Long Term Care, ampliati i vantaggi per il 2019

Per la terza volta in cinque anni il Fondo migliora le tutele per gli iscritti under e over 65 anni con ulteriori vantaggi, come aumenti di rendite e massimali mensili.

Con l’inizio del nuovo anno Assidai migliora ancora – per la terza volta in cinque anni – le tutele in caso di non autosufficienza a favore degli iscritti. Dopo la svolta impressa nel 2015 (quando la copertura era stata estesa anche al coniuge o al convivente more uxorio dell’iscritto) e quella del 2017 (tra l’altro furono introdotti un aumento della rendita per gli under 65 e prestazioni più ricche per gli over 65), il Fondo ha deciso di “rilanciare” ancora nel 2019.

I vantaggi della Long Term Care di Assidai

Che cosa cambia nel dettaglio e come? Anche questa volta bisogna distinguere tra l’iscritto sotto i 65 anni di età o sopra questa soglia. Nel primo caso, per le prestazioni in caso di non autosufficienza garantite a favore del caponucleo (iscritto) e del coniuge/convivente more uxorio o dei figli risultanti dallo stato di famiglia fino al 26° anno di età (siano essi legittimi, naturali, legittimati, adottivi e in affido preadottivo) la rendita vitalizia aumenta. Con tre distinguo:

  • nel caso standard da 1.100 euro (13.200 euro annui) a 1.200 euro (14.400 euro annui);
  • se il figlio è minorenne da 1.430 euro (17.160 euro annui) a 1.560 euro (18.720 euro annui);
  • se il figlio è disabile da 2.200 euro (26.400 euro annui) a 2.400 euro (28.800 euro annui).

Diverso il discorso se l’iscritto ha più di 65 anni: in questo caso per il caponucleo iscritto e/o il relativo coniuge/convivente more uxorio, è stata prevista l’estensione dell’assistenza infermieristica domiciliare, che prevede un massimale di 1.000 euro mensili, per un ulteriore mese e quindi per un massimo di 300 giorni per anno assicurativo per assistito (in precedenza era di 270 giorni).

Questa ulteriore mossa di Assidai, che va innanzitutto a vantaggio e tutela degli iscritti, dimostra ancora una volta come il Fondo sia da sempre in prima linea sulle coperture Long Term Care, un tema destinato ad avere sempre più peso in Italia e negli altri Paesi europei alla luce del trend di invecchiamento della popolazione e delle difficoltà del Sistema Sanitario Nazionale. In Italia – va sottolineato – non esiste una vera e propria esperienza in ambito di coperture LTC come succede invece in altri Paesi europei. Assidai, invece, fin dal 2010 ha deciso in modo assolutamente innovativo di essere accanto ai propri iscritti introducendo le coperture del rischio di non autosufficienza che, nel giro di pochi anni, hanno visto aumentare il livello delle prestazioni garantite.

La definizione di Long Term Care per Assidai

La definizione di non autosufficienza varia in base all’età dell’assistito. Fino a 65 anni la perdita di autosufficienza avviene quando l’assistito a causa di una malattia, di una lesione o della perdita delle forze si trovi in uno stato tale da aver bisogno, prevedibilmente per sempre, quotidianamente e in misura notevole, dell’assistenza di un’altra persona nel compiere almeno quattro delle seguenti sei attività elementari della vita quotidiana: lavarsi, vestirsi e/o svestirsi, mobilità, spostarsi, andare in bagno, bere e/o mangiare.

Dal 66esimo anno di età, la perdita di autosufficienza avviene quando l’assistito è incapace di compiere in modo totale, e presumibilmente permanente, almeno tre delle attività elementari della vita quotidiana (sopra citate) e necessita di assistenza continuativa da parte di una terza persona per lo svolgimento delle stesse.

Studio sulla Long Term Care di Cergas Sda Bocconi

In merito alla Long Term Care è interessante l’analisi dello studio promosso da Cergas Sda Bocconi, che sottolinea come le prestazioni pubbliche raggiungano solamente il 31,8% della popolazione non autosufficiente bisognosa di prestazioni specifiche.

