Alfabetizzazione sanitaria, in Italia per un abitante su quattro è insufficiente

Lo rivela un’indagine svolta dall’Oms su 17 Paesi europei: solo per il 9% è “eccellente”

Un italiano su quattro, per l’esattezza il 23%, potrebbe avere un livello di “alfabetizzazione sanitaria” inadeguato: mostrare cioè difficoltà a valutare le possibilità di cura a sua disposizione, a interpretare correttamente i consigli sulla prevenzione e a trovare informazioni su come proteggere la propria salute fisica e mentale. A rivelarlo è una recente ricerca svolta a campione in 17 Paesi (oltre all’Italia, Austria, Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Germania, Ungheria, Irlanda, Israele, Norvegia, Portogallo, Russia, Slovacchia, Slovenia e Svizzera) dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) tramite l’Action Network on Measuring Population and Organizational Health Literacy. Uno studio condotto complessivamente su 42.445 persone, che segue a 10 anni di distanza il primo lavoro su questo tema in Europa, e che sarà aggiornato ulteriormente nel 2024.

In Italia sono state intervistate in tutto 3.500 persone. Utilizzando strumenti di misurazione di nuova concezione e validati, il report si è concentrato sia sull’alfabetizzazione sanitaria generale sia su alcuni suoi elementi specifici come la navigazione sul web, la comunicazione con i medici, il rapporto con le nuove tecnologie digitali e le vaccinazioni. Inoltre, la stessa alfabetizzazione sanitaria e la qualità della vita correlata alla salute sono state analizzate in relazione ai costi sanitari. In tutto 12 domande elaborate per descrivere le principali aree di azione a tutela della salute: ad esse, nel nostro Paese, il 31% del campione ha trovato “difficile” o “molto difficile” individuare una risposta contro una media europea del 23%. In generale, il 23% degli intervistati italiani è risultato con una alfabetizzazione sanitaria “inadeguata”, il 35% “problematica”, il 34% “sufficiente” e il 9% “eccellente” a fronte di valori medi del Vecchio Continente che si attestano rispettivamente al 13%, 33%, 40% e 15 per cento.

alfabetizzazione sanitaria italia“Chi è meno consapevole fa meno prevenzione”

L’Italia, inoltre, alla luce dell’emergenza pandemica ha aggiunto un ulteriore modulo di domande per valutare quanto sia facile reperire, comprendere, valutare e prendere decisioni in base alle informazioni sulla salute disponibili. Il risultato? Per il 31% del campione è “difficile” o “molto difficile”, per il 52% e “facile” e per il 17% “molto facile”.

Al di là dei numeri quali sono state le principali conclusioni dell’indagine dell’Oms a livello qualitativo? In diversi Paesi è emersa una oggettiva difficoltà nel giudicare le diverse opzioni di trattamento farmaceutico o chirurgico, nell’utilizzare le informazioni dei media per prevenire le malattie e nel trovare informazioni su come gestire i problemi mentali. Per quanto riguarda il web, invece, risulta complesso comprendere le informazioni sulle riforme sanitarie, giudicare l’idoneità dei servizi sanitari, scoprire i diritti dei pazienti e valutare l’estensione della copertura assicurativa sanitaria. Allo stesso tempo molte persone hanno mostrato difficoltà nell’ottenere dai medici il tempo sufficiente per dialogare ed esprimere opinioni personali. Inoltre, è stato dimostrato che i partecipanti con minore alfabetizzazione sanitaria avevano più contatti con i servizi di emergenza e con il medico di famiglia, mostravano una minore attività fisica e un minor consumo di frutta e verdura, e soffrivano maggiori limitazioni nelle attività dovute a problemi di salute, anche a lungo termine.

Intervista a Francesca Coscia, biochimica presso il Centro di Biologia Strutturale dello Human Technopole di Milano

“Tiroide, così scopriremo i suoi segreti”

Intervista alla biochimica Francesca Coscia, che con il suo gruppo di ricerca allo Human Technopole di Milano, ha vinto un finanziamento di 1,5 milioni per studiare il funzionamento di questo organo

