“Costruire una sanità più equa dopo il Covid”

È il messaggio lanciato dall’OMS nella Giornata mondiale della Salute, festeggiata in tutto il mondo

Investire sulla sanità di base, dare priorità alla salute e alla protezione sociale, garantire l’accesso equo ai vaccini anti Covid a livello nazionale e internazionale, agire sulle città migliorando i sistemi di trasporto e le strutture idriche e igieniche, agire in modo più incisivo sui dati, che devono essere tempestivi e di qualità per individuare e ridurre le disuguaglianze. Sono queste le cinque direttive chiave annunciate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in occasione della Giornata Mondiale della Salute che si è celebrata, come ogni anno, lo scorso 7 aprile. Dal 1950, infatti, il “World Health Day” si festeggia in questa data per ricordare la fondazione della stessa OMS, avvenuta appunto il 7 aprile 1948.

Il ragionamento dell’OMS è molto semplice. Il pianeta ha un’occasione unica: ricostruire dopo il Covid una sanità più equa che diminuisca, anziché aumentare, le diseguaglianze. Del resto, proprio quest’anno non si poteva non incentrare la ricorrenza del “World Health Day” sulle conseguenze della pandemia che sta colpendo il pianeta. A tale proposito, l’Agenzia delle Nazioni Unite specializzata per le questioni sanitarie ha infatti evidenziato come i contagi e i decessi per Covid sono stati più frequenti tra i gruppi caratterizzati da discriminazioni, esclusione sociale, povertà e condizioni di vita e di lavoro quotidiane avverse.

Non solo: secondo l’OMS l’anno scorso solo la pandemia ha portato in condizioni di povertà estrema tra i 119 e i 124 milioni di persone in più, ampliando ulteriormente il “gender gap” nell’occupazione, con un aumento delle donne senza lavoro. “La pandemia ha prosperato tra le disuguaglianze e le lacune dei sistemi sanitari, per questo è cruciale che tutti i governi puntino sul rafforzamento della sanità”, ha sottolineato il direttore generale dell’OMS, Tedros Ghebreyesus, evidenziando la necessità che i servizi sanitari stessi acquisiscano sempre più caratteristiche di equità e universalità.

Valori condivisi anche dall’Italia, la cui sanità pubblica è nota in tutto il mondo proprio per l’equità e l’universalità ma – al tempo stesso – nel futuro prossimo sarà chiamata ad affrontare sfide rilevanti come l’invecchiamento della popolazione e la dinamica di restrizione della spesa pubblica. “È fondamentale investire nel capitale umano costituito dalle giovani generazioni che, con il loro spirito innovativo e la loro apertura al confronto, rappresentano la nostra speranza nella lotta contro le più gravi patologie che affliggono il nostro tempo”, ha dichiarato a tale proposito il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

giornata mondiale salute 2021

“Un nuovo pilastro della lotta contro il cancro”

Il Professor Luigi Naldini: “le terapie geniche agiscono in modo radicale e risolutivo”

La terapia genica? “Rappresenta una svolta epocale per la medicina perché va alla radice genetica di alcune malattie rare e agisce in modo risolutivo”. In futuro potrebbe essere utilizzata con efficacia anche contro le cronicità, cancro in primis? “Riuscire ad allargare i bersagli di questa terapia nei prossimi cinque anni è una prospettiva realistica”. Il potenziale impatto sul Servizio Sanitario Nazionale? “Oggi parliamo di cure molto costose ma in futuro, una volta messe a punto cellule donatrici universali e realizzate economie di scala, si potrebbe consentire un risparmio dei costi legati al trattamento di patologie diffuse come i tumori”.

A parlare è il Professor Luigi Naldini, Direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica e Professore all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Nel corso degli ultimi 25 anni Luigi Naldini è stato pioniere nello sviluppo e nell’applicazione di vettori lentivirali per terapia genica, che sono diventati uno degli strumenti più utilizzati nella ricerca biomedica e recentemente stanno offrendo una prospettiva di cura per diverse malattie genetiche e tumorali finora incurabili. Proprio per il suo straordinario lavoro in questo campo, nel 2019 si è aggiudicato il premio Louis-Jeantet, promosso dall’omonima Fondazione svizzera: un riconoscimento di altissimo livello e che rappresenta spesso l’anticamera del Nobel.

Professor Naldini, come agisce, in parole povere, la terapia genica e perché può rappresentare una rivoluzione per la medicina?

È un trattamento che va alla radice genetica della malattia in modo radicale e risolutivo, dove i farmaci sono geni e cellule. In sostanza si introducono nelle cellule di un organismo nuove informazioni genetiche che vanno a compensare un difetto genetico o a potenziare la risposta contro un tumore o un agente infettivo.

Quali sono i principali progressi svolti dalla terapia genica negli ultimi anni e quali potrebbero essere quelli del futuro prossimo?

