Un grazie non è mai abbastanza

Il punto di vista di Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

Da sempre diamo priorità alla salute dei manager e i servizi di assistenza sanitaria complementare erogati dal sistema Federmanager, oltre a rappresentare un modello virtuoso, sono in costante crescita. Assidai ha superato ormai i 30 anni di attività, contrassegnati da un incremento continuo del numero degli iscritti, anche dopo i due anni di pandemia che hanno messo a dura prova il sistema Paese.

Il nostro compito, come organizzazione di rappresentanza, è anche quello di affidare la guida degli enti e delle società del sistema federale alle migliori competenze che la categoria manageriale è in grado di esprimere.

Come quelle di Tiziano Neviani, che lascia la presidenza di Assidai e che intendo ringraziare per il valido lavoro svolto.  Con grandi capacità manageriali e umane ha guidato il Fondo per due mandati consecutivi, proprio negli anni in cui è stato avviato un passaggio storico, cominciato nel 2019 con il rinnovo del Ccnl da noi siglato insieme a Confindustria e proseguito con la nascita di IWS, il provider esclusivo di Assidai, che fornisce servizi innovativi per la sanità integrativa.  Neviani lascia un Ente in buona salute, gestito con i principi di solidarietà e mutualità che da sempre contraddistinguono la nostra categoria.

E affida il timone ad Armando Indennimeo, un collega che ha già dato prova, all’interno del nostro sistema, delle profonde doti umane e delle significative competenze che, sicuramente, contribuiranno a un futuro di successo per la sua presidenza di Assidai. Le sfide che il Fondo si pone nei prossimi anni, a tutela della salute dei manager e delle loro famiglie e a garanzia di una sanità sostenibile, sono molte, ma siamo in “mani fidate” e sappiamo con certezza che l’intero sistema federale sarà valorizzato.

Intervista ad Armando Indennimeo, nuovo Presidente di Assidai

Assidai, Indennimeo nuovo Presidente: “La mia sfida: rafforzare ancora il Fondo”

Nominato dall’assemblea del 18 maggio, ha una lunga esperienza in Federmanager e nelle aziende

“Lo spirito con cui affronto questa nuova avventura è raccogliere una sfida: consolidare e rafforzare il posizionamento di Assidai quale principale fondo sanitario integrativo del Fasi”. Sono queste le prime parole di Armando Indennimeo da Presidente di Assidai: a nominarlo, dopo i due mandati di Tiziano Neviani, è stata l’Assemblea dei soci di Assidai (Federmanager e Federmanager Roma), che si è tenuta lo scorso 18 maggio. Nato a Salerno nel 1952 e laureato al Politecnico di Napoli in Ingegneria Elettronica (con specializzazione nelle telecomunicazioni), Indennimeo a livello professionale ha vissuto “due vite parallele”, come gli piace sottolineare. Una legata ai suoi studi, che l’ha visto maturare diverse esperienze di carattere internazionale in ruoli apicali nelle aziende, dove ha sempre dedicato forte attenzione all’innovazione e allo sviluppo, l’altra in Federmanager, una lunga esperienza che compie 30 anni esatti quest’anno. Conosce l’Associazione di categoria in modo molto approfondito, visto che è iscritto dal 1992: è tuttora Presidente di Federmanager Salerno, è stato Consigliere Nazionale e membro della Giunta esecutiva dal 2015 al 2021. “Poi, quando il Presidente Stefano Cuzzilla mi ha chiesto di proseguire il mio impegno in Assidai ho accettato subito”, chiarisce.

Ingegner Indennimeo, ci racconta il suo percorso professionale?