“In Italia, in campo medico, la ricerca dovrebbe concentrarsi anche su progetti a lungo termine, che possono davvero rivoluzionare la conoscenza in alcuni settori e, a livello più generale, possono favorire lo sviluppo di tecnologie più robuste, utili in tutti campi, anche alle aziende e come potenziale stimolo per lo sviluppo economico del Paese.” Francesca Coscia, trentaseienne biochimica strutturale, prima di fondare il suo gruppo di ricerca allo Human Technopole di Milano è stata ricercatrice presso il (MRC) Laboratory of Molecular Biology di Cambridge, in Gran Bretagna, dove ha avuto modo di frequentare i seminari di Richard Henderson, biologo molecolare e biofisico scozzese, vincitore del Premio Nobel per la Chimica nel 2017 per lo sviluppo della crio-microscopia elettronica. “Ci ripeteva spesso: pensate all’idea più geniale che potete avere e di averla anche già realizzata, cosa farete dopo? – racconta Coscia – Il significato è: guardate sempre al futuro, non ragionate solo in un’ottica di breve termine”.  È seguendo questa filosofia che la biochimica ha ideato un progetto per indagare il funzionamento della tiroide e la regolazione degli ormoni tiroidei, che ha ricevuto un finanziamento di 1,5 milioni dal European Research Council (ERC), una delle più importanti agenzie pubbliche di finanziamento della ricerca scientifica in Europa.

In che cosa si distingue dagli altri questo studio?

Si tratta di un progetto high risk, high gain, letteralmente “alto rischio, alto guadagno”. In altre parole, si scommette sullo sviluppo di idee e tecniche nuove che potrebbero consentire nel medio-lungo termine di introdurre cambia- menti radicali nella ricerca e nelle cure. L’ERC destina risorse proprio a questo tipo di idee, che spesso trovano difficoltà di finanziamento perché non danno risultati nel breve termine.  Nello specifico, il nostro progetto studierà attraverso la biologia strutturale, in particolare la crio-microscopia elettronica, il funzionamento della tiroide. Di quest’ultima si sa molto a livello medico ma le terapie sono limitate e non specifiche: moltissimi studiosi, anche italiani, hanno studiato la tiroide, ma finora è stato impossibile osservare cosa succede esattamente quando il suo funzionamento è alterato. Grazie a recenti tecnologie avanzate, su cui Human Technopole ha investito, è finalmente possibile analizzare in dettaglio i processi di base di quest’organo e capire come sono alterati nelle malattie.

Con il vostro studio cosa potrebbe cambiare e quanto tempo ci vorrà per vedere i primi, eventuali risultati?

Parliamo di medio termine, quindi cinque anni. Partiamo dal presupposto che la tiroide è un organo chiave: una specie di bioreattore che accumula iodio, un elemento raro che si trova nell’acqua, nel pesce e nelle alghe, e lo utilizza per produrre preziosi e speciali ormoni tiroidei, essenziali per il buon funzionamento del corpo umano. Questi ormoni in realtà vengono accumulati, “stoccati” e rilasciati in maniera controllata e ovviamente deve esserci un perfetto equilibrio tra tutte queste fasi. La nostra ricerca si inserisce in questo contesto: vogliamo capire come funziona tutto ciò a livello molecolare e lo faremo utilizzando modelli cellulari – i cosiddetti organoidi – che riproducono la tiroide in provetta. Una tecnica utilizzata anche per studiare anche altri organi, per esempio il cervello.

Tutto ciò potrebbe creare i presupposti, in futuro, per una medicina personalizzata?

Assolutamente sì. Studieremo nel dettaglio cosa avviene nella tiroide di pazienti sani e malati e la tecnica degli organoidi ci consentirà di partire dai singoli estratti cellulari dei pazienti, ricreando in vitro le caratteristiche delle sue eventuali alterazioni per risolverlo. Ecco, questo potrebbe essere l’approdo finale della nostra ricerca, sarebbe davvero un grande passo in avanti per la medicina.

Quanto sono diffuse le patologie della tiroide?

Colpiscono dal 5% al 10% della popolazione una volta nella vita, a seconda delle aree del mondo, con un’incidenza più alta nelle donne con rischi che aumentano significativamente durante la gravidanza. Oggi ci sono cure palliative ma non specifiche, anche perché se non si capisce bene quale target colpire non si può essere realmente efficaci.  Se i nostri studi avranno successo le prospettive potrebbero finalmente cambiare, rivoluzionando l’endocrinologia della tiroide.

Francesca Coscia è una biochimica strutturale, attualmente capogruppo presso il Centro di Biologia Strutturale dello Human Technopole di Milano. Il suo laboratorio si concentra sullo svelamento della struttura e della funzione delle macromolecole chiave coinvolte nell’omeostasi degli ormoni tiroidei, nelle malattie autoimmuni e nel cancro. Si è laureata nel 2009 all’Università di Napoli, in Chimica e Biostrutture. Nel 2014 ha conseguito un PhD allo Institute of Structural Biology di Grenoble.