La parte più importante dei progressi realizzati negli ultimi 10 anni è relativa alle applicazioni con virus modificati, che non sono capaci di replicarsi, ma conservano la capacità di entrare nelle cellule e fungere da vettori di geni terapeutici. Oggi abbiamo due principali tipi di vettori virali che permettono di ottenere questi risultati. I primi sono i vettori lentivirali (derivati dall’Hiv) che si inseriscono nel DNA della cellula così che le nuove informazioni genetiche diventino parte integrante del suo patrimonio genetico. In questo caso si lavora ex vivo con le cellule del paziente, che vengono prelevate e poi reinfuse una volta trattate. Questa terapia consente di curare, per esempio, alcune malattie rare del sangue come la talassemia o l’anemia falciforme. Già tre di queste terapie sono farmaci registrati sul mercato in Europa e sono disponibili ai pazienti; molte altre sono in corso di sperimentazione.

Qual è l’altro tipo di vettori virali utilizzati?

Sono gli adenoassociati, vettori che a differenza dei lentivirus non si integrano nel DNA ma rimangono nel nucleo delle cellule. Si possono usare sulle cellule che non replicano e grazie ad esse si possono trattare con successo malattie ereditarie della retina o l’emofilia di tipo B e recentemente di tipo A. Infine ci sono gli ultimi arrivati, i linfociti T con recettori antitumorali (CAR-T): sono vere e proprie cellule killer che vanno a trattare alcune neoplasie, al momento ancora poche come alcune leucemie e linfomi, e quando funzionano possono eliminare completamente il tumore.

Nei prossimi anni è plausibile ipotizzare dei risultati rilevanti e concreti delle terapie geniche contro le grandi malattie croniche, a partire dai tumori?

Si cerca di ampliare i bersagli di queste terapie, ovviamente anche ai tumori solidi. Il melanoma metastatico, ad esempio, risponde bene, altri meno perché il tumore solido tende a eludere le cellule killer. C’è molto lavoro da fare ma sono attesi sviluppi nei prossimi anni, a cominciare dal trovare il bersaglio giusto per il recettore anti-tumorale. Ma io ho fiducia: credo che un allargamento dei bersagli sia una prospettiva realistica dei prossimi cinque anni e che la terapia genica sarà un nuovo pilastro della lotta contro i tumori.

Qual è la sostenibilità finanziaria di questo tipo di cure?

Oggi le terapie approvate sono prescrivibili anche dal Servizio Sanitario Nazionale. è chiaro che questo è il tema chiave visto che il costo per paziente è molto rilevante. Un conto è se parliamo infatti del trattamento di malattie rare, un altro se in futuro – parallelamente ai progressi della medicina – la platea si allargherà. è anche vero che queste terapie si somministrano una volta sola nella vita e quindi non si necessita di ulteriori trattamenti, con un risparmio di costi in prospettiva. In ogni caso ritengo che la vera svolta arriverà solo quando si potranno realizzare economie di scala, anche usando cellule provenienti da donatori universali, anziché essere costretti come oggi a lavorare ogni volta su quelle del singolo paziente. Non è una prospettiva irrealizzabile, anzi, già oggi qualcosa riusciamo a fare in questo senso. Certo, in questo modo i costi scenderebbero molto e anche la sanità pubblica potrebbe beneficiarne.

 

“I manager pronti a sostenere il rilancio del Paese”

Stefano Cuzzilla confermato Presidente Federmanager. Ecco le priorità per i prossimi anni

“Esiste un legame tra lavoratori in salute e produttività dell’impresa e la nostra è stata una delle prime organizzazioni a sostenere la validità del welfare integrativo, come forma di supporto al sistema sanitario pubblico”. Ne è convinto Stefano Cuzzilla, che a marzo è stato confermato praticamente all’unanimità presidente di Federmanager per quello che sarà il suo terzo mandato, cioè fino al 2024.

Qual è il significato della sua riconferma alla presidenza di Federmanager? Che responsabilità sente in un momento come questo?

Questa riconferma rappresenta per me un riconoscimento per l’attività svolta e i risultati raggiunti, ma mi chiama altresì a un impegno ancora più ampio per far ascoltare, in tutte le sedi, la voce della categoria che rappresento ed è uno stimolo a fare di più e meglio per il rilancio e la crescita del Paese.

La complessità della situazione attuale, il contesto di crisi e fratture a cui assistiamo nella politica e nella società, sottolineano l’importanza del ruolo dei corpi intermedi, chiamati a una “responsabilità collettiva”. Con questo approccio nella mia agenda sono già fissati alcuni obiettivi: l’interlocuzione costante con tutti i nostri stakeholder, la promozione delle competenze manageriali per guidare la ripresa produttiva, il consolidamento di Federmanager come organizzazione in grado di svolgere un ruolo di rilievo anche nella gestione delle risorse in arrivo dall’Ue.