Dopo la laurea lo sbocco naturale è stata la società di telecomunicazioni Telettra del gruppo Fiat, una bellissima esperienza a Vimercate, vicino Milano. Poi mi sono spostato in TeleNorma, della Bosch, che mi ha visto lavorare tra Milano, Francoforte e Parigi. Successivamente, sono tornato nella mia città, Salerno, dove nasceva la Cirte spa, azienda che lavorava esclusivamente per Telecom Italia, e lì sono stato Direttore di stabilimento per 15 anni. In seguito ho maturato varie esperienze nelle energie alternative, creando diverse società e operando all’estero, anche in Cina, cosa che ha rafforzato ulteriormente il mio profilo internazionale. Sono in pensione da un anno e mezzo ma sono rimasto attivo sul campo: svolgo incarichi di consulenza presso realtà aziendali ed enti locali.

Parliamo invece della sua esperienza nell’universo Federmanager?

Parte dalla mia iscrizione, che risale al lontano 1992. A livello territoriale sono stato prima Consigliere e Presidente di Federmanager Salerno, ruolo che ricopro tuttora, un’esperienza molto interessante. Dal 2015 al 2021 sono stato Consigliere nazionale e membro della Giunta esecutiva e, negli stessi anni, sono stato componente dell’Assemblea Fasi. Infine, ho fatto parte del Cda di Industria Welfare Salute Spa (IWS) dal 2019 al 2020. Insomma, esperienze molteplici che mi hanno dato grandi stimoli e ora si completano con il mio impegno in Assidai per il prossimo triennio: sono pronto a mettermi a completa disposizione del Fondo con il massimo impegno, cosa che ho già iniziato a fare nei primi giorni del mio mandato.

Nel suo percorso in Federmanager che percezione ha avuto di Assidai?

Assidai è nato ormai più di 30 anni fa perché il Fasi non copriva completamente le spese mediche. Per questo, ha sempre giocato un ruolo importante che con il Prodotto Unico, di recente, ha avuto una vera e propria consacrazione, anche in relazione a Confindustria. Alla base vi è infatti un’intuizione brillante: si è capito quanto era importante mettere insieme i due Enti per offrire il servizio migliore possibile agli iscritti, cioè un welfare all’altezza dei dirigenti delle aziende industriali. In tutto ciò è fondamentale una profonda conoscenza delle parti sociali e del territorio, per tessere i rapporti nel modo più consono.

Con che spirito affronta il mandato di Presidente Assidai?

Raccolgo una sfida: consolidare e rafforzare il posizionamento di Assidai quale principale Fondo sanitario integrativo del Fasi. Per farlo bisogna agire su vari fronti. Innanzitutto spingendo ancora il Prodotto Unico Fasi-Assidai: qui giocano evidentemente un ruolo le decisioni delle parti sociali ma un evoluzione del nuovo contratto, nel 2023, potrebbe dare ulteriore impulso. Un altro aspetto su cui lavorare è quello dell’ottimizzazione delle coperture sanitarie. Inoltre, va migliorata la nostra capacità di ascolto e comunicazione verso gli stakeholder così come la percezione e la riconoscibilità di Assidai come brand forte del mercato delle coperture sanitarie integrative. Ultimo ma non ultimo: bisogna fare sistema insieme a Fasi e IWS, efficientando i costi e migliorando ulteriormente il livello dei servizi.

Si tratta sicuramente di obiettivi importanti e ambiziosi, quale sarà il suo approccio sul campo per raggiungerli?

Affronterò questa nuova sfida trasferendo i valori basilari che contraddistinguono la mia attività professionale in tutte le azioni che intraprenderò nel prossimo triennio per proporre modelli innovativi secondo la migliore cultura d’impresa. Inoltre, ritengo fondamentale implementare nuove sinergie con gli altri Enti del sistema e con le Associazioni Territoriali Federmanager per ottimizzare i processi operativi e aumentare il livello dei servizi offerti agli assistiti e alle imprese.

Che ruolo ha, a suo parere, la sanità integrativa alla luce delle attuali dinamiche del Servizio Sanitario Nazionale?