 

Legge di Bilancio, restano gli incentivi per il welfare

Alla fine per il 2022 non passa il raddoppio a 516,46 euro della soglia di esenzione fiscale ai fringe benefit

Dopo il 2019, il 2020 e il 2021, anche la Legge di Bilancio 2022, recentemente approvata dalle Camere, non ha modificato incentivi e agevolazioni in termini di welfare aziendale. In realtà, a dicembre, si era parlato della possibilità di inserire in maniera strutturale il raddoppio a 516,46 euro della soglia di esenzione fiscale dei beni e servizi erogati gratuitamente ai dipendenti, i cosiddetti “fringe benefit”. Una misura, quest’ultima, che era stata prevista una tantum sia per il 2020 sia per il 2021 alla luce dell’emergenza Covid. Tuttavia, alla fine, non se ne è fatto nulla.

Quali sono ad oggi le agevolazioni per il welfare aziendale?

La Manovra 2017, come quella del 2016, era intervenuta con misure ad hoc lavorando su due punti. Innanzitutto, aveva allargato il perimetro che non concorre al calcolo dell’Irpef, includendo servizi come l’educazione, l’istruzione e ulteriori benefit, sempre erogati dal datore di lavoro, per poter fruire di assistenza destinata a familiari anziani o non autosufficienti. In secondo luogo, aveva espanso, nei numeri, l’area della tassazione zero per i dipendenti che scelgono di convertire i premi di risultato del settore privato di ammontare variabile in benefit compresi nell’universo del welfare aziendale. In alternativa, i benefit saranno soggetti a un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali regionali e comunali pari al 10 per cento.

Nel dettaglio, il tetto massimo di reddito di lavoro dipendente che consente l’accesso alla tassazione agevolata è di 80mila euro, mentre gli importi dei premi erogabili sono di 3mila euro nella generalità dei casi e di 4mila euro per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro. Infine, la sanità integrativa può andare oltre il limite di deducibilità previsto dalle norme fiscali utilizzando il premio di produttività.

Il Prodotto Unico: opportunità per le imprese

Una copertura sanitaria innovativa imperniata sull’alleanza Fasi-Assidai e sul network di Iws

Le aziende industriali oggi hanno davanti a sé una nuova grande opportunità: aderire al Prodotto Unico Fasi-Assidai. Si tratta di una copertura sanitaria fortemente innovativa, che integra e completa pressoché totalmente il rimborso delle prestazioni previste dal Nomenclatore Tariffario Fasi. Un prodotto coerente con l’impostazione strategica e innovativa prevista dall’ultimo rinnovo del CCNL Dirigenti Industria siglato da Confindustria e Federmanager nel luglio 2019 e che garantisce ai dirigenti in servizio iscritti in forma collettiva un’assistenza sanitaria completa. Non è un caso che nel CCNL sia comparso per la prima volta Assidai, in un’ottica di reciproca collaborazione con il Fasi che rafforza il ruolo di entrambi nel panorama della sanità integrativa e contribuisce a salvaguardare il patto intergenerazionale tra dirigenti in servizio e pensionati.

Che cosa prevede nel dettaglio il Prodotto Unico

Per le prestazioni sanitarie erogate c’è un rimborso fino al 100% del richiesto per i ricoveri con o senza intervento chirurgico e interventi ambulatoriali, fino a un massimo di 1 milione di euro l’anno per nucleo familiare nel caso in cui le prestazioni siano effettuate utilizzando la rete di case di cura ed equipe mediche convenzionate con il network di Industria Welfare Salute (IWS), società costituita da Federmanager, Confindustria e Fasi. Anche in caso di extra-ricovero è stabilito un rimborso fino al 100% del richiesto e fino a un massimo di 25mila euro per nucleo familiare, sempre in regime di convenzionamento diretto. Infine, per le cure odontoiatriche è previsto un rimborso fino al 90% dell’importo richiesto per le spese relative alle voci previste dalla Guida Odontoiatrica del Fasi in vigore e secondo i criteri liquidativi in essa riportati, fino ad un massimo di 12.500 euro l’anno per l’intero nucleo familiare. È compresa, inoltre, all’interno del contributo di adesione al Prodotto Unico Fasi-Assidai, anche la copertura aggiuntiva in caso di non autosufficienza.