Alla luce del momento particolarmente critico del Paese, qual è secondo lei il valore della rappresentanza industriale e come può contribuire al rilancio dell’Italia?

L’effetto Covid ha sconvolto gli schemi precostituiti e non si potrà tornare indietro. Le difficoltà che stiamo attraversando, dentro e fuori l’impresa, richiamano la necessità di dotarci di competenze manageriali consolidate per superare le criticità. È necessario poi che le organizzazioni di rappresentanza operino anche per adeguare la contrattazione alle mutate condizioni del lavoro. Prendiamo l’esempio dello smart working, che nel 2020 ha vissuto una sperimentazione forzata e ora attende il consolidamento. La spinta a un aggiornamento della legislazione del lavoro da parte delle istituzioni deve arrivare da chi sa farsi mediatore di esigenze economiche e sociali basate su equilibri diversi da quelli fino a ieri conosciuti.

Quali devono essere secondo lei le priorità del Piano nazionale di ripresa e resilienza, sia sotto il profilo industriale sia sotto quello sanitario?

L’Italia è tra i Paesi che maggiormente trarranno benefici dal Next generation Eu, ma tutto dipende da come spenderemo i soldi in arrivo. Almeno quattro sono le priorità a cui puntare: svincolarci dai vincoli della burocrazia, favorire la cultura della diversità, con una maggiore inclusione delle donne nel mercato del lavoro, promuovere la sostenibilità d’impresa, in particolar modo quella ambientale, e favorire la digitalizzazione.

Sfide complesse che potranno essere superate con una governance efficace del Pnrr e il coinvolgimento di tutti gli attori del sistema produttivo, a partire dai manager che hanno capacità di visione, di pianificazione e di attuazione, e sono sicuramente “depositari” delle competenze necessarie per guidare la trasformazione che l’Europa ci chiede a gran voce. Per questo, ho già avviato una serie di incontri con esponenti del Governo e delle forze parlamentari per sottolineare i temi di nostro interesse e per anticipare il nostro supporto nella fase relativa all’attuazione dei programmi.

Quali sono le grandi sfide, emerse anche dall’attuale contesto, della sanità italiana e che ruolo possono e devono giocare fondi sanitari integrativi come Assidai?

Esiste un legame tra lavoratori in salute e produttività dell’impresa e la nostra è stata una delle prime organizzazioni a sostenere la validità del welfare integrativo, come forma di supporto al sistema sanitario pubblico. Abbiamo dato vita a enti e società, tra cui Assidai, che hanno come obiettivo proprio la tutela dei manager iscritti e delle loro famiglie. Oggi siamo ancor più consapevoli di quanto necessario sia un “sistema salute” che risponda al livello di complessità della nostra società sotto tutti i punti di vista: gestionale e organizzativo, fino all’avanzamento scientifico e tecnologico. Più di recente, abbiamo manifestato convintamente l’adesione all’iniziativa di aprire i luoghi di lavoro alla campagna di vaccinazione, che è certamente la prima tra tutte le sfide.

 

La rivoluzione delle terapie geniche, nuova frontiera sanitaria del XXI secolo

Oggi permettono di curare alcune malattie rare, domani potrebbero sconfiggere le cronicità

La nuova frontiera dell’innovazione nella sanità è indubbiamente rappresentata dalle terapie geniche. Oggi è un trend da considerarsi agli albori – anche se alcuni risultati concreti, in termini di cure, sono già stati raggiunti – ma domani potrebbe davvero rappresentare una rivoluzione copernicana per il settore della salute, con ricadute positive in termini di risparmio di costi per i servizi sanitari nazionali.

Innanzitutto inquadriamo il fenomeno. Parliamo di un segmento all’avanguardia della medicina in cui i geni stessi vengono usati come farmaci per trattare una patologia rara. In parole povere si introducono nuove informazioni genetiche nelle cellule di un organismo che vanno a compensare un difetto genetico o a potenziare la risposta contro un tumore o un agente infettivo. Qualche esempio? Si può modificare la sequenza del DNA che genera una malattia per “ripristinare” l’originale e risolvere così il problema definitivamente. Oppure si possono aggiungere a una cellula proteine artificiali, “riarmandole” per riconoscere i tumori, ad oggi soprattutto per quanto riguarda alcuni tipi di linfomi o di leucemie, mentre per altri tipi di cancro la strada da percorrere è ancora lunga. Un quadro molto approfondito in materia ce lo fornisce, sempre in questo numero di Welfare 24, il Professor Luigi Naldini, Direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica nonché vero e proprio luminare del settore.

Se oggi con queste terapie, ancora molto costose, si riescono a curare soltanto alcune malattie rare, l’obiettivo di domani è allargare lo spettro dei possibili bersagli che comprende patologie più complesse, ma comuni, come il cancro, il morbo di Parkinson e l’artrite. In una parola le cronicità, principale causa di decessi nel mondo e anche la maggiore fonte di costi per la sanità pubblica, compresa quella italiana. Arrivare a sconfiggere molte di queste malattie grazie alle terapie geniche – obiettivo che forse verrà raggiunto nel lungo termine – rappresenterà una boccata d’ossigeno anche per servizi sanitari già provati dalle dinamiche demografiche.

 

“Con il mal di testa una vita a metà”

Intervista a Piero Barbanti, Presidente dell’Associazione neurologica italiana per la ricerca sulle cefalee: “La severità del dolore e dei sintomi condiziona le capacità sociali e lavorative”

“I malati di emicrania? “Vivono la vita a metà ed effettuano scelte di ripiego, anche nella vita lavorativa, per la paura di non essere all’altezza a causa della propria patologia”. Il valore della prevenzione per combatterla? “è la vera cura e consiste non nella somministrazione del solito analgesico in occasione dell’attacco ma in un trattamento prolungato per mesi per ridurre il numero mensile di giorni in cui l’emicrania si presenta”. Piero Barbanti è Presidente dell’Associazione neurologica italiana per la ricerca sulle cefalee nonché Professore associato di Neurologia all’Università San Raffaele di Roma e sull’emicrania ha un’opinione molto chiara: “è la prima patologia neurologica e impatta severamente sulla vita di un soggetto”.

L’emicrania è una delle patologie più diffuse in Italia di cui tuttavia, paradossalmente, si parla meno. Perché? Ci può dare qualche numero relativo all’Italia e a livello globale?

L’emicrania è la terza malattia più frequente del genere umano e la prima per disabilità in soggetti di età inferiore ai 50 anni. Questa enorme massa di persone tende a non emergere per vari motivi: da un lato si tratta di un esercito silenzioso, fatto di pazienti che spesso hanno ritrosia a comunicare il proprio problema per timore di essere non compresi o etichettati come soggetti nevrotici; dall’altro, i sintomi dell’emicrania vengono frequentemente equivocati per problemi di artrosi cervicale, sinusite o intolleranze alimentari.

Quali sono i costi “sociali” dell’emicrania e che ricadute ha questa patologia sulla vita degli individui, in particolare in ambito lavorativo?

L’emicrania impatta severamente sulla vita del soggetto per due ordini di motivi. In primo luogo, la severità del dolore e dei sintomi associati (nausea, vomito, fastidio per le luci e per i rumori) condiziona le capacità sociali e lavorative del soggetto. Ma non è tutto. Il paziente emicranico teme i propri attacchi anche quando non ha mal di testa e vive sovente in una condizione di paura dell’emicrania nota come cefalalgofobia che comporta rinunce a opportunità e occasioni nel timore che si possano rivelare situazioni scatenanti. Si tratta in sostanza di un soggetto che vive la vita a metà e che a volte effettua scelte di ripiego nell’ambito scolastico e lavorativo temendo di non essere all’altezza per via della propria patologia.

Che valore ha la prevenzione per il mal di testa e come si può effettuare?

La prevenzione è la vera cura dell’emicrania e consiste non nella somministrazione del solito analgesico in occasione dell’attacco ma in un trattamento prolungato per mesi per ridurre il numero mensile di giorni in cui l’emicrania si presenta. Fino a poco tempo fa la scelta ricadeva solo su farmaci beta-bloccanti, calcio-antagonisti, antidepressivi ed antiepilettici, molecole efficaci ma non specifiche, gravate da diversi effetti collaterali che comportano a volte l’interruzione del trattamento. Da poco sono disponibili gli anticorpi monoclonali antiCGRP, trattamenti selettivi e specifici utilizzati in genere per 12 mesi, caratterizzati da ottima efficacia e eccellente tollerabilità, in grado di incidere molto più incisivamente sulla disabilità del soggetto. Gli anticorpi monoclonali finora in commercio si iniettano per via sottocutanea mensilmente (o ogni 3 mesi, nel caso di un particolare anticorpo). Nel futuro dovrebbe essere commercializzato anche in Europa un anticorpo monoclonale ad uso trimestrale per via endovenosa. Gli anticorpi monoclonali antiCGRP possono essere prescritti solo da specifici centri ai pazienti che abbiano almeno 8 giorni di emicrania disabilitante al mese e non abbiano risposto a trattamenti adeguati con beta-bloccanti, antidepressivi e antiepilettici.

Piano Sanitario Figli, la grande novità del 2021

Assidai viene incontro alle esigenze manifestate dagli iscritti e tutela i figli che, nella fascia 18-26 anni, perdono l’assistenza sanitaria del Fasi. Ecco tutti i dettagli dell’iniziativa

 

Assidai si muove ancora a favore dei propri iscritti, venendo incontro a un’esigenza emersa in modo sempre più rilevante negli ultimi anni. Molti assistiti, infatti, si sono rivolti al Fondo chiedendo un aiuto per tutelare ulteriormente i propri figli aventi un’età compresa tra i 18 e i 26 anni, che perdono inevitabilmente l’assistenza sanitaria da parte del Fasi.

Per loro, Assidai prevede già la possibilità di rimanere in copertura all’interno del nucleo familiare fino al compimento del 26° anno di età, riconoscendo il rimborso delle prestazioni previste dal Piano Sanitario del padre o della madre, che sono iscritti al Fondo, considerando la quota del Fasi “in franchigia”.

Per il 2021, in aggiunta, il Fondo ha introdotto un’importante novità per coloro che desiderano aderire: con un’integrazione del contributo, Assidai si farà carico anche della quota di rimborso, attualmente “in franchigia” che prima il Fasi garantiva ai figli. Successivamente al 26° anno, sarà possibile continuare a garantire l’assistenza sanitaria ai figli attraverso il Piano Sanitario Familiari Assidai.

È un progetto appena decollato e per Assidai molto importante perché, specie in un periodo come questo, può fare davvero la differenza: sappiamo bene quanto sia importante prima di tutto tutelare la salute dei nostri figli. Per aderirvi è sufficiente compilare il modulo che Assidai ha inviato agli iscritti nelle scorse settimane e inoltrarlo all’indirizzo e-mail indicato.

Per qualsiasi informazione o chiarimento, il Customer Care Assidai è a completa disposizione al numero 06 44070600.

Accelerare sul piano vaccini

Il punto di vista di Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

L’obiettivo di chi, come noi, fa rappresentanza è anche quello di indicare le scelte concrete da sostenere insieme per costruire crescita, competitività e benessere.

In questo delicato momento, è fondamentale che manager e imprenditori siano dalla stessa parte per assicurare al piano vaccini l’accelerazione auspicata. I fondi di sanità integrativa sono un importante strumento e l’impresa può svolgere il ruolo di soggetto attivo nella campagna vaccinale, consentendo così a un numero maggiore di persone di poter scegliere di tutelare la propria salute in sicurezza.

L’esperienza maturata in campo sanitario da Federmanager è a disposizione del Paese per affrontare questa sfida, che costituisce l’unico vero argine alla crisi sociale ed economica. Periodicamente monitoriamo l’impatto del Covid-19 sulla nostra popolazione: un impatto che è ritenuto “grave” dal 60,2% dei colleghi mentre il 44,8% paventa rischi per la propria situazione professionale.

La possibilità di realizzare una crescita economica dipende strettamente dalla capacità del management di prendere le decisioni più utili e più tempestive. Essere al fianco di questa categoria, oggi, significa metterla nelle condizioni, anche sanitarie, di poter svolgere la sua funzione guida in azienda.

“Serve un welfare aziendale territoriale”

Secondo Attilio Gugiatti (Cergas-Bocconi) gli incentivi degli ultimi anni hanno permesso lo sviluppo del settore, ma ora bisogna puntare sulla collaborazione con enti locali, Fondazioni e fondi sanitari

“Le passate Leggi di Bilancio hanno permesso un forte sviluppo del welfare aziendale in Italia, ma ora serve un salto di qualità: bisogna puntare su un welfare aziendale territoriale, che miri alla collaborazione con gli enti locali, le Fondazioni e i fondi sanitari integrativi”. Attilio Gugiatti, Ricercatore presso il Cergas, Centro di Ricerche dell’Università Bocconi sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale ha un’idea molto chiara sul percorso che dovrebbe seguire un filone ormai sempre più centrale nel rapporto azienda-dipendente. Non solo. Mette in evidenza due ambiti d’azione su cui fondi sanitari come Assidai sono sempre stati in prima linea e su cui si dovrebbero concentrare ulteriori sforzi: cronicità e Long Term Care, “potenziando il canale delle cure a domicilio”.

Professor Gugiatti, partiamo dall’attualità. Quest’anno, a livello di welfare, nella Legge di Bilancio non sono state intro- dotte novità, cosa peraltro che – a parte qualche incentivo una tantum – accade già da qualche anno. Secondo lei così si rischia di frenare lo sviluppo del welfare aziendale in Italia?

Dopo gli incentivi introdotti dal 2016 in poi, gli ultimi anni, compreso il 2020, sono stati di consolidamento. Ciò non deve farci dimenticare, tuttavia, altri due recenti interventi chiave, collegati al welfare aziendale. Innanzitutto, la riforma del terzo settore, interlocutore fondamentale per il welfare stesso, a cui è stato dato un nuovo assetto dal punto di vista normativo. In secondo luogo, il lavoro agile, istituzionalizzato nel 2017, che di fatto ha anticipato le necessità emerse nella pandemia, quando si è dimostrato uno strumento di benessere aziendale. è chiaro, inoltre, che l’ultima Legge di Bilancio, dato il contesto generale, si è concentrata soprattutto sulla creazione di istituti che prima non c’erano, a partire dall’assegno unico per le famiglie: uno strumento universalistico molto importante.