Abbiamo visto come la sanità pubblica, per quanto si distingua ancora a livello mondiale per equità e universalità, abbia sempre più difficoltà a soddisfare i bisogni del cittadino. Da qui l’importanza della complementarietà sistema pubblico-privato, che sosteniamo da sempre e che varrà soprattutto per il futuro. I giovani fanno fatica a pensare a certe cose, per questo noi sui territori cerchiamo sempre di stimolarli con input preziosi sul tema. Su questo serve, tuttavia, anche il contributo dei decision maker a livello aziendale. Ormai un manager cambia società più frequentemente rispetto al passato e servono dei punti fermi nel proprio percorso professionale: uno di questi è la sanità integrativa.


Assidai – rinnovati Cda e Sindaci per il mandato 2022-2025

Nel board confermati Marchi e Picutti, entrano come nuovi consiglieri Flussi e Sorli

Si rinnovano il Consiglio di amministrazione e il Collegio sindacale di Assidai. A deciderlo, con la scadenza naturale del mandato dei due organi, è stata l’Assemblea dei soci del Fondo, che si è svolta lo scorso 22 maggio. Ad essa, infatti, secondo lo statuto di Assidai, spetta la nomina del Consiglio di amministrazione e del Collegio sindacale, oltre che dei rispettivi presidenti.

Dopo i sei anni (ovvero due mandati) di Tiziano Neviani, il nuovo Presidente di Assidai è Armando Indennimeo che, come gli altri Consiglieri, sarà in carica per il triennio 2022-2025. Nel dettaglio, il board – oltre allo stesso Indennimeo – ha visto l’ingresso di Luciano Flussi e Gabriele Sorli e la riconferma di Mauro Marchi e Barbara Picutti. Per quanto riguarda, invece, il Collegio sindacale il neo Sindaco Gustavo Troisi è stato nominato Presidente; è stato confermato Paolo Grasso, già Sindaco nel precedente triennio, mentre fa il suo ingresso come nuovo componente Pietro Giomi.

organi sociali assidai mandato 2022 2025

Covid e diabete, una relazione pericolosa

La Società italiana di diabetologia studia i possibili legami tra le due pandemie: ecco i primi risultati

L’Italia è stato il primo Paese occidentale raggiunto dall’epidemia di Covid-19 e i ricercatori hanno subito evidenziato l’associazione tra diabete e rischio di sviluppare Covid-19 grave. Già a fine marzo 2020, per esempio, veniva pubblicato il primo report che mostrava come le persone affette da diabete presentassero una probabilità raddoppiata di decesso da Coronavirus. Nonostante le analisi statistiche già effettuate sui database di Veneto e Sicilia è invece ancora difficile stabilire con esattezza se le persone con diabete presentivo un rischio maggiore di contrarre il virus.

Molto attiva su questo fronte, negli ultimi due anni, è stata la Società italiana di Diabetologia (Sid), presieduta da Agostino Consoli, che ha contribuito in maniera significativa ad approfondire le relazioni tra diabete e Covid-19, due vere e proprie pandemie, una conosciuta e non trasmissibile, l’altra infettiva e comparsa purtroppo sulla scena nel 2020.

relazione covid diabeteUn altro tema chiave sono stati i possibili effetti negativi del confinamento domiciliare sul compenso glicemico dei pazienti con diabete. Per fortuna, è stato osservato come il lockdown non abbia influito negativamente sul controllo glicemico nei pazienti affetti da diabete tipo 1. Al contrario, questi pazienti hanno presentato significativi miglioramenti, forse grazie al maggior tempo disponibile per dedicarsi alla gestione della malattia. Grazie all’uso diffuso di tecnologie per il monitoraggio glicemico, soprattutto nel diabete tipo 1, è stato possibile monitorare i pazienti a distanza: l’improvvisa accelerazione nell’adozione degli strumenti di telemedicina ha avuto risvolti positivi in ambito di ricerca e assistenza diabetologica.

L’analisi di diverse casistiche italiane ha permesso di dimostrare come, anche durante le fasi di lockdown in cui i pazienti non potevano fisicamente accedere ai servizi ambulatoriali, sia stato possibile erogare l’assistenza in remoto, garantendo almeno la metà delle prestazioni, con particolare attenzione ai pazienti fragili: le donne con diabete gestazionale e quelli con complicanze acute come il piede diabetico.