Quali sono i principali vantaggi del Prodotto Unico Fasi-Assidai?

Innanzitutto, per chi aderisce a questa proposta sanitaria, il network è unico e capillare su tutto il territorio nazionale. Così facendo, l’accesso alla rete di strutture sanitarie e professionisti convenzionati è semplice e veloce. In secondo luogo, gli iscritti possono inviare una pratica di rimborso unica attraverso il portale online di IWS, che a sua volta provvede a inoltrare le richieste ai due Fondi per quanto di loro competenza.

Bocconi: “Tra pandemia da Covid-19 e Pnrr la possibile svolta per la sanità pubblica”

Presentato il Rapporto Oasi 2021 che evidenzia cambiamenti e sfide per il Ssn

La pandemia da Covid-19 ha impresso un’accelerazione fortissima ai cambiamenti del nostro Servizio Sanitario Nazionale che ha vissuto, in soli due anni, quattro epoche e oggi ha davanti a sé i potenziali investimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) che possono rappresentare uno straordinario trampolino di lancio per il futuro. Ad affermarlo è il Rapporto Oasi 2021, l’Osservatorio sulle Aziende e sul Sistema Sanitario Italiano del Cergas – Sda Bocconi, che dal 1998 si occupa di politiche sanitarie e di temi manageriali relativi alle aziende sanitarie pubbliche e private.

Lo studio evidenzia come il Ssn sia entrato nella pandemia quando era ancora nell’epoca del contenimento della spesa. Nella seconda epoca, avviata a marzo 2020, quando il contrasto alla pandemia è diventato l’obiettivo totalizzante, i vincoli di spesa sono saltati, tanto che nel 2020 la spesa sanitaria è aumentata di circa 6 miliardi di euro (+5,3% a 126,7 miliardi il dato complessivo riferito all’anno scorso) e il sistema ha scoperto doti di flessibilità fino ad allora inesplorate. La progressiva trasformazione del Covid-19 da emergenza in situazione endemica e sufficientemente controllata ha condotto alla terza epoca: con la diminuzione della pressione ospedaliera è subentrata l’esigenza di recuperare l’enorme ritardo accumulato nella produzione di servizi per pazienti non Covid-19, in ogni ambito. Infine, la quarta epoca, in pieno svolgimento, è quella della costruzione del portafoglio di progetti finanziabili con il Pnrr. Un lavoro proiettato soprattutto sul futuro con la prospettiva di impattare sui servizi realmente erogati a 3-5 anni.

“Troppo alta la spesa sanitaria privata rispetto all’Europa”

Il rapporto Oasi, inoltre, ricorda un altro punto chiave: una volta superata la fase emergenziale, i bisogni di salute, dettati dai cambiamenti demografici ed epidemiologici, continueranno a evolvere secondo lo stesso trend mostrato negli ultimi anni. Per esempio, l’Istat stima che al 2040 la popolazione over 65 raggiungerà i 19 milioni, cioè un italiano su tre. I problemi con cui confrontarsi? Cronicità, non-autosufficienza, riabilitazione e pazienti fragili. La soluzione, secondo gli esperti della Bocconi, non dovrà però essere quella dei “razionamenti” ma della “razionalizzazione” e cioè “sostituire i tagli con processi profondi di riallocazione, riorganizzazione del lavoro e ridisegno delle forme dei servizi”.

Senza dimenticare che, a differenza di altri Paesi europei, la componente privata della spesa sanitaria è prevalentemente out of pocket (il 23% della spesa totale) mentre è ancora marginale il ricorso a forme di intermediazione, rappresentate per esempio dai fondi sanitari integrativi. Un’ulteriore sfida per un futuro sostenibile della sanità italiana.

126,7 miliardi

Questa è la spesa sanitaria corrente a carico del Servizio Sanitario Nazionale del 2020: un aumento del 5,3% rispetto al 2019. Incremento dettato ovviamente dalla necessità di fronteggiare la pandemia e, in particolare, dalla crescita delle voci relative all’acquisto di beni e servizi (+12,7%), alla medicina convenzionata (+4%) e al personale (+3,3%).