Un altro aspetto chiave, forse sottovalutato, è il rinnovo dei contratti collettivi nazionali che recepiscono quanto previsto dalle Leggi di Bilancio sul welfare aziendale.

Assolutamente sì. è un passaggio imprescindibile visto che la bilateralità, in questo senso, è necessaria perché determina – in virtù del quadro normativo nazionale – i canali di trasferimento del welfare aziendale ai dipendenti. Prendiamo il recente rinnovo del CCNL dei metalmeccanici, che raggruppa oltre 1,5 milioni di lavoratori, dove c’è stata la conferma di flexible benefit e di risorse per il fondo sanitario di categoria. Poi c’è il secondo livello (cioè la contrattazione aziendale e territoriale) dove c’è spazio per dirottare risorse sul welfare. Ci sono altri contratti di categoria in scadenza che devono essere rimpolpati. 

Cosa ha comportato la diffusione di forme diversificate di welfare durante la pandemia? Che tipo di supporto hanno fornito attraverso le imprese?

Già detto dello smart working, abbiamo visto le aziende impegnate in risposte di vario tipo: informativo, cioè con la prevenzione, di sostegno economico, ma anche con azioni più legate alla responsabilità sociale dell’impresa, con donazioni, raccolte fondi o interventi fortemente orientati al territorio. è proprio da qui, a mio parere, che bisogna partire per compiere un ulteriore salto di qualità passando da forme di welfare aziendale in senso stretto a un welfare legato al territorio, coinvolgendo soggetti come Fondazioni bancarie, enti pubblici e locali e fondi sanitari integrativi. 

Ci spieghi meglio come potrebbe essere realizzato questo modello.

Progettando una rete di servizi e forme innovative sul territorio, potenziando la domiciliarità, a partire dalla telemedicina e dal monitoraggio dei pazienti, e i servizi. Questo processo tornerebbe particolarmente utile anche nell’ottica della gestione delle prestazioni per la non autosufficienza, ambito dove i fondi sanitari integrativi hanno giustamente insistito molto in questi anni, e della cronicità, visto che in Italia abbiamo 23 milioni di malati cronici. 

Non servono dunque, secondo lei, ulteriori incentivi fiscali?

L’incentivo fiscale lo abbiamo già usato ed è stato molto utile; è la cosa più semplice da fare ma ha effetti distorsivi notevoli per categoria e dal punto di vista territoriale. Credo che, invece, serva puntare sul welfare aziendale territoriale, che permetterebbe anche di ridurre il divario con altri Paesi europei, ad esempio la Francia, dove la mutualità è un concetto chiave. Inoltre, ritengo che in questa fase, sia il caso di sfoltire i benefit, concentrandosi su pochi, importanti ambiti come quello sanitario, cosa che in prospettiva favorirà anche un risparmio di risorse da parte dello Stato. Creiamo un grande fondo a disposizione degli enti locali, che si facciamo promotori sul territorio di iniziative di welfare aziendale e per farlo, non dimentichiamolo, potremmo anche attingere alle risorse del Recovery Fund, una grande opportunità che non possiamo perdere.

 

Italia, l’emicrania costa 20 miliardi l’anno: prevenzione e strategie per sconfiggerla

Nel Paese ne soffre una persona su quattro: a pagarne il conto è anche la Sanità pubblica

Quasi 20 miliardi di euro. Tanto costa ogni anno, direttamente e indirettamente, all’Italia l’emicrania. Una cifra monstre, calcolata dall’Università Bocconi di Milano, che è stata citata e analizzata in un recente convegno organizzato dal gruppo Il Sole 24 Ore, tenutosi lo scorso 20 gennaio, dal titolo “Emicrania. Combattere il disagio e prospettive future”. Un appuntamento al quale hanno partecipato importanti esperti del settore, tra cui Piero Barbanti, Presidente dell’Associazione neurologica italiana per la ricerca sulle cefalee, che Welfare 24 ha anche intervistato in questo numero.

I costi diretti dell’emicrania includono le spese per farmaci, visite mediche, esami strumentali e ricoveri e – secondo l’Eurolight project, studio epidemiologico condotto a livello europeo da 25 istituzioni sanitarie, pubbliche e non profit appartenenti a 15 diversi Paesi – ammontano a circa 828 euro l’anno per paziente nel caso dell’emicrania episodica e arrivano a quasi 2.650 euro per le patologie croniche.

Ci sono tuttavia anche altri tipi di ripercussioni negative – e quindi costi – sul Servizio Sanitario Nazionale. La congestione, per esempio, di richieste di esami di risonanza magnetica superflui (basti pensare agli inutili esami a carico della colonna cervicale) che ritardano esami radiologici più pertinenti per altre patologie. Così come è inappropriato, secondo gli esperti, l’elevato numero di visite specialistiche inutili – anch’esse spesso gravanti sulla sanità pubblica – dovute a una erronea percezione dell’emicrania come sintomo anziché come malattia.

Non solo: circa il 35% dei soggetti colpiti dal mal di testa ritiene di non riuscire a occuparsi pienamente dei propri figli, mentre tra il 40% e il 50% sostiene di avere pesanti limitazioni nelle attività familiari, sociali e lavorative. Senza dimenticare, sul luogo di lavoro, il problema del cosiddetto “presenteismo”, situazione per la quale il soggetto si reca comunque al lavoro durante l’attacco, pur essendo pesantemente limitato nella produttività.

Forti limitazioni in famiglia e sul lavoro

Se a ciò si aggiungono i numeri rilevanti dell’emicrania a livello globale (è la terza patologia più comune al mondo con una diffusione del 14% e la prima causa di disabilità sotto i 50 anni) e a livello italiano, dove si toccano picchi del 24,7%, risulta evidente come – anche nel caso di questa malattia – la prevenzione riesca a giocare un ruolo fondamentale, anche in un’ottica di riduzione delle spese (e dunque di sostenibilità futura) del Servizio Sanitario Nazionale.

Prevenzione che prende forma sia attraverso l’utilizzo di alcuni farmaci innovativi sia, soprattutto, adottando stili di vita sani, che depotenzino i fattori scatenanti dell’emicrania. Tra questi – parliamo della prevenzione primaria, che Assidai ha più volte illustrato ai propri iscritti come principale strumento per evitare l’insorgere di malattie croniche – spiccano un’alimentazione sana ed equilibrata, un’attività fisica regolare e non consumare alcolici, caffeina e tabacco.

30 anni di Assidai: la storia dal 1990 al 2020

La storia di Assidai 1990-1999: le origini

Il fondo nasce nel 1990 e in tre decenni ha vissuto uno sviluppo rilevante. Ripercorriamo gli aspetti più significativi di questi 30 anni di storia

Assidai viene costituito da Federmanager (il cui acronimo all’epoca era FNDAI) e da Federmanager Roma (denominata allora Sindacato Romano) il 28 novembre 1990. L’intento è fornire ai propri iscritti la possibilità d’integrare ulteriormente le prestazioni erogate da contratto collettivo nazionale dal Fasi (Fondo di assistenza sanitaria integrativa contrattuale per i dirigenti di aziende produttrici di beni e servizi) o da altri Fondi o Casse Aziendali. Nell’anno della sua fondazione, cioè nel 1990, Assidai prevede solo tre Piani Sanitari dedicati ai dirigenti e alle loro famiglie. Dopo un anno di attività gli iscritti al Fondo sono già 9.000.

Tre anni dopo il Fondo introduce un Piano Sanitario specifico per i figli che, a 26 anni, “perdevano” e, ancora oggi, perdono l’assistenza del Fasi. Il Piano allora consentiva loro di estendere le tutele sanitarie fino a 30 anni.

Alla fine del 1993 gli iscritti sfiorano quota 18.000.

Nel corso del 1996, viene introdotto un Piano Sanitario sostitutivo per coloro che perdevano la possibilità di mantenere l’iscrizione al Fasi e non fruivano di alcun altro tipo di assistenza sanitaria.

Nel 1997 cade un momento storico che permette la vera espansione del Fondo: nascono i Piani Sanitari aziendali, riservati ai dirigenti di una stessa azienda. Inoltre, si prolunga fino a 35 anni la fruibilità del Piano Sanitario riservato ai figli che perdono l’assistenza del Fasi o di altri fondi di assistenza sanitaria.

Infine, nel 1998, si estende la possibilità di iscrizione al Piano Sanitario Familiari ai conviventi e si consente di iscrivere nel proprio nucleo familiare un eventuale figlio invalido, anche se ha più di 26 anni. Alla fine di quell’anno gli iscritti sono quasi 30.000.

storia assidai 1La storia di Assidai 2000-2009: la crescita

Il Fondo nasce nel 1990 e in tre decenni ha vissuto uno sviluppo rilevante. Ripercorriamo gli aspetti più significativi di questi 30 anni di storia.

Per Assidai il nuovo millennio inizia con una revisione e implementazione di tutti i Piani Sanitari. è il 2000. L’anno successivo – il 2001 – viene prolungata fino a 37 anni la possibilità d’iscrizione riservata ai figli che perdono l’assistenza del Fasi o altri fondi di assistenza sanitaria; inoltre, si estende al figlio sposato la possibilità di iscrivere il proprio nucleo familiare.