La ricerca italiana si è cimentata anche sui meccanismi immunologici di risposta all’infezione e circa la possibilità che il nuovo coronavirus aggredisca le beta cellule pancreatiche, conducendo allo sviluppo del diabete. In particolare, si guarda proprio alle conseguenze a lungo termine dei due anni di pandemia, rivolgendo l’attenzione non solo a coloro che sono guariti dal Covid 19, ma anche alle ricadute “di sistema” sulla popolazione. Si studia infatti la possibilità che la pandemia abbia impresso un’accelerazione alla crescita del diabete nel nostro Paese, non solo per la possibilità che il coronavirus distrugga le cellule che producono insulina ma anche per l’adozione di stili di vita poco sani. In parallelo, sta ricevendo grande attenzione l’ipotesi che le persone con diabete siano maggiormente a rischio di sviluppare il “Long Covid”, una condizione caratterizzata da sintomi persistenti dopo la guarigione e che, in molti casi, possono confondersi con le complicanze croniche del diabete.

Intervista al Professor Nicola Fazio (IEO), esperto internazionale di tumori neuroendocrini

“Tumori neuroendocrini, occorre conoscerli a fondo per poterli curare al meglio”

Intervista al Professor Nicola Fazio (IEO), esperto internazionale di questo cancro raro

“Non è possibile definire la prognosi di un paziente o stabilire quali saranno le cure sapendo solo che si tratta di un tumore neuroendocrino. Bisogna caratterizzare bene il tumore, definendone i vari aspetti e personalizzando il trattamento. Questa è la premessa alla base di qualsiasi ragionamento sui tumori neuroendocrini. Ed è auspicabile che ciò avvenga in un contesto dedicato alla patologia in questione.” Parola del Professor Nicola Fazio, Direttore della Divisione di Oncologia medica gastrointestinale e tumori neuroendocrini allo IEO – Istituto Europeo di Oncologia di Milano, e tra i principali esperti internazionali di questa forma di cancro raro. “Bisogna stare attenti a non cadere in luoghi comuni, non è vero, ad esempio, che siano sempre tumori indolenti o che non necessitino mai di chemioterapia; allo stesso tempo è vero che molti pazienti possono convivere a lungo con tumori neuroendocrini metastatici curandosi con varie terapie”, aggiunge Fazio.

Professor Fazio, ci può spiegare meglio questa patologia?

Sono un gruppo relativamente raro di tumori maligni che nascono dalle cellule neuroendocrine che sono sparse ovunque nel nostro organismo. è intuibile quindi che possano svilupparsi in molti organi. Il comportamento dei tumori neuroendocrini è molto vario: da lentissimi a velocissimi, e rispondono diversamente alle terapie.

Quali sono i principali sintomi dei tumori neuroendocrini gastroenteropancreatici?

I tumori neuroendocrini possono essere scoperti a causa di qualche sintomo, per lo più aspecifico, che porta a fare degli accertamenti. Purtroppo, non esiste un vero e proprio campanello d’allarme che possa con ragionevole certezza far diagnosticare un tumore neuroendocrino in fase iniziale. Anzi, molte volte si parla di piccoli tumori neuroendocrini (meno di 2 cm) scoperti senza alcun sintomo, in genere nel pancreas, nel retto o nello stomaco, mentre ci si sottopone a esami per altre ragioni. Purtroppo, la diagnosi cosiddetta “incidentale”, cioè posta in assenza di qualsiasi sintomo, può riguardare anche un tumore neuroendocrino che è cresciuto molto e ha dato metastasi, senza aver mai dato segno di sé.

Quanto è diffusa questa tipologia di tumore in Italia?

I dati epidemiologici ufficiali italiani dell’AIRTUM, l’Associazione italiana registro tumori, sono riferiti al 2015. Venivano stimati circa 2700 nuovi casi di pazienