Il trattamento fiscale di contributi e prestazioni Assidai

Con la dichiarazione dei redditi che si approssima, vale la pena ricordare come e in che misura si possono scaricare i contributi versati al fondo sanitario integrativo e le spese mediche. Per farlo bisogna distinguere tuttavia tre fattispecie.

Per chi aderisce ad Assidai in forma individuale e volontaria (pensionati, lavoratori autonomi, etc) il contributo di adesione versato dall’iscritto concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente e quindi solo le spese mediche sono detraibili dalle imposte nella misura del 19% per la parte eccedente 129,11 euro, sebbene le stesse siano state rimborsate da Assidai.

Per i lavoratori dipendenti che aderiscono ad Assidai in conformità di contratto, accordo o regolamento aziendale i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore a enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale per un importo non superiore complessivamente a 3.615,20 euro non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente.

Se non si supera questa soglia, solo le spese non rimborsate da Assidai sono detraibili nella misura del 19% per la parte eccedente 129,11 euro. Se invece i contributi superano 3.615,20 euro, la parte eccedente concorre a formare il reddito imponibile mentre le spese sanitarie sono detraibili nella misura proporzionale alla quota dei contributi eccedenti la soglia per un importo pari al 19% della parte oltre 129,11 euro.

Per le aziende, infine, i contributi a loro carico rappresentano una voce di costo del lavoro, deducibile integralmente ai fini della determinazione del reddito di impresa soggetto ad Ires.

I contributi del datore di lavoro sono soggetti ad un contributo di solidarietà del 10% che deve essere devoluto alle gestioni pensionistiche cui sono iscritti i lavoratori.

Integrazione tra sanità, pubblico e privato per rispondere ai bisogni dei cittadini

“Sanità, pubblico e privato vanno integrati per rispondere meglio ai bisogni dei cittadini”

Intervista al Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin: “Ecco le prossime sfide”

Ministro Lorenzin, recentemente ha partecipato al convegno organizzato da Federmanager in occasione del Salone della Giustizia in cui il tema era la sanità giusta tra pubblico e privato. Quale può essere la strada secondo lei per perseguire questo obiettivo?

La strada che si sta delineando non prevede un antagonismo fra pubblico e privato, ma un’integrazione tra i due sistemi, finalizzata alla realizzazione di una concreta possibilità di rispondere a tutti i bisogni di salute. Ricordo che sono riconosciute specifiche agevolazioni fiscali a due tipologie di fondi sanitari per garantire l’erogazione di prestazioni integrative al Servizio sanitario nazionale: i “Fondi sanitari integrativi del SSN”, che erogano solo ed esclusivamente prestazioni non comprese nei livelli essenziali di assistenza, e gli “Enti, Casse e Società di Mutuo Soccorso aventi esclusivamente fini assistenziali” che sono sia integrativi del SSN, sia sostitutivi. Dai dati dell’Anagrafe sui fondi sanitari, distinti per tipologia, emerge la netta prevalenza di quelli anche sostitutivi al SSN (297 nel 2016, con più di 9 milioni di iscritti), rispetto a quelli puramente integrativi al SSN (8 nel 2016, con più di 9 mila iscritti) (vd. tabelle).

tabella1

La popolazione italiana si appresta a essere una delle più “vecchie” al mondo. Parallelamente il bilancio pubblico continua a mostrare crescenti segnali di debolezza. Due elementi che, combinati, mettono a dura prova la sostenibilità del SSN. Come uscire da questo impasse?

Il tasso di fecondità ben al di sotto della soglia naturale di sostituzione (2,1 figli per donna) e il raggiungimento di traguardi, un tempo insperati, dell’aspettativa di vita, fanno dell’Italia uno dei Paesi con il più alto indice di vecchiaia al mondo. Se, da un lato, ciò rappresenta un indubbio successo sul piano della sanità pubblica, dall’altro costituisce una sfida e richiama l’attenzione sulla necessità di ulteriori interventi di sostegno alle politiche sanitarie e sociali. Alle trasformazioni sociali e demografiche in atto si sta rispondendo con scelte programmatorie precise, potenziando da un lato la promozione della salute e la prevenzione, nonché con la definizione di un sistema sanitario più organizzato per le cure di lungo termine, definito nell’ambito del Piano nazionale della cronicità.

In questo contesto, qual è il ruolo dei nuovi LEA?