Tuttavia è nel 2002 che il Fondo effettua un altro passaggio chiave della propria storia, che gli permette di ampliare il numero degli iscritti riducendo contemporaneamente la loro età media. Si aprono, infatti, le iscrizioni anche ai quadri e ai consulenti aziendali, afferenti ad Associazioni di categoria con le quali Federmanager o CIDA (Confederazione dei dirigenti e delle alte professionalità) abbiano sottoscritto accordi che prevedano l’iscrizione ad Assidai. Così nel 2003 gli iscritti sono diventati 37.000.

La storia di questo decennio non si ferma qui. Nel 2004 viene introdotto il Piano Sanitario denominato “Single”, riservato ai dirigenti che non abbiano superato i 51 anni di età e il cui nucleo familiare sia composto unicamente dagli stessi dirigenti e si prolunga fino a 41 anni la possibilità d’iscrizione riservata ai figli che perdono l’assistenza del Fasi o altri fondi di assistenza sanitaria.

Nel 2005 viene aggiornata l’immagine di Assidai, si modificano le denominazioni dei Piani Sanitari e gli stessi vengono aggiornati e migliorati prevedendo nuove prestazioni a favore degli iscritti. Due anni dopo si prolunga fino a 45 anni la fruibilità del Piano Sanitario riservato ai figli che perdono l’assistenza del Fasi o di altri fondi di assistenza sanitaria integrativa. E’ il 2007 e Assidai raggiunge il tetto di 43.000 iscritti.

storia assidai 2La storia di Assidai 2010-2020: il consolidamento

Il Fondo nasce nel 1990 e in tre decenni ha vissuto uno sviluppo rilevante. Ripercorriamo gli aspetti più significativi di questi 30 anni di storia

2010, Assidai è ormai una realtà consolidata e si iscrive alla neonata Anagrafe dei Fondi Sanitari istituita dal Ministero della Salute. Inoltre, pur non essendo richiesto a livello normativo, stabilisce di certificare annualmente il proprio bilancio, ritenendo valori fondamentali l’eticità e la trasparenza verso iscritti e stakeholder.

Nel 2011 il Fondo risponde a una delle esigenze sanitarie più urgenti in Italia, l’assistenza alle persone non autosufficienti e introduce la Long Term Care (LTC) nei Piani a favore dei capofamiglia. Inoltre, sviluppa il nuovo Piano Sanitario “Extra” dedicato alle persone, che prevede prestazioni odontoiatriche. Il Fondo ottiene la certificazione del sistema di gestione della qualità secondo la norma UNI EN ISO 9001: 2008 e gli iscritti superano i 45mila.

Nel 2012 nuovi sistemi informatici garantiscono servizi sempre più efficienti. Diretta conseguenza di ciò, nel 2014, è l’implementazione del servizio di invio della richiesta di rimborso da pc e smart- phone, riducendo i costi e velocizzando i tempi. Inoltre, il Fondo si dota di un Codice Etico e di Comportamento e approda sui social media: LinkedIn, Twitter e Facebook.

Nel 2015 Assidai celebra i 25 anni con un evento istituzionale alla Camera dei Deputati. E, mentre i nuclei familiari iscritti sono saliti a oltre 53.000, estende la copertura Ltc anche al coniuge o al convivente more uxorio senza alcun aggravio di costi per gli iscritti. Continua intanto l’evoluzione tecnologica.

Nel 2016 arrivano l’importante possibilità di rateizzare il contributo per chi ha la domiciliazione bancaria e la campagna istituzionale “Abbracci”. La campagna di prevenzione promossa con Federmanager offre gratis agli iscritti un test cardiovascolare da sforzo e un controllo bioimpedenziometrico, e il sito, riprogettato, è accessibile da qualsiasi dispositivo.

Nel 2017 si migliora ancora la copertura LTC per gli under e over 65, mentre nel 2018 arriva una nuova area riservata per gli iscritti e le Associazioni Territoriali Federmanager. La nuova campagna gratuita di prevenzione “Healthy Manager” affronta il rischio ictus.

Infine il 2019. Si rinnova l’area riservata dedicata alle aziende, per la terza volta in cinque anni il Fondo potenzia le coperture LTC. La campagna di prevenzione “Healthy Manager”, sempre gratuita, riguarda il rischio melanoma. E, soprattutto, viene presentata alle aziende la nuova Proposta Sanitaria Unica Fasi-Assidai che consente ai manager in servizio di godere di un’assistenza sanitaria completa e unica.

Siamo arrivati al 2020. Assidai compie 30 anni e si prende cura di oltre 120.000 persone, oltre a essere un punto di riferimento per più di 1.500 aziende.

storia assidai 3