Vista, la giornata mondiale e la prevenzione

Lo scorso 14 ottobre è stata celebrata, come ogni anno, la Giornata Mondiale della Vista. Del resto, la disabilità visiva è una condizione abbastanza frequente. Secondo i dati più recenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità essa colpisce 253 milioni di persone nel mondo, ma si può prevenire o trattare in più dell’80% dei casi. In Italia si stimano quasi 1,5 milioni di ipovedenti e 220.000 non vedenti. Di qui l’istituzione della Giornata Mondiale della Vista con l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione sulla prevenzione delle patologie della vista e sul trattamento delle malattie oculari in atto.

Secondo il Ministero della Salute, nel nostro Paese, le malattie che mettono a rischio la vista riguardano oltre 3 milioni di persone e ancora di più sono i soggetti a rischio, perché l’incidenza di glaucoma, retinopatia diabetica e maculopatia aumenta assieme all’età e alle malattie croniche. Queste e molte altre condizioni che minacciano la vista sono asintomatiche negli stadi iniziali – ovvero danneggiano le cellule nervose in maniera silenziosa- tuttavia possono essere curate o arginate se diagnosticate in tempo dai medici oftalmologi attraverso controlli periodici. Tutto ciò vale anche per i più giovani: la prevenzione e i buoni comportamenti – sottolineano gli esperti – devono iniziare molto presto; inoltre, la vita al chiuso e l’uso dei dispositivi elettronici aumentano il rischio miopia (cresciuta ormai a un giovane su tre) e affaticano l’occhio perché gli impediscono di riposare.

Cuzzilla: “Un Patto della Dirigenza per l’Italia”

All’Assemblea di Federmanager il Presidente chiede anche una svolta sulla sanità integrativa

Un Patto della Dirigenza per l’Italia: un impegno a collaborare con tutte le forze del Paese per un nuovo rinascimento, facendo leva anche sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). È l’idea lanciata, lo scorso 12 novembre, all’Assemblea annuale di Federmanager, dal presidente Stefano Cuzzilla, parlando di fronte a oltre 600 tra dirigenti d’impresa e rappresentanti delle istituzioni. L’obiettivo? Costruire una crescita economica robusta e duratura, basata su occupazione, inclusività, welfare, transizione ecologica e trasformazione digitale, cioè i quattro pilastri per guidare la ripresa.

L’evento, moderato da Ferruccio de Bortoli, ha ospitato gli interventi in videomessaggio del Ministro degli Esteri Luigi Di Maio e del Ministro per le Pari opportunità Elena Bonetti e gli interventi in presenza del Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, del Generale Francesco Paolo Figliuolo, Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19, del senatore Matteo Salvini, della Presidente di Ania Maria Bianca Farina, del Ministro della Difesa Lorenzo Guerini e del Presidente Confapi, Maurizio Casasco.

Tra i fattori determinati per la svolta del Paese, soprattutto in un’ottica di medio periodo, Cuzzilla ha sottolineato il valore della sanità integrativa e della potenziale alleanza tra pubblico e privato. “Le politiche di welfare pubblico sono state messe a dura prova dalla pandemia. Una sfida estremamente ardua anche per i medici e tutto il personale sanitario, che non smetteremo mai di ringraziare. – ha fatto notare – Eppure, sono state carenti le soluzioni di sanità territoriali. Assenti le soluzioni di assistenza a distanza, telemedicina o sanità digitale. Tutto questo ha generato effetti devastanti sulle famiglie e distorsivi sul mondo del lavoro, con ad esempio la fuoriuscita di massa delle donne lavoratrici, le uniche rimaste a prendersi cura di bambini ed anziani”. Quindi, ha aggiunto, “su questi capitoli il pubblico non riuscirà a fare da solo. Possiamo scegliere se lasciare fuori protezione fette di popolazione o concentrare le risorse su ciò che è essenziale ripensando la relazione tra welfare pubblico e welfare aziendale, sostenendo la necessità che per il bene salute convergano in modo integrato le risorse di Stato e privati”.