I nuovi Livelli essenziali di assistenza, approvati a distanza di 16 anni dai precedenti, forniscono su questo terreno importanti indicazioni, dando maggiori certezze anche sui servizi, prestazioni e percorsi di cura per i pazienti cronici e fragili. I nuovi Lea indicano in modo esplicito che il Lea domiciliare non comprende solo una o più prestazioni, ma l’intero percorso assistenziale integrato, che risulta necessario alla presa in carico della persona, e ne esplicita i diversi passaggi. Inoltre, si supera il concetto di assistenza domiciliare integrata come “contenitore unico” e la si distingue in quattro livelli, sulla base del bisogno di salute dell’assistito e del grado di intensità e complessità delle cure. Nel frattempo, si stanno introducendo indicatori relativi ad alcuni importanti percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali, tra cui Bpco (broncopneumopatia cronica ostruttiva), scompenso cardiaco, diabete, tumori della mammella, del colon e del retto, in coerenza con il Piano nazionale della cronicità. Si sta lavorando, infine, anche su temi che affrontano altri aspetti di fragilità, che, se non adeguatamente affrontati, possono costituire nuovi ambiti di diseguaglianze, come le malattie rare. A tal proposito, nei nuovi Lea sono state inserite sei nuove malattie croniche esenti (BPCO negli stadi clinici “moderato”, “grave” e “molto grave”; sindrome da talidomide; osteomielite cronica; patologie renali croniche; rene policistico autosomico dominante; endometriosi negli stadi III e IV).

Un altro nodo cruciale per il Sistema sanitario italiano è la forte componente di spesa out of pocket e la scarsa copertura, rispetto ad altre economie industrializzate, della stessa da parte dei fondi integrativi. Secondo lei, questo è un motivo per spingere sullo sviluppo del settore? Ritiene che siano necessari incentivi da parte dello Stato?

Per dare servizi ai cittadini occorre eliminare abusi e sprechi; il Ministero presta attenzione non solo agli aspetti di riequilibrio economico-finanziario, ma anche alle modifiche strutturali dei sistemi sanitari regionali, affinché vi sia un’appropriata erogazione delle risorse e la possibilità di reinvestire nella qualità delle cure e nel potenziamento dei servizi. La Legge di stabilità 2016 ha previsto i piani di efficientamento non più solo a livello regionale, ma anche a livello aziendale, a partire dall’area ospedaliera, con un approccio globale che coinvolge la pianificazione regionale e aziendale e che mostra il chiaro orientamento ad una cultura di misurazione per la sostenibilità del servizio sanitario. In riferimento alla spesa out of pocket per le prestazioni comprese nei Lea, molto si sta lavorando sulla riduzione delle liste d’attesa, sulla rivisitazione dei ticket, sulla facilitazione all’accesso ai farmaci innovativi, in particolare di quelli oncologici e HCV. Inoltre, la legge di stabilità del 2016 e la recente legge di bilancio 2017 hanno contribuito ad incrementare l’istituzione di fondi sanitari integrativi con altre forme di incentivazione fiscale relative al welfare aziendale. In particolare, è prevista la possibilità di convertire una parte del premio di produttività in forme di benefit, ai dipendenti e loro familiari, che sono totalmente detassate. I benefit consistono in forme di assistenza.

Quale valore ha la prevenzione? In che modo può contribuire alla sostenibilità del SSN?

La salute della popolazione è un fattore ormai riconosciuto della crescita economica: la popolazione sana lavora, produce e ha una minore richiesta di assistenza sanitaria. Promuovere la salute di tutti i cittadini ad ogni età favorisce anche la costruzione di una società più sostenibile, in particolare in un periodo di crisi, investendo nella prevenzione e nella lotta alle malattie croniche, principali cause di mortalità e cattive condizioni di salute. La crisi economica che ha investito il nostro Paese e l’attuale invecchiamento della popolazione hanno acuito le problematiche esistenti. L’attuale quadro epidemiologico, caratterizzato dalla prevalenza delle malattie cronico-degenerative, e il ruolo assunto nel loro determinismo da fattori comportamentali e stili di vita (scorretta alimentazione, sedentarietà, fumo, abuso di alcol), ha evidenziato quanto sia importante investire sulla promozione della salute e sulla prevenzione. Con il Programma “Guadagnare salute: rendere facili le scelte salutari”, approvato dal Governo in accordo con le Regioni e le Province autonome (Dpcm 4 maggio 2007), l’Italia ha adottato, a livello nazionale, una strategia per promuovere la salute come bene pubblico, attraverso l’integrazione tra le azioni di cui sono responsabili i singoli cittadini e quelle che competono alla collettività.