L’Italia invecchia e ci sono sempre più over 65 non autosufficienti (per la precisione 2.847.814 di persone, uniformemente distribuite su tutte le Regioni), ma le risorse investite restano le stesse. È questo in sintesi il messaggio lanciato dal primo rapporto sull’innovazione e il cambiamento nel settore Long Term Care (LTC), realizzato dal Cergas (Centro di Ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale) Sda Bocconi, che rimarca il ruolo di un “esercito silenzioso” di ben 8 milioni di caregiver familiari, i quali ogni giorno assistono i propri cari non più autonomi affiancandosi a 983mila badanti (di cui il 60% sono irregolari).

I servizi di welfare pubblico più tradizionali (strutture residenziali, centri diurni e assistenza domiciliare) raggiungono solamente il 31,8% della popolazione bisognosa di LTC: basti pensare che i posti letto in strutture residenziali per anziani sono 270.020 (fonte del Ministero della Salute), ovvero circa un posto ogni 100 anziani non autosufficienti. Nel tempo, peraltro, i bisogni espressi dalle famiglie sono tuttavia diventati sempre più complessi, crescendo rapidamente e non trovando una facile e chiara collocazione nelle politiche pubbliche. Quest’ultime nel 2016 hanno speso per la Long Term Care l’1,8% del Pil, di cui circa due terzi della somma complessiva destinati a soggetti con più di 65 anni.

Si viene così a creare un sistema per la non autosufficienza a più velocità: da un lato le famiglie che sono riuscite ad accedere ai servizi finanziati dal sistema pubblico più protette e tutelate, dall’altra quelle che auto-organizzano l’assistenza con modelli emergenti e, ipotesi peggiore, quelle che rimangono sole, non riuscendo a organizzare in nessun modo il lavoro di cura. Il rischio è che si formi una forbice sempre più ampia tra i tre gruppi, con l’attenzione del policy maker pubblico rivolta ai primi (che corrispondono al 30% della popolazione) e gli altri completamente al di fuori di ogni rete di supporto.

Un aiuto, secondo lo studio di Cergas, potrebbe arrivare dall’innovazione tecnologica. In base a un sondaggio a cui hanno risposto 142 strutture per anziani, il 47% ha introdotto nell’ultimo periodo specifiche tecnologie come app, dispositivi di smart home, sensori di varia natura, dispositivi indossabili, con la finalità di rendere più efficiente ed efficace il caregiving e di migliorare la qualità dell’assistenza per l’anziano e la sua famiglia. Tuttavia, solo il 12% di queste è arrivato a un utilizzo maturo, mentre le altre sono ancora in fase di sperimentazione. Queste soluzioni sono riconosciute ad alto valore aggiunto, ma presentano ancora un potenziale inespresso che potrebbe rivoluzionare i modelli d’intervento nel settore con esiti difficilmente prevedibili sotto il profilo economico, della qualità e dell’equità.

L’innovazione potrebbe portare un aiuto: in base a un recente sondaggio il 47% delle strutture per anziani ha introdotto tecnologie, di cui tuttavia solo il 12% è arrivato a un utilizzo maturo.

C’è anche un “esercito silenzioso” di ben 8 milioni di caregiver familiari, che ogni giorno assiste i propri cari non più autonomi affiancandosi a 983mila badanti (di cui il 60% è irregolare).

Piano Sanitario Familiari per tutti i figli: grande novità nel 2019

In via straordinaria il Fondo rende disponibile l’iscrizione a tutti i figli degli iscritti oltre i 26 anni. Per tutto il mese di gennaio 2019 sarà ancora possibile aderire a questa importante opportunità!

Assidai è un Fondo inclusivo. Uno dei valori che contraddistingue l’assistenza sanitaria che offre, infatti, consiste nel prendersi cura non solo del singolo capo-nucleo iscritto, ma anche di tutta la sua famiglia. Alla base di ciò c’è una convinzione, anche essa tra i principi base di Assidai: garantire il benessere dei propri cari è fondamentale per vivere con maggiore serenità il proprio quotidiano.

Per questo motivo, Assidai ha deciso in via del tutto straordinaria per il 2019 e in deroga al Regolamento del Fondo, l’iscrizione al Piano Sanitario Familiari a tutti i figli degli iscritti che hanno superato il 26esimo anno di età ed eventualmente anche al loro nucleo familiare. L’iscrizione al Piano Sanitario Familiari – va sottolineato – offre svariati e significativi vantaggi.