Al centro dei lavori dell’assemblea c’è stato il Patto della dirigenza per l’Italia e per il rilancio economico del Paese, a partire dalla “messa a terra” degli interventi previsti dal Pnrr. “I manager italiani hanno già dimostrato di detenere strumenti concreti e metodo d’attuazione che hanno salvato le nostre imprese nel periodo più buio della pandemia. Ora siamo pronti per concretizzare il piano più ambizioso di riforme ed investimenti che si ricordi dal dopoguerra”, ha detto a tale proposito Cuzzilla. Si parla infatti di oltre 222 miliardi di euro che sommati alle altre risorse nazionali ed europee, configurano una capacità di spesa 10 volte maggiore di quella sperimentata finora. “Risorse da spendere bene, proteggendole con rigore da illegalità, corruzione, e da un’evasione fiscale che da sola vale oltre 100 miliardi l’anno, riconoscendo che la cultura manageriale è una risorsa strategica per mettere la competenza al centro della gestione”, ha avvertito il presidente di Federmanager, sottolineando al contempo l’importanza che i dirigenti d’impresa siano chiamati a collaborare ai tavoli decisionali per l’attuazione del Pnrr”. Infine, il tema delle riforme fiscali e previdenziali. Sul tema Federmanager sostiene la richiesta delle imprese di abbattimento del cuneo fiscale e richiama l’urgenza di una riforma dell’Irpef che tuteli i redditi da lavoro e semplifichi gli adempimenti.

Salute, l’Italia protagonista con il G20

Con il vertice di fine ottobre a Roma si è chiuso un anno in cui il nostro Paese ha ospitato le riunioni più importanti tra le principali 20 economie del mondo

Il vertice di Roma, tenutosi a fine ottobre, è stato soltanto l’atto finale di un 2021 in cui l’Italia ha detenuto la Presidenza del G20, il Foro internazionale che riunisce le principali economie del mondo (rappresenta più dell’80% del PIL mondiale, il 75% del commercio globale e il 60% della popolazione del pianeta). Il programma della Presidenza tricolore si è articolato intorno al trinomio People, Planet, Prosperity: in altre parole, dobbiamo prenderci cura del pianeta e delle persone, assicurando una forte ripresa economica che sia al contempo inclusiva e sostenibile.

Un ruolo chiave, dunque, lo ha la salute, essenziale per la crescita e lo sviluppo economico. Proprio crisi sanitarie come l’attuale pandemia da Covid-19 dimostrano quanto le malattie possano causare instabilità economica nei Paesi colpiti o anche in intere regioni del pianeta. Anche per questo, il vertice di Roma tra i leader del G20 si è fissato un obiettivo molto chiaro: vaccinare almeno il 40% della popolazione mondiale entro la fine del 2021 e il 70% entro la metà del 2022.

Sul fronte sanitario l’Italia era già stata protagonista in aprile, quando a Roma si era tenuto il Global Health Summit. Sede in cui i leder del G20, i responsabili delle organizzazioni internazionali e regionali e i rappresentanti degli organismi sanitari mondiali hanno condiviso gli insegnamenti tratti dalla pandemia di Covid-19, adottando la “dichiarazione di Roma” e impegnandosi a rispettare principi comuni per superare il coronavirus e prevenire future pandemie. E sempre nella Capitale a inizio settembre si è tenuta la Riunione Ministeriale del G20 dedicata ai temi della Salute. Una conferma del ruolo centrale giocato dall’Italia nel settore della salute, anche alla luce di un Servizio Sanitario Nazionale quasi unico al mondo per equità e universalità.

Cure primarie, via al distretto sanitario

Sarà il perno della nuova assistenza territoriale che verrà ridisegnata nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il ruolo chiave delle “Case della Comunità”

Il distretto sanitario come snodo cruciale della nuova assistenza sanitaria primaria che verrà ridisegnata nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Ne sarà previsto uno ogni 100 mila abitanti e sarà il luogo “privilegiato di gestione e di coordinamento funzionale e organizzativo della rete dei servizi socio-sanitari e sanitari territoriali, centro di riferimento per l’accesso a tutti i servizi dell’Asl”. A dirlo è il documento messo a punto dal Ministero della Salute e da Agenas (l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) che disegna la nuova assistenza territoriale, in cui il distretto sarà chiamato a favorire l’integrazione tra le diverse strutture sanitarie, socio-sanitarie, nonché dei servizi socio-assistenziali in un’ottica di collaborazione con le istituzioni locali presenti sul territorio, “in modo da assicurare una risposta coordinata e continua ai bisogni della popolazione, nonché di uniformità dei livelli di assistenza e di pluralità dell’offerta”.