Qual è invece l’obiettivo del Piano Nazionale della Prevenzione 2014-2018?

Il Piano Nazionale ha fatto proprio l’approccio intersettoriale di “Guadagnare salute”, per promuovere politiche e azioni integrate per modificare i determinanti sociali secondo i principi della Health in All Policies, e ha individuato obiettivi a elevata valenza strategica, perseguibili contemporaneamente da tutte le Regioni, partendo dagli specifici contesti locali. Il Piano prevede strategie di popolazione finalizzate a diffondere e facilitare la scelta di stili di vita sani e attivi, attraverso programmi di promozione della salute che adottano un approccio trasversale ai determinanti di salute. Inoltre, nell’ambito del Piano vaccinazioni, anche la prevenzione delle malattie trasmissibili resta un obiettivo prioritario e coerente con la finalità di garantire anche la sostenibilità del SSN nel proteggere la salute di tutta la popolazione. L’obiettivo va perseguito attraverso l’offerta tempestiva e omogenea sul territorio nazionale della immunizzazione attiva, ma anche attraverso la corretta informazione ed educazione dei cittadini, la promozione e la profilassi dei soggetti esposti, la tempestività e la qualità delle diagnosi, l’appropriatezza e la completezza dei trattamenti terapeutici, il monitoraggio degli esiti degli interventi e dei loro eventuali eventi avversi.

Un altro tema chiave, specie in ottica futura, è rappresentato dalla copertura Ltc. Ritiene che nel nostro Paese si stia facendo abbastanza su questo fronte?

La Long term care è una sfida comune dei sistemi sanitari del mondo industrializzato. La necessità di riorientare in modello di assistenza dalla cura della malattia verso una visione olistica ed una presa in carico della persona nella sua complessità, attraverso un processo strutturato, è contenuto nel Patto per la Salute 2014-2016. Tale sfida richiede di individuare responsabilità e meccanismi operativi per superare la frammentazione dei servizi e sconta la difficoltà nel controllo dei costi. Sottolineo che riorientare il modello di assistenza comporta un cambiamento sostanziale perché richiede non solo l’attenzione alla guarigione da una malattia, ma il lavoro sinergico di persone e strutture impegnate nel fornire comunque l’assistenza migliore, al fine di garantire una buona qualità della vita. I nuovi percorsi assistenziali dovranno essere caratterizzati da un approccio multidisciplinare e interdisciplinare e al tempo stesso occorrerà promuovere la partecipazione attiva del cittadino nei processi sanitari che lo coinvolgono. è necessario, infine, delineare un sistema di monitoraggio che comprenda i passaggi fondamentali del percorso di cura integrata, che ora è difficile data la frammentazione delle fonti informative.

 

Beatrice Lorenzin è Ministro della Salute nel Governo presieduto da Paolo Gentiloni. Ha guidato il Ministero della Salute nel Governo Letta (dal 28 aprile 2013 al 21 febbraio 2014) e successivamente nel Governo Renzi (dal 22 febbraio 2014 al 12 dicembre 2016): è il quinto Ministro della sanità-salute donna dopo Tina Anselmi, Mariapia Garavaglia, Rosy Bindi e Livia Turco. Nata a Roma il 14 ottobre 1971, ha intrapreso la carriera politica nell’ottobre 1997 con l’elezione al Consiglio del XIII Municipio di Roma nella lista di Forza Italia. Nel 2001 è eletta Consigliere comunale di Roma, mentre tra il 2005 e la metà del 2006 è Capo della Segreteria Tecnica del Sottosegretario all’Informazione, Comunicazione e Editoria presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Nel 2008 è eletta alla Camera dei deputati nella lista PdL e viene riconfermata alle politiche del 24-25 febbraio 2013.

 

Presentazione di Welfare 24

La parola al presidente Assidai, Tiziano Neviani

Il nuovo numero di Welfare24 è speciale: abbiamo, infatti, realizzato un’intervista, in esclusiva per Assidai, al Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, che offre un’ampia e approfondita panoramica sulle principali sfide della sanità italiana. Con un punto fermo: la sanità pubblica e quella privata non sono alternative, ma devono lavorare in modo integrato per migliorare le prospettive di sostenibilità ed efficienza del Sistema sanitario nazionale e, di conseguenza, la qualità di vita dei cittadini. Il Ministro Lorenzin parla anche di prevenzione, dei nuovi Lea, della copertura Ltc, del ruolo della sanità integrativa e soprattutto ci fornisce dati inediti e aggiornati sull’anagrafe dei fondi sanitari italiani.

Presentiamo, poi, un breve resoconto del convegno “La sanità giusta tra pubblico e privato”, organizzato da Federmanager, e al quale ha partecipato Assidai, lo scorso 11 aprile, nella giornata di apertura della VII edizione del Salone della Giustizia a Roma.

Infine, segnaliamo un approfondimento sulla fiscalità dei contributi e delle prestazioni Assidai e come fare per devolvere il 5×1000 a Vises, Onlus di riferimento di Federmanager.

I più sani al mondo

Il punto di vista di Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

Di recente è apparsa sulla stampa la notizia che i cittadini italiani sono i più sani al mondo. La fonte è il Global Health Index di Bloomberg e riporta una classifica su 163 Paesi che tiene conto di durata media della vita, nutrizione, salute mentale e incidenza di alcuni fattori di rischio come il fumo.

Se esiste una correlazione tra salute e benessere economico, nel report emerge anche che la ricchezza diventa salute solo se si combina a fattori culturali come l’attenzione per il cibo o l’abitudine a praticare attività fisica.

Consapevoli di quanto questi aspetti siano determinanti per un’esistenza in salute, la Commissione Sanità di Federmanager lo scorso febbraio ha scelto di dedicare un’iniziativa proprio agli stili di vita, di cui si dà ampio conto in questa newsletter. Nonostante il nostro investimento in programmi di prevenzione sia stabile, intendiamo infatti insistere nella promozione dei comportamenti corretti perché esiste ancora una barriera culturale in questo campo che non lascia escluso il management.

Per questo, il mio impegno come Presidente è di creare tutte le occasioni possibili per offrire ai colleghi una corretta informazione sul tema e costruire sinergie tra i nostri Fondi di assistenza sanitaria integrativa e le istituzioni pubbliche competenti.

Cancro al seno, scoprirlo subito per batterlo

“Serve serenità perché la vera prevenzione è la diagnosi precoce: negli ultimi 10 anni ci ha permesso di ridurre la mortalità del 10%. Il mio è un messaggio di speranza, ma anche e soprattutto un forte richiamo al valore della prevenzione: se c’è qualcosa è meglio scoprirlo subito, perché così non diventa un problema”. Queste le dichiarazioni di Chiara Pistolese, medico e docente universitaria in Diagnostica per immagini, che lavora al Policlinico Tor Vergata di Roma e da oltre 20 anni segue la diagnostica senologica. “Mi occupo di diagnostica e interventistica – sottolinea – e lo faccio con grande passione perché sono una donna e so cosa significa sottoporsi a questo tipo di controlli: serve grande sensibilità. Il carcinoma al seno è molto diffuso ed è una delle cause di morte più frequenti. Per questo le donne vanno sensibilizzate, se già non lo sono, sul tema della prevenzione che, negli ultimi 10 anni, ha permesso di ridurre il tasso di mortalità dell’11%”.

Quali sono gli esami specifici per la prevenzione del cancro al seno?

In realtà non esiste una vera e propria prevenzione nel senso stretto del termine. Mi spiego meglio. C’è sempre la prevenzione “prima”, quella legata allo stile di vita, ma la “vera” prevenzione, per il cancro al seno, è la diagnosi precoce: quanto prima si scopre una lesione, tanto più si può riuscire a cambiare in positivo la prognosi.

A che età una donna deve iniziare a fare controlli e quali sono le tipologie di esami da effettuare?

È importante iniziare al momento giusto, che arriva a 35-40 anni, anche in relazione alla storia della donna – per esempio, se in famiglia ci sono stati altri casi di cancro al seno – e al tipo di mammella. Per quanto riguarda le tipologie di controlli ci sono senz’altro le indagini convenzionali come la mammografia sempre associata a un’ecografia: questa è la cosa più importante. I due esami sono complementari e devono essere effettuati contestualmente, non a mesi di distanza: solo così possono dare una visione globale della mammella.

Con che frequenza vanno svolti questi esami?

