenze degli iscritti con una grande novità, già accolta con favore”. La rateizzazione del contributo annuale? “L’idea nasce dalle esigenze di molti iscritti: è una svolta gestionale epocale”. La domiciliazione bancaria dei pagamenti? “è condizione essenziale per accedere alla rateizzazione e dà garanzia totale sulla continuità di copertura Assidai”. I nuovi incentivi previsti dalla Legge di Bilancio per il welfare aziendale? “Molto positivi, finalmente il Governo pone l’accento, in modo importante, su un tema cruciale per il futuro del nostro Paese”. Così Marco Rossetti, direttore di Assidai, commenta le ultime novità che riguardano il Fondo sanitario integrativo.

Anziché versare il contributo annuale di adesione ad Assidai in un’unica soluzione, si passa a quattro rate trimestrali. Come è nata l’idea di un cambiamento così radicale?

Diversi iscritti, negli ultimi anni, ci avevano segnalato che versare il contributo in un’unica soluzione risultava essere piuttosto gravoso. Una problematica che avevamo ben presente, soprattutto a fronte della crisi economica che il Paese sta attraversando ormai da anni, ma di difficile soluzione sia in ambito creditizio che assicurativo. Come noto Assidai, per l’adempimento dei propri scopi istituzionali, ricorre al mercato assicurativo che pretende il versamento del premio da parte del Fondo anticipatamente e in un’unica soluzione. Nel corso del tempo abbiamo provato a verificare alcune soluzioni con il mercato creditizio ma senza grandi risultati, fino al momento in cui ci siamo convinti che era arrivato il momento che Assidai si facesse carico di questa tematica oramai non più procrastinabile. Molti iscritti, infatti, ci segnalavano che non riuscivano più ad affrontare economicamente il versamento del contributo in un’unica soluzione, causa per la quale alcuni non hanno più rinnovato l’iscrizione al nostro Fondo.

Quindi come vi siete mossi?

Abbiamo trovato internamente le risorse economiche: ci faremo, infatti, carico del costo finanziario dell’operazione. Per minimizzare il rischio assicurativo abbiamo comunque scelto di consentire la rateizzazione solo a chi effettua il versamento del contributo attraverso la domiciliazione bancaria.

Come vi aspettate che verrà accolta la novità?

Con grande entusiasmo e i primi segnali vanno in questo senso. è una svolta epocale: ora ci aspettiamo di aumentare il numero dei nostri iscritti sia riavvicinando al Fondo chi non riusciva più a rinnovare l’iscrizione, sia suscitando l’interesse di altri manager e di conseguenza aumentando il numero degli iscritti a Federmanager.

Perché scegliere la domiciliazione bancaria, in generale, oltre che per accedere alla rateizzazione?

Perché dà garanzia di copertura. Ricordiamo infatti che le prestazioni che vengono effettuate nel periodo di morosità non sono garantite. Procedere, quindi, con l’addebito bancario permette di evitare eventuali dimenticanze per il versamento del contributo garantendo la continuità di copertura da un anno all’altro. Inoltre non è necessario recarsi presso gli sportelli bancari per eseguire il versamento con evidenti vantaggi di comodità, oltre che di tracciabilità e sicurezza.

Con la nuova Legge di Bilancio c’è un’ulteriore spinta allo sviluppo del welfare aziendale. Siamo sulla strada giusta?

Direi proprio di sì. Dal nostro punto di vista, dare incentivi alle aziende per puntare su sistemi di sanità integrativa è fondamentale: l’obiettivo, e la nostra ambizione, è che gli incentivi stessi vengano allargati, oltre che ai lavoratori, a tutti i cittadini e soprattutto a inoccupati e pensionati, che ne avrebbero più bisogno. Questo è l’unico sistema per contenere la spesa sanitaria sostenuta di tasca propria dai cittadini (anche detta “out of pocket”, ndr) in un momento in cui molte persone stanno rinunciando ad alcune tipologie di cure, probabilmente a causa della perdurante crisi finanziaria. In particolare si è registrata una maggiore flessione per le spese odontoiatriche, le visite specialistiche, la diagnostica e la prevenzione.
Siamo inoltre soddisfatti, nello specifico, che nella Legge di Bilancio 2017 siano stati aumentati i plafond per le aziende anche se auspichiamo che questo limite venga ulteriormente incrementato per comprendere all’interno della manovra stessa i colleghi dirigenti che vorrebbero aumentare la contribuzione proprio ai fondi di assistenza sanitaria.

Marco Rossetti, Direttore Assidai