Piano Sanitario Familiari, ecco i dettagli

Qualche esempio? L’iscrizione è valida fino al 55esimo anno di età, c’è l’impossibilità di recesso unilaterale da parte del Fondo e le coperture sono garantite in tutto il mondo. Inoltre, al momento dell’iscrizione non è previsto alcun questionario anamnestico (un documento in cui viene richiesta una serie di informazioni relative allo stato di salute e alle precedenti malattie o infortuni). In aggiunta, il Piano Sanitario Familiari include importanti prestazioni in caso di malattia o infortunio che durante il periodo dell’iscrizione provochino uno stato di non autosufficienza (la cosiddetta Long Term Care).

Va ricordato, infine, che per questa specifica opportunità “Piano Sanitario Familiari 2019” sono escluse dal rimborso le spese relative a malattie e/o infortuni intervenute prima dell’iscrizione e sostenute nei 730 giorni successivi all’iscrizione.

La sanità italiana è più forte dei tagli

La Corte dei Conti difende il Servizio Sanitario Nazionale che “ha preservato la qualità dei servizi ai cittadini” nonostante la razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Servizio Sanitario Nazionale ha saputo proporre “scelte e metodologie organizzative profondamente innovatrici, in grado di preservare i livelli qualitativi dei servizi resi ai cittadini”. A maggior ragione visti i numerosi interventi in tema di razionalizzazione della spesa che si sono abbattuti sul comparto sanitario con tagli “spesso troppo lineari”. È una sentenza chiara quella emessa di recente dalla Corte dei Conti, per bocca del procuratore generale Alberto Avoli, che si è espresso nel tradizionale appuntamento della presentazione del “Giudizio di parificazione sul rendiconto generale dello Stato per l’esercizio finanziario 2017”. In altre parole, la sanità italiana conferma la propria solidità strutturale: a fronte delle persistenti difficoltà a far quadrare i conti pubblici, che inevitabilmente si riflettono anche sulle risorse a disposizione, continua infatti a garantire ai cittadini un servizio universalistico, gratuito (ticket permettendo) e di qualità. Caratteristiche che fanno del Servizio Sanitario un caso quasi unico al mondo, ma pongono inevitabilmente anche un tema di sostenibilità futura, che – a fronte anche dell’invecchiamento della popolazione – non potrà prescindere dallo sviluppo di una “stampella” privata (non alternativa, ma complementare al pubblico) con fondi integrativi come Assidai pronti a fare la propria parte.

Spesa in leggero aumento, calano deficit e debito

Secondo i numeri della magistratura contabile, nel 2017 la spesa sanitaria pubblica è stata pari a 117,47 miliardi (+1,34% rispetto al 2016), finanziata quasi interamente dal gettito tributario con una incidenza del 6,85% sul PIL, a fronte di una spesa pro capite salita a 1.939 euro dai 1.912 del 2016. In realtà, già a marzo la Corte dei Conti si era espressa sulla sanità italiana, sottolineando che, se confrontata con quelle dei maggiori Paesi europei, resta tra le (relativamente) meno costose, pur garantendo, nel complesso, l’erogazione di “buoni servizi”, anche se va tenuta alta la guardia sulla cosiddetta spesa out of pocket. Tra gli altri elementi positivi, inoltre, era stato sottolineato il calo del deficit (ridotto a 1 miliardo dai 6 miliardi di 10 anni prima e con buone prospettive di rientro) e l’abbattimento del debito verso i fornitori (-40% tra il 2012 e il 2016).

I trend negativi: investimenti e mobilità territoriale

La Corte dei Conti, tuttavia, ha evidenziato anche altri trend meno positivi che riguardano il Servizio Sanitario Nazionale. Tra questi, dando uno sguardo più approfondito alle varie componenti della spesa, spicca la contrazione della spesa per investimenti infrastrutturali e tecnologici, il che “determina e aggrava il significativo tasso di obsolescenza delle tecnologie a disposizione delle strutture”, sottolinea la magistratura contabile. Con un dato preoccupante: circa un terzo delle apparecchiature è operativo da più di 10 anni ed ha bisogno di frequenti manutenzioni che le rendono indisponibili per lungo tempo. Infine c’è il tema delle disparità territoriali, con differenze nella qualità e nella disponibilità dei servizi fra le varie Regioni: una situazione di diseguaglianza la cui prova lampante è la crescente incidenza della mobilità sanitaria, cioè il fatto che sempre più persone si spostino dalla sede di residenza per curarsi.