Una volta l’anno e, ripeto, bisogna iniziare assolutamente da 40 anni, non oltre. Solo con questa frequenza si possono individuare lesioni molto piccole che possono essere risolte: grazie a questo tipo di prevenzione, negli ultimi 10 anni, abbiamo assistito a una significativa riduzione della mortalità, pari all’11%. In base all’esito di questi esami, mi sento di aggiungere, si passa rapidamente a esami di secondo livello per chiarire del tutto il quadro clinico. Parliamo, per esempio, di risonanza magnetica con mezzo di contrasto alla mammella, che va fatta solo in casi selezionati e su richiesta del radiologo, che sa cosa cercare, ma anche di altri esami come biopsie e procedure interventistiche di caratterizzazione citologica e istologica. È bene precisare che ormai al tavolo operatorio arrivano solo situazioni con diagnosi già definite e non esistono più interventi chirurgici a scopi diagnostici come avveniva anni fa.

Cosa si sente di raccomandare alle donne in generale su questo argomento?

Le donne si devono sempre rivolgere a centri altamente specializzati, dove il personale che si dedica alla senologia sia qualificato, tecnico e medico. È inoltre essenziale la presenza del medico durante l’esecuzione degli esami e si deve arrivare in poche ore alla diagnosi conclusiva. Bisogna rivolgersi a strutture in cui c’è la possibilità di effettuare tutti gli esami e la donna deve potere risolvere il suo problema, sciogliendo eventuali dubbi, in poche ore. Talvolta, infatti, si può agire anche in regime ambulatoriale. Serve serenità, perché il carcinoma alla mammella è risolvibile, se diagnosticato in tempo. Le donne non devono avere paura, ogni caso e ogni storia sono diversi: se c’è qualcosa è meglio scoprirlo subito, perché così non è e non diventa un problema.

Chiara Pistolese, medico chirurgo specialista in radiologia, da più di vent’anni si dedica alla diagnostica senologica. Professore aggregato presso il Dipartimento di diagnostica per immagini e radiologia interventistica dell’Università di Roma “Tor Vergata”, è responsabile dell’Unità operativa semplice di interventistica senologica. Si occupa di imaging convenzionale (mammografia, ecografia) RM mammaria e procedure interventistiche di caratterizzazione istologica delle lesioni sotto tutte le guide strumentali.

Welfare, Assidai e Federmanager sul territorio

Da febbraio ad aprile, in sette città italiane, l’impegno del fondo insieme alle Associazioni Territoriali Federmanager per essere sempre più vicini agli iscritti attuali e futuri

Da febbraio ad aprile, in sette città italiane (Trieste, Piacenza, Cuneo, Milano, Verona, Bari e Pavia), Assidai è impegnato in una serie di interventi sul welfare organizzati dalle Associazioni Territoriali Federmanager che hanno visto il coinvolgimento degli Enti di tutto il sistema federale e del Fasi.

L’obiettivo, per quanto riguarda Assidai, oltre ovviamente a sostenere Federmanager in un capillare “lavoro” di sensibilizzazione sul territorio, è quello di presentare la propria attività come Fondo, fornire informazioni su come iscriversi, oltre che ascoltare gli iscritti e risolvere problematiche o questioni pendenti.

Gli interventi di Assidai si concentrano prevalentemente sull’importanza del ruolo ricoperto dal Fondo sanitario nel contesto del welfare sociale e aziendale, senza dimenticare i servizi innovativi introdotti per gli iscritti e le ultime novità sulle prestazioni per la non autosufficienza (Long Term Care), tema di grande attualità. La partecipazione agli eventi già realizzati è stata numerosa e molti sono stati gli interventi da parte del pubblico. Gli incontri sul territorio si confermano così un momento chiave per consolidare e allargare il bacino di utenza degli iscritti.

Welfare aziendale, si punta sulla prevenzione

È quanto emerge da un convegno promosso a febbraio 2017 da Federmanager. Tra i partecipanti il Ministero della Salute, l’Istituto Superiore di Sanità, G&G Associated, Rbm e Confapi.

Il 78% degli italiani ha paura di dovere ridurre o rimandare le spese sanitarie in futuro. È quanto emerge da una ricerca di G&G Associated (istituto di ricerche per il marketing, la comunicazione e le tematiche sociali), che sottolinea anche un forte interesse dei lavoratori del settore manifatturiero per i programmi di prevenzione. Lo studio è stato presentato al convegno “Stili di vita: l’esperienza della sanità integrativa”, organizzato da Federmanager e tenutosi a Roma a febbraio.

All’evento, coordinato da Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager, oltre a Giuseppe Torre, Direttore G&G Associated, sono intervenuti Walter Ricciardi, Presidente Istituto Superiore di Sanità (intervistato in questa newsletter), Ranieri Guerra, DG Prevenzione sanitaria del Ministero della salute, Maurizio Casasco, Presidente Confapi e Fims, Lucia Magnani, AD Longlife Formula SpA, Federico Spandonaro dell’Università di Roma Tor Vergata e Presidente C.R.E.A., Marco Vecchietti, Consigliere Delegato RBM Salute e AD Previmedical.

Come detto, dunque, i lavoratori del settore manifatturiero iniziano a chiedere l’accesso a programmi di prevenzione. È questa la tendenza rilevata dai dati dell’osservatorio sulla sanità integrativa di G&G Associated su un campione di 800 imprese e 1.200 lavoratori del settore industria intervistati a fine 2016. Tra i benefit aziendali più attesi, subito dopo la sanità integrativa, richiesta dal 78% dei lavoratori, figurano l’orario flessibile (42%) e i programmi di prevenzione sanitaria 39%. Un trend che inizia a sollecitare l’interesse anche delle imprese del settore, sempre più disposte a considerare la prevenzione sanitaria una forma di welfare aziendale.

A tutto ciò si aggiunge il quadro di un Paese in cui, su un campione più vasto di cittadini (3.800 interviste), il 78% ha paura di dovere ridurre o rimandare le spese sanitarie in futuro: a rischio, subito dopo la spesa odontoiatrica (57%), compare quella in prevenzione sanitaria (47%) e, infine, quella per le visite specialistiche (42%).

Italia, sulla prevenzione avanti piano

Meglio di Grecia, Portogallo, Francia, Austria, Irlanda, Belgio, Spagna e Finlandia; peggio di Lussemburgo, Danimarca, Svezia, Germania, Regno Unito, Olanda, Stati Uniti e Canada.

Il quadro della prevenzione, visto dal punto di vista della spesa procapite (che numericamente si attesta poco sotto i 100 euro), in Italia non è drammatico ma neppure entusiasmante. Stando ai dati Ocse illustrati da Federico Spandonaro, docente dell’Università di Roma Tor Vergata e presidente CREA, al convegno “Stili di vita: l’esperienza della sanità integrativa” (organizzato da Federmanager), il nostro Paese negli ultimi anni ha registrato alcuni miglioramenti su questo fronte, ma il lavoro da fare resta molto. L’ultimo dato disponibile, secondo Spandonaro, è quello del 2014, con una spesa relativa alla prevenzione pari al 4,9% della spesa corrente italiana contro il 3,7% del 2013. Un bel progresso, anche se restiamo abbondantemente indietro rispetto a Paesi come Olanda, Regno Unito, Canada, Germania e Stati Uniti.

Per i fondi integrativi un ruolo importante nel futuro del SSN

Per i fondi integrativi un ruolo importante nel futuro del Servizio sanitario nazionale ma serve una programmazione adeguata.

Intervista al Prof. Walter Ricciardi, Presidente Istituto Superiore di Sanità

La prevenzione sanitaria in Italia? “Purtroppo facciamo ancora troppo poco, dal punto di vista degli investimenti siamo la Cenerentola dell’Ocse”. La tenuta finanziaria del Servizio sanitario nazionale? “Serve un intervento a 360 gradi, ci sono ancora troppi sprechi”. Il possibile ruolo dei fondi sanitari integrativi? “Molto importante, va gestito con un’adeguata programmazione nazionale”. A parlare è il Professor Walter Ricciardi, Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità.

Dal suo osservatorio quanto è importante la prevenzione per le dinamiche del Servizio sanitario nazionale?

Potrebbe essere molto importante, ma in Italia purtroppo lo è ancora troppo poco se si pensa che siamo in coda alla classifica Ocse negli investimenti in questo settore. In teoria ci sarebbe un accordo storico tra Stato e Regioni che prevede si destini alla prevenzione il 5% delle spese sanitarie, ma non viene rispettato quasi mai. Andando avanti di questo passo non riusciremo a difendere i grandi primati che abbiamo conquistato negli ultimi 40 anni e che ci hanno portato ad essere, secondo le ultime indagini, il popolo più sano del mondo. Abbiamo tagliato questo traguardo grazie a una efficace combinazione tra dieta mediterranea e Servizio sanitario nazionale pubblico, ma dobbiamo continuare a investire in prevenzione altrimenti perderemo posizioni. Su questo punto, il Ministero della Salute la pensa allo stesso modo, ma alla fine i soldi per la prevenzione li spendono le regioni e quindi tocca ai Governatori.

Come si deve concretizzare la prevenzione, dal punto di vista degli stili di vita e della diagnostica, che vantaggi economici potrebbe portare e quante vite potrebbe salvare?

Partiamo da una premessa: l’86% delle malattie non trasmissibili, cancro incluso, hanno quattro fattori di rischio modificabili: alcol, fumo, attività fisica e alimentazione. Agendo su queste leve è incredibile il numero di vite che si potrebbe salvare. Aumentare il costo delle sigarette in tutta Europa al prezzo medio di 4,25 euro salverebbe centinaia di migliaia di vite ogni anno. Ancora: circa 2,8 milioni di morti all’anno in Europa sono da imputare al sovrappeso o all’obesità; 1,7 milioni di morti possono essere attribuiti a uno scarso consumo di frutta e verdura e, sempre in Europa, si stima circa 1 milione di morti attribuibili all’inattività fisica.

Come si possono risolvere le difficoltà di “tenuta” finanziaria del Servizio sanitario nazionale?

Dopo i tagli lineari degli ultimi anni, nel 2017 e 2018 si intravede un’inversione di tendenza ma con questi ritmi di crescita la sostenibilità non è garantita. Servono interventi contemporanei e su più fronti. Dobbiamo crescere come Paese e innanzitutto utilizzare meglio le risorse che abbiamo: oltre 110 miliardi di fondi l’anno non sono pochi. Ci sono troppi sprechi: almeno il 20% delle risorse allocate in sanità potrebbe essere risparmiato e reinvestito, magari premiando proprio la prevenzione. Ci sono ancora troppi test diagnostici inappropriati e prestazioni non corrette che vengono erogate.

Che ruolo possono avere, in questo contesto, i fondi sanitari integrativi?

Un ruolo importante, anche perché credo non ci sia alcuna velleità di abbandonare il Ssn contrariamente a quanto alcuni vogliono far credere. Non favorire la sanità integrativa significa far sì che ci siano due soli canali finanziari: il pilastro pubblico e quello privato puro, che attinge direttamente alle tasche dei cittadini. Non credo che questa situazione sia adeguata e per questo vedo un grosso ruolo, adeguatamente gestito, per i fondi sanitari integrativi. Devo dire che, in questo senso, stiamo andando nella giusta direzione, ma dobbiamo ancora fare passi in avanti: ancora non siamo al livello di stendere una programmazione nazionale che preveda adeguati incentivi.

Walter Ricciardi

Professore Ordinario di Igiene e Direttore della Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, ad agosto 2015 è stato nominato Presidente dell’Istituto Italiano Superiore di Sanità dove è stato Commissario dal luglio 2014 al luglio 2015. È responsabile di corsi universitari e post laurea tra cui un Master in Scienze e Corsi Internazionali di Epidemiologia. In Italia è stato membro del Consiglio Superiore di Sanità negli anni 2003-2006 e il Ministro della Salute lo ha nominato Presidente della Sezione di Sanità Pubblica del Consiglio stesso dal 2010 al 2014.

Presentazione di Welfare 24

La parola al presidente Assidai, Tiziano Neviani

I cittadini italiani sono i più sani al mondo.

Un primato invidiabile, che nel nuovo numero di Welfare 24 ci viene ricordato dal Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Walter Ricciardi, e dal Presidente di Federmanager, Stefano Cuzzilla.

Per difenderlo, qualsiasi ragionamento non può prescindere da due valori chiave: stili di vita corretti e prevenzione (l’intervento della senologa Chiara Pistolese è molto significativo in questo senso).
Proprio agendo su queste leve, si può contribuire a rafforzare l’impianto del Servizio sanitario nazionale, sempre più messo a dura prova dall’invecchiamento della popolazione e da finanze pubbliche provate da anni di crisi economica.

In questo contesto, come ci ricorda lo stesso Ricciardi, il ruolo della sanità integrativa è ancora più cruciale: rappresenta infatti un’alternativa, da stimolare con un’adeguata programmazione a livello nazionale, sia al pilastro pubblico sia a quello privato “puro”.

Anche in quest’ottica, nelle ultime settimane, Assidai è al fianco delle Associazioni Territoriali di Federmanager in una serie di interventi in tutta Italia – per essere sempre più vicini agli iscritti attuali e futuri – sul welfare aziendale, un tema ormai sempre più d’attualità in ogni settore dell’economia.

Rivoluzione culturale per il welfare

Secondo Luca Pesenti, esperto in materia, le misure messe in campo dal governo sono già importanti, ma adesso in Italia serve un vero cambio di passo da parte di tutto il sistema.

“Sul welfare aziendale in Italia siamo progrediti parecchio negli ultimi anni ma ora serve una vera svolta culturale da parte di tutto il sistema produttivo e sociale”. Ne è convinto Luca Pesenti, docente di “Sistemi di welfare comparati” alla facoltà di Scienze politiche e sociali all’Università Cattolica, che ha da poco scritto un libro – intitolato “Il welfare in azienda. Imprese smart e benessere dei lavoratori” (ed. Vita e Pensiero) – che si propone come manuale teorico e pratico per orientarsi nel settore in Italia.

Professor Pesenti, che cosa pensa del welfare aziendale in Italia e del suo sviluppo in relazione ad altri Paesi europei e alle attuali dinamiche di spesa sanitaria e di invecchiamento della popolazione?

Abbiamo vissuto una fase di forte sviluppo negli ultimissimi anni, anche perché partivamo da molto indietro visto che l’Italia, storicamente, non è un sistema all’inglese dove tutta la contrattazione è aziendale e l’employee benefit è molto sviluppato. Da noi, lo sviluppo della contrattazione di secondo livello e del welfare aziendale stanno andando di pari passo solo negli ultimi anni, anche perché nel passato c’è chi si è opposto nella convinzione che il tema del welfare dovesse essere esclusivamente di competenza statale, o al più demandato alla contrattazione nazionale. Poi, dopo 30 anni che non veniva modificata, la normativa fiscale è cambiata nel 2015 e nel 2016 e adesso c’è una significativa convenienza a ricorrere al welfare aziendale: da una parte le aziende sono più competitive, dall’altra lo Stato incentiva la diffusione di beni e servizi che possono parzialmente compensare l’arretramento del welfare pubblico. Chiaramente, la sanità è un epicentro critico all’interno di questa dinamica.

Che cosa si può fare per ampliare ulteriormente lo sviluppo del welfare aziendale?

Fino ad oggi il welfare aziendale si è diffuso nelle grandi aziende e parzialmente nelle medie, lasciando fuori le piccole che però rappresentano il grosso dell’industria e dell’occupazione in Italia. In questo senso, le ultime due leggi di Stabilità hanno rappresentato passaggi importanti, ormai ci sono pochi vincoli regolamentari; piuttosto serve una svolta di tipo culturale da parte di tutto il sistema produttivo e sociale sia da parte dei dipendenti che devono iniziare ad entrare nell’ottica di avere dei benefit al posto di una parte della retribuzione (quella variabile) che da parte delle aziende che non sempre conoscono bene le norme e hanno difficoltà ad abbracciarle all’interno delle logiche complessive della gestione delle risorse umane. Insomma, siamo davanti a una sfida che presenta opportunità e rischi.

Che ruolo devono giocare secondo lei in questo contesto i fondi sanitari integrativi come Assidai?

Saranno sicuramente un collegamento con la contrattazione di primo livello. Il tema più forte a mio parere è legato all’andamento della spesa out of pocket in Italia visto che siamo al 22% della spesa sanitaria totale, superiore alla media dell’Unione Europea a 28 Paesi. Una spesa molto alta per un sistema universalista come il nostro, con il 7% dei bisogni medici che non trovano soddisfazioni per cause economiche (un valore doppio rispetto alle medie UE). Di questo passo il problema si pone e si porrà sempre di più con difficoltà crescenti: non c’è dubbio che i fondi sanitari un ruolo forzatamente lo dovranno avere.

Luca Pesenti Ricercatore di Sociologia generale nella Facoltà di Scienze Politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove insegna Sistemi di welfare comparati e Modelli, strumenti e regole del welfare. Dottore di ricerca in Sociologia economica nella Facoltà di Economia dell’Università di Brescia, si occupa di temi legati al welfare contrattuale. Dal giugno 2013 è Direttore delle ricerche e componente del comitato scientifico dell’Osservatorio Donazione Farmaci presso la Fondazione Banco Farmaceutico.