La strada imboccata dal Ministero della Salute e da Agenas parte da un presupposto molto chiaro. “Il Servizio Sanitario Nazionale – spiegano le due istituzioni nel proprio documento – si basa su tre principi fondamentali: universalità, uguaglianza ed equità. Oggi più che mai il perseguimento di questi principi richiede un rafforzamento della sua capacità di operare come un sistema vicino alla comunità, progettato per le persone e con le persone, non intorno alle malattie e alle istituzioni”. In tale ottica, “si inserisce la necessità di potenziare i servizi assistenziali territoriali per consentire l’effettiva garanzia dei Livelli Essenziali di Assistenza riducendo le disuguaglianze, e contestualmente, costruendo un modello di erogazione dei servizi condiviso ed omogeneo sul territorio nazionale”. Ciò poiché l’Assistenza Territoriale o Assistenza Primaria – si ricorda – rappresenta la prima porta d’accesso al servizio sanitario e dunque essa “costituisce l’approccio più inclusivo, equo, conveniente ed efficiente per migliorare la salute fisica e mentale degli individui, così come il benessere della società”.

Anche per questo, in ogni distretto avrà un ruolo cruciale la “Casa della Comunità” (una ogni 40-50mila abitanti), ovvero il luogo fisico di prossimità e di facile individuazione dove la comunità può accedere per poter entrare in contatto con il sistema di assistenza sanitaria e sociosanitaria. Una struttura che offrirà molteplici servizi ai cittadini, tra cui la presenza medica h24 per sette giorni su sette, la presenza infermieristica h12 per sette giorni su sette, punto prelievi, programmi di screening, diagnostica finalizzata al monitoraggio della cronicità anche attraverso strumenti di telemedicina, e cure ambulatoriali specialistiche per le patologie ad elevata prevalenza. Sarà, insomma, la sede privilegiata per la progettazione e l’erogazione di interventi sanitari e di integrazione sociale.

Cure primarie e secondarie, cosa sono

Le cosiddette cure primarie sono l’insieme dei servizi sanitari erogati dai medici di medicina generale (MMG) e dai pediatri di libera scelta (PLS). In sostanza, rappresentano quell’assistenza che funge da prima porta di ingresso dei cittadini al Servizio Sanitario Nazionale. Questi servizi – comunemente chiamati anche assistenza di base, assistenza primaria, medicina di base, medicina territoriale – unitamente a quelli di assistenza domiciliare, specialistica ambulatoriale e all’insieme delle cure intermedie costituiscono i cosiddetti servizi territoriali. Questo li distingue dal blocco dei servizi di cura e assistenza erogati dagli ospedali, cioè le cure secondarie (o specialistiche) a cui il cittadino può essere successivamente indirizzato. In molti sistemi sanitari l’accesso alle cure secondarie è subordinato alla prescrizione di un servizio di cure primarie.

La Casa della Comunità sarà il luogo fisico di prossimità e di facile individuazione dove poter entrare in contatto con il sistema di assistenza sanitaria e sociosanitaria. Una struttura che offrirà molteplici servizi ai cittadini, tra cui la presenza medica h24 per sette giorni su sette, la presenza infermieristica h12 per sette giorni su sette, punto prelievi, programmi di screening e diagnostica. Un distretto sanitario ogni 100mila abitanti: il luogo privilegiato di gestione e di coordinamento organizzativo e funzionale della rete dei servizi sanitari e sociosanitari  territoriali, centro di riferimento per l’accesso a tutti i servizi dell’Asl

Welfare privato a supporto del Servizio Sanitario Nazionale

Intervista a Luigi Ballanti, Direttore Generale del Mefop: “L’Anagrafe dei Fondi sanitari integrativi giocherà una importante attività di orientamento per tutto il settore e per il legislatore nei prossimi anni”

“In assenza di un quadro di regole stabili e dettagliate in materia di sanità integrativa, il ruolo informativo e di vigilanza anagrafico-fiscale svolto dal Ministero della Salute assume un ruolo determinante. Gli uffici dell’Anagrafe dei Fondi sanitari integrativi, grazie al patrimonio informativo raccolto in questi anni, potranno svolgere un’importante attività di orientamento per l’attuale sistema dei fondi e per il legislatore futuro”. A parlare è Luigi Ballanti, Direttore Generale del Mefop, società per lo sviluppo del mercato dei fondi pensione costituita nel 1999 dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e che oggi, tra i propri stakeholder, annovera anche soggetti istituzionali, quali Casse di Previdenza e Fondi sanitari, e soggetti di mercato.

Negli ultimi anni i numeri dei fondi sanitari integrativi sono in costante ascesa. è la dimostrazione che il sistema di welfare italiano si sta avviando verso un binomio pubblico-privato? Qual è il nuovo modello di “protezione sociale” a cui dovremmo tendere, anche alla luce di quanto è avvenuto durante la pandemia?

I dati ci consegnano un sistema di welfare privato in costante ascesa a fronte di bisogni sociali, previdenziali e sanitari della popolazione sempre più evidenti e percepiti. La crescita del fenomeno della sanità integrativa si colloca in un modello consolidato di welfare mix dove i privati, le collettività e in primis gli enti di welfare integrativo assumono un ruolo sinergico con il sistema pubblico, valorizzando al meglio il principio di sussidiarietà orizzontale riconosciuto nella nostra Costituzione. Questo modello di protezione integrata, se correttamente gestito, in armonia con le coperture pubbliche e nel rispetto dei principi di trasparenza e partecipazione attiva dei lavoratori e dei cittadini, non può che essere guardato con favore, quale volano di un sistema moderno di protezione sociale in cui tutte le risorse a disposizione vengono utilizzate in chiave virtuosa e generativa.

Quali sono secondo lei le principali sfide del Servizio Sanitario Nazionale e in che modo i fondi sanitari integrativi possono supportarlo?

Tra le principali sfide del SSN ci sono sicuramente la tutela dell’invecchiamento e della non autosufficienza, delle cronicità e della fragilità socio-sanitaria, della prevenzione e della medicina di prossimità. Su tutte queste aree il ruolo della sanità integrativa può essere particolarmente incisivo. Sarebbe opportuno valorizzare l’operato dei fondi sanitari su queste aree di tutela, anche attraverso moniti legislativi più chiari.

Quanto è urgente (e attuale) lavorare sul tema delle coperture Ltc alla luce del trend di invecchiamento della popolazione?

Il tema della non autosufficienza, inserito nel più ampio quadro delle coperture a favore di anziani e di soggetti fragili, rappresenta una priorità per il nostro Paese. Pertanto, è corretto valorizzare i passi già fatti a livello legislativo e quelli che si stanno realizzando in ambito privato. Il mercato assicurativo è in continua evoluzione e si propone nel suggerire al sistema dei Fondi sanitari nuove soluzioni aperte all’area dei servizi diretti alla persona e alla più generale attività di presa in carico dei cronici, fragili e non autosufficienti anche grazie a progetti innovativi e di digital health. Molti passi restano da fare, a partire dalla previsione dei cosiddetti livelli di assistenza socio-sanitaria, ma in questo ambito la ricetta del mix tra “pubblico e privato” e tra “sociale e sanitario” risulta particolarmente valida.

Sta emergendo con sempre più forza il welfare aziendale, in cui spesso il benefit sanitario è il più richiesto. Come interpreta questo trend e in che modo può contribuire alla sostenibilità della sanità pubblica?

La crescita del welfare aziendale è espressione di un nuovo approccio imprenditoriale che vede l’azienda al centro delle politiche di benessere del proprio dipendente e della sua famiglia. Sempre di più il welfare aziendale si traduce in una nuova modalità di gestione del lavoro in azienda e si estende oltre i suoi confini originari producendo effetti virtuosi sulla imprenditorialità locale e sul benessere dei territori. Meritano interesse le politiche di welfare di rete e le politiche di welfare territoriale basate sulla sinergia tra regioni, enti locali e aziende. Grande attenzione merita, inoltre, il ruolo della cooperazione sociale e del terzo settore. L’unico rischio da evitare nella pianificazione del welfare aziendale è quello del mancato coordinamento o della sovrapposizione delle coperture e degli strumenti tra welfare contrattuale e welfare di prossimità.

Secondo lei servirebbero riforme strutturali per favorire la diffusione dei fondi sanitari integrativi e la loro azione di supporto alla sanità pubblica?

Più che riforme strutturali occorrerebbero misure di completamento del quadro normativo che puntino alla razionalizzazione e valorizzazione di quanto già esiste. Lavorando su governance, processi e regole di integrazione pubblico-privato sarà infatti possibile rendere la sanità integrativa una leva della più generale politica sanitaria del nostro Paese.

Luigi Ballanti è Direttore Generale del Mefop dal 2000. Laureato all’Università La Sapienza di Roma in Scienze Statistiche ed Economiche, in precedenza ha lavorato al Banco di Spirito Santo e, tra il 1987 e il 2000, a Fondicri Sgr, società di gestione di riferimento per le Casse di Risparmio, dove è arrivato a ricoprire il ruolo di Vice Direttore Generale e responsabile degli investimenti, coordinando le attività dei gestori di portafoglio, trader e analisti.