“Tra i trend meno positivi la contrazione della spesa per investimenti infrastrutturali e tecnologici e le disparità regionali che alimentano la crescente dinamica della mobilità territoriale”

“Nel 2017 la spesa sanitaria pubblica è stata pari a 117,47 miliardi (+1,34% sul 2016), finanziata quasi interamente dal gettito tributario, a fronte di una spesa pro capite salita a 1.939 euro rispetto ai 1.912 del 2016″

Come sostenere la natalità

Il punto di vista di Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

Il tasso di natalità italiano, pari a 1,34 figli per donna, è tra i più bassi in Europa. Dobbiamo preoccuparcene perché se cambia l’organizzazione sociale, anche il welfare e le ricette economiche di sostenibilità devono modificarsi. Federmanager è in prima linea per trovare soluzioni concrete. I nostri Fondi sanitari tutelano la famiglia, prevedendo la possibilità di dare copertura sanitaria al nucleo familiare. Ma occorre sostenere un cambiamento culturale in azienda, dove il tema della maternità deve diventare un tema di sviluppo.

Le soft skills femminili rappresentano un valore capace di risultati tangibili. Tuttavia, tra il 2011 al 2016 115mila neo-mamme hanno abbandonato il posto di lavoro. Questo dato esplicita quanto ancora sia difficile per una donna realizzare ambizioni professionali e, al tempo stesso, creare una famiglia.
Anche per questo stiamo organizzando, in partnership con la Santa Sede, un convegno internazionale che si terrà il 4 maggio 2018 sul tema “L’altra dimensione del management. Il valore aggiunto delle donne tra impresa, famiglia e società”. Un’iniziativa per sensibilizzare aziende e istituzioni ad adottare politiche di welfare e strumenti come lo smart working, funzionali non solo a un maggiore profitto ma anche a un miglior equilibrio sociale. Il beneficio che ne trarremo sarà una conquista di tutti, non solo delle donne.

La Breast Unit di Humanitas: un punto di riferimento per la diagnosi e la cura del tumore del seno

Centralità della paziente e approccio multidisciplinare: una struttura di eccellenza per la senologia certificata da Eusoma e Onda

Percorsi di diagnosi, terapia e follow-up organizzati secondo un approccio multidisciplinare: dallo psiconcologo al chirurgo plastico, dal chirurgo senologo al genetista, tutte figure fondamentali nel cammino oncologico della donna con tumore. Non ultimo il data management e la ricerca traslazionale. Il tutto finalizzato a garantire cure sempre migliori. È questo l’identikit della Breast Unit di Humanitas che dal 2010 riceve la certificazione di qualità europea Eusoma (European Society of Breast Cancer Specialist) e dal 2008 ottiene tre bollini rosa, il massimo riconoscimento fornito da ONDA, Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna, a conferma della qualità dei servizi offerti alle proprie pazienti per la prevenzione, la diagnosi e la cura delle patologie femminili.

“Il punto di forza delle Breast Unit è la qualità dell’assistenza che viene offerta alle pazienti, dalla diagnosi al follow up, forti di competenze consolidate nella gestione dei casi di tumore alla mammella” – spiega il dottor Corrado Tinterri, responsabile della Breast Unit di Humanitas –. “Farsi curare in centri di eccellenza, riduce la mortalità di circa il 20% Inoltre, come indicato da uno studio condotto su 25.000 pazienti, la sopravvivenza a 5 anni è maggiore del 9% negli ospedali che trattano più di 150 casi all’anno rispetto a chi se ne occupa di meno di 50”.

Informazione, comunicazione e consapevolezza sono le parole chiave della Breast Unit di Humanitas affinché la paziente si senta non solo supportata in ogni passaggio necessario per affrontare la malattia, ma che sappia anche cosa le sta succedendo, qual è la propria situazione e quali sono le opzioni di cura disponibili. E questo è reso possibile grazie anche all’introduzione della breast nurse che accompagna la paziente passo dopo passo. Che Humanitas sia un ospedale a misura di donna lo dimostrano anche le altre strutture del gruppo presenti sul territorio, altrettanto premiate con i bollini rosa di Onda. Fra queste Humanitas San Pio X a Milano, Humanitas Gavazzeni a Bergamo e il Centro Catanese di Oncologia a Catania.

Humanitas, inoltre, rende i suoi servizi sempre più accessibili con Humanitas Medical Care, andando incontro ai pazienti sul territorio fornendo prelievi, visite ed esami nei Poliambulatori e Centri Prelievo presso il Centro di Arese, il Fiordaliso a Rozzano e a Milano in via Domodossola, Ponti e Lippi. “Con l’apertura dei Medical Care sul territorio Humanitas si avvicina ai pazienti – dice Alex Carini, Direttore Private Healthcare di Humanitas – con l’obiettivo di fare prevenzione e diventare un partner per la salute dei cittadini che non si occupi solo della cura ma della salute a 360 gradi”.

A.L.I.Ce., solidarietà contro l’ictus

Una Onlus formata da medici, persone colpite dalla malattia e loro familiari e basata sul volontariato

È l’unica associazione, in Italia, a essere formata da persone colpite da ictus e dai loro familiari, neurologi e medici esperti nella diagnosi e nel trattamento dell’ictus, medici di famiglia, fisiatri e personale socio-sanitario addetto all’assistenza e alla riabilitazione. A.L.I.Ce. è l’acronimo di Associazione per la Lotta all’ictus cerebrale, ed è una Federazione di Associazioni Regionali: una Onlus basata sul volontariato e sui finanziamenti che derivano prevalentemente dalle donazioni e dai contributi di soci ed enti pubblici.

A.L.I.Ce. ha un obiettivo semplice: migliorare la qualità della vita delle persone colpite da ictus, di quelle a rischio e dei loro familiari. Per raggiungere questo traguardo, l’associazione si muove in diverse direzioni: ad esempio diffondendo informazioni sulla curabilità della malattia e sul riconoscimento dei sintomi (utile, al proposito, consultare il sito ufficiale).

Prevenzione e tempi di attesa, ecco le prossime sfide del SSN

Questi i punti rivelati da un sondaggio condotto nelle scorse settimane dall’Istituto Piepoli

Quali sono le priorità su cui si dovrebbero concentrare, nei prossimi anni, gli sforzi del Servizio Sanitario Nazionale? Questa domanda, nelle scorse settimane, è stata rivolta a un campione di 1088 persone, rappresentativo per genere, classe di età e ripartizione geografica nell’ambito di un ampio sondaggio condotto dall’Istituto Piepoli. I risultati, illustrati nel corso di “Inventing for Life – Health Summit” (convention organizzata da Msd Italia) sono chiari: prima per distacco tra le priorità per il SSN c’è la riduzione dei tempi di attesa per esami e interventi (col 78% di risposte), seguita dal sostegno alle fasce più deboli della popolazione (40%), dal rafforzamento delle politiche di prevenzione delle malattie (37%) e dall’aumento dell’assistenza domiciliare (32%). I cittadini mettono invece in secondo piano il valore della ricerca e dell’innovazione nella salute, visto che questa voce raccoglie soltanto il 29% delle preferenze mentre la riduzione degli sprechi si ferma al 22%. Ancora più in basso, tra gli altri, all’8% figurano invece una maggiore uniformità della qualità dei servizi sanitari tra Regioni e la garanzia di accesso ai farmaci innovativi in tempi rapidi.

Diverso il discorso, invece, per le priorità di salute pubblica, cioè gli ambiti in cui si dovrebbe investire di più. In questo caso il 72% degli intervistati indica i tumori, il 18% le malattie cardiovascolari e il 14% quelle neurologiche mentre il diabete e le malattie genetiche si fermano rispettivamente al 13% e al 12%. Decisamente meno importanti vengono considerate le malattie infettive, la prevenzione vaccinale e le malattie del sistema nervoso (tutte con il 2%). Sempre in termini di singole patologie laddove gli intervistati sbagliano il tiro è invece quando indicano su quali siano le malattie più costose per il Servizio Sanitario Nazionale, trascurando le cronicità che creano lunghe e sfiancanti situazioni di non autosufficienza: il 66% punta, infatti, il dito verso il cancro contro il 18% del diabete e il 19% delle patologie cardiovascolari.

Ma qual è la percezione del Servizio Sanitario Nazionale da parte del cittadino? In questo caso i risultati sono positivi se si pensa che, secondo il sondaggio, il 65% si dichiara molto o abbastanza soddisfatto mentre il 70% consiglierebbe l’offerta di servizi dello stesso SSN e il 69% si è sentito al centro dell’attenzione quando si è rivolto alla sanità pubblica. Anche per questo il 90% degli intervistati ritiene utile allocare più risorse al Servizio Sanitario Nazionale.

C’è, infine, un’ulteriore “gamba” del sondaggio dedicata alla sanità digitale, con particolare riferimento ai cosiddetti “Big Data” e ai possibili benefici che potrebbero portare nella cura di alcune malattie. Su questo fronte, tuttavia, gli italiani dimostrano ancora di essere un pochino “indietro” o quantomeno non propriamente entusiasti di cogliere questa possibile “opportunità”. Solo il 45%, per esempio, sarebbe favorevole all’uso dei propri dati sanitari privati per finalità di miglioramento del SSN: si sale al 48% se la prospettiva è quella di un miglior controllo della salute personale e la creazione di nuovi servizi di sanità personalizzata mentre – ed è questo forse il dato più sorprendente – si arriva soltanto al 55% quando l’obiettivo diventa la scoperta di nuove cure contro il cancro.

E la telemedicina? Per la medicina a distanza con l’ausilio delle nuove tecnologie c’è una sostanziale promozione. Per l’89% degli intervistati, infatti, essa potrebbe essere d’aiuto, ai pazienti e alle famiglie, nella gestione delle malattie croniche.

Con l’ecocolordoppler si gioca d’anticipo

Intervista al Professor Roberto Leo, che in merito all’ecocolordoppler dichiara: “È un test che permette di effettuare una diagnosi precoce di stenosi carotidee asintomatiche e di ridurre così il rischio di ictus”

“In Italia l’ictus ischemico è, per dimensioni epidemiologiche e rilievo sociale, uno dei più gravi problemi sanitari e assistenziali. Rappresenta la prima causa d’invalidità permanente, la seconda causa di demenza, nonché la terza causa di morte”. A parlare è Roberto Leo, Professore aggregato del Dipartimento di Medicina Interna dell’Università di Roma Tor Vergata, il quale precisa che “delle persone colpite da ictus, il 20-30% muore entro tre mesi, il 40-50% perde in modo definitivo la propria autonomia, e il 10% presenta una recidiva severa entro 12 mesi, con costi sociali difficilmente sostenibili”.

Come valuta lo stato dell’arte della prevenzione dell’ictus in Italia?

Dato l’elevatissimo impatto sociale ed economico dell’ictus, è indispensabile potenziare l’impegno per un’efficace prevenzione e per rendere disponibili, a tutta la popolazione, i trattamenti che si sono dimostrati più vantaggiosi. Le strategie sono più efficaci se vengono attuate quando l’ictus non si è ancora manifestato, ossia in soggetti asintomatici. La prevenzione si basa sulla correzione dei principali fattori di rischio cardiovascolare, in particolare: astenersi dal fumo, praticare attività sportiva, seguire un regime alimentare corretto e bilanciato, controllare il peso corporeo, la glicemia e la pressione arteriosa. Anche la correzione di eventuali aritmie cardiache, come la fibrillazione atriale, può giocare un ruolo cruciale.

Come funziona l’ecocolordoppler dei tronchi sovraortici previsto dall’iniziativa promossa da Assidai e Federmanager?

L’ecocolordoppler dei tronchi sovraortici (TSA) è un tipo di ecografia vascolare che permette lo studio morfologico e funzionale dei vasi del collo, valutandone sia il diametro e lo spessore di parete, sia la velocità e la direzione del flusso ematico all’interno. La malattia aterosclerotica è la patologia più studiata nel distretto dei tronchi sovraortici. La placca carotidea è la lesione aterosclerotica più frequente. Può essere valutata dal punto di vista morfologico, dell’estensione in lunghezza, dell’eccentricità, e delle caratteristiche della superficie e delle eventuali complicanze associate (ulcerazione, emorragia intraplacca e trombosi).

La malattia aterosclerotica può determinare piccoli ispessimenti di parete o veri e propri restringimenti del lume di un vaso (stenosi), che possono essere espressi come percentuale di riduzione del diametro o dell’area del vaso. Una stenosi è significativa se determina riduzione del calibro del vaso superiore al 65-70%. Una volta completata la valutazione morfologica si procede a quella del flusso ematico (valutazione funzionale) con il colordoppler e il doppler pulsato (PW doppler).

L’associazione tra i dati anatomici e quelli flussimetrici permette la stima esatta dell’entità della stenosi e indirizza verso una corretta terapia. L’ecocolordoppler TSA, inoltre, è necessario per seguire nel tempo l’andamento di una stenosi e valutare l’esito di un intervento chirurgico o endovascolare di correzione della stessa.

Come giudica l’iniziativa di Assidai-Federmanager sulla prevenzione dell’ictus?

L’iniziativa è meritoria, dato che la medicina moderna è assolutamente “anticipatoria” e pertanto la diagnosi precoce di stenosi carotidee asintomatiche, può portare a una riduzione non solo dell’ictus, ma anche dei costi sociali legati alle sue conseguenze cliniche invalidanti.

 

ISSalute, un sito sulla salute per tutti i cittadini

Intervista al Prof. Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, che spiega il lancio di ISSalute, un portale divulgativo per tutti gli italiani e contro bufale e fake news.

La gente tende a cercare le diagnosi su internet? “È un’abitudine, certamente non salutare, che però va accettata: piuttosto sono le istituzioni che devono imparare a governare questo trend”. Le fake news nella sanità? “Qualcosa di pericolosissimo, che può costare la vita alle persone”. La consapevolezza degli italiani sui temi della sanità? “Purtroppo siamo tra i popoli più creduloni e meno preparati”. A parlare è il Professor Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che a fine febbraio ha lanciato Issalute, il primo portale istituzionale dedicato al cittadino (4mila contatti giornalieri nel primo mese di attività): una vera e propria enciclopedia della salute digitale e interattiva con oltre 1.700 schede su cause, disturbi, cure, prevenzione delle malattie e 150 fake news descritte e “smascherate”. L’obiettivo? “Spiegare ai cittadini il valore della ricerca e della conoscenza prodotta dall’ISS e dall’intera comunità scientifica e renderla fruibile al maggior numero di persone senza discriminazione di reddito o livello di istruzione, offrendo un punto di riferimento rigoroso e autorevole”, spiega Ricciardi.

Come è nata l’idea di creare e sviluppare il nuovo portale issalute.it?

Ho lavorato e studiato per anni in Gran Bretagna e ho visto il mio amico e maestro Sir Muir Gray creare, assieme al giornalista del Sunday Times Tim Kelsey, un grande portale al servizio dei cittadini. Un sito che traduceva il linguaggio complesso della scienza, garantendo alle persone informazioni utili e importanti. L’iniziativa mi colpì molto e cercai di replicarla quando il ministro della salute era Ferruccio Fazio ma purtroppo non riuscimmo ad avviare il progetto. Poi, quando sono diventato presidente dell’ISS, ho pensato che potevamo farlo noi e, nella realizzazione, ci ha aiutato l’università di Oxford.

Perché avete scelto di creare una sezione dedicata a “falsi miti e bufale”?

Nasce dal lavoro che abbiamo svolto in questi anni con il ministro della salute Beatrice Lorenzin. I falsi miti sulla salute sono molto importanti da sfatare: per questo abbiamo deciso di dedicare a questo tema una sezione a sé. Poi ci sono le bufale, anch’esse da smascherare: ne stiamo sfornando una al giorno, siamo partiti da 100 e siamo arrivati già a 150.

Molte persone, anziché rivolgersi a un medico, cercano la scorciatoia delle diagnosi su internet. Cosa ne pensa?

È un fatto della vita che va accettato. Tutti ormai si informano in primis in tv o su internet. Piuttosto sono le istituzioni che devono governare questo trend; Issalute è il primo portale che cerca di affrontare questo argomento con i modi e i tempi dei social media.

Questa tendenza può rappresentare un rischio per il Sistema Sanitario Nazionale?

Sì, ma non è certo il primo elemento di rischio. Il pericolo vero è quello sanitario, cioè che si facciano scelte scellerate in campo medico per la vita propria o dei propri cari. Ne sono prova esempi di fatti reali accaduti a livello nazionale e mondiale.

Un altro tema cruciale è quello delle fake news in campo sanitario. Quali sono i rischi?

Possono avere conseguenze devastanti, portando a scelte che si pagano con la vita. Ci sono persone che pensano di ricorrere a cure valide che invece non hanno alcuna efficacia.

Come giudica la consapevolezza e l’informazione degli italiani sui temi della sanità?

Purtroppo siamo tra gli ultimi in Europa e nei dati Ocse. Non è una mia percezione, lo dicono i dati oggettivi dell’Eurobarometro. Siamo tra i popoli più creduloni e meno preparati sulla salute: è un vero problema, tocca a noi aiutare le persone che non hanno questa consapevolezza ed è proprio questo l’obiettivo del portale Issalute.


Walter Ricciardi, 59 anni, è un grande esperto in temi di salute e sanità. Ricopre la carica di presidente dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS). E’ anche Professore Ordinario di Igiene presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma dal 2001.

La prevenzione fa bene anche alle imprese

Intervista al Presidente Federmanager, Stefano Cuzzilla

“La prevenzione, prima di rappresentare uno strumento di analisi medica, consiste in un approccio culturale che riguarda gli stili di vita che assumiamo”. È quanto dichiara Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager, che sottolinea come – proprio per questo – la prevenzione stessa faccia bene anche alle imprese.

La spesa sanitaria privata in Italia sfiora i 40 miliardi di euro, di cui solo il 7,4% è intermediato da Fondi sanitari integrativi. Perché sarebbe utile aumentare questa quota e come interviene Federmanager per farlo?

La crescita dell’indice di spesa privata giustifica la necessità dell’intermediazione dei Fondi sanitari integrativi. Questa fotografia del Paese non ci fa dormire sonni tranquilli. I cittadini pagano di tasca propria le cure di cui hanno bisogno, nel momento in cui ne hanno più bisogno; se non ci riescono, rimandano cure essenziali. Questo avviene principalmente perché il Sistema Sanitario Nazionale (SSN), nonostante sia tra i migliori al mondo per qualità e universalità delle prestazioni, è reso inefficiente dalla lunghezza delle liste d’attesa.

I nostri Fondi rimettono i soldi nel portafoglio degli italiani, diminuendo la quota di spesa cosiddetta out of pocket. Non solo, essi creano un circuito virtuoso che premia la sanità migliore e più tempestiva attraverso una leale concorrenza nella sanità privata. Questo consente alla sanità pubblica di concentrare l’intervento sulle aree di prestazione essenziale in una logica di complementarietà che arricchisce il sistema.

Qual è il ruolo dei fondi sanitari integrativi in tema di prevenzione?

L’ambito della prevenzione rappresenta uno dei modi più innovativi con cui il Secondo pilastro può intervenire a supporto del SSN. L’Italia investe ancora troppo poco in prevenzione, nonostante sia pacifico il collegamento tra attività preventiva e l’efficacia della risposta clinica. Pertanto, la sanità integrativa può e deve fare molto per diffondere la pratica della prevenzione sanitaria. E sicuramente questo è un tema che deve entrare nei programmi di welfare aziendale, aumentando il numero di lavoratori che si sottopone a screening e diagnosi precoci.

Anche se per le aziende questo implica un costo ulteriore?

La prevenzione, prima ancora di rappresentare uno strumento di analisi medica, consiste in un approccio culturale che riguarda gli stili di vita che assumiamo. Negli ultimi anni, i cittadini sono più informati ed esigenti e si sta diffondendo una concezione della salute come benessere complessivo. Di conseguenza, la cura di eventuali malattie è avvertita come un costo sociale ed economico molto più significativo del prezzo sostenuto per un esame diagnostico. Anzi, gli esami di profilassi sono un investimento che le aziende fanno sempre più volentieri. Un lavoratore in salute restituisce produttività all’impresa. È chiaro che se i Fondi sanitari integrativi investissero massicciamente su questo terreno, avremmo più chance di condividere una cultura della prevenzione dentro e fuori l’azienda. Per questo vogliamo incoraggiare, sostenendone i costi, iniziative come questa lanciata da Assidai che rappresentano una buona integrazione tra sanità pubblica e privata.

Il programma di prevenzione Assidai si svolge presso le strutture convenzionate. Qual è il valore di questo network?

Uno dei punti di forza di Federmanager sta nelle strutture sanitarie d’eccellenza che offrono servizi veloci e di qualità. Rivolgersi a Fasi e Assidai significa accedere ai migliori privati convenzionati, su cui abbiamo messo un bollino di qualità. Ci impegniamo ad aumentare il numero delle convenzioni dirette con i nostri enti per essere sempre più vicini alla domanda di cura del singolo e della collettività. Altra prerogativa del nostro sistema di convenzionamento è quella di offrire una soluzione concreta all’evasione fiscale: attraverso l’intermediazione dei nostri Fondi, infatti, il rimborso della spesa sanitaria avviene previa fattura. Le convenzioni che abbiamo attivato nel tempo si sono dimostrate una soluzione innovativa anche per introdurre i programmi di profilassi. Il nostro impegno è di favorire gli investimenti in prevenzione, incrementare l’adesione ai fondi sanitari integrativi e disegnare un nuovo orizzonte del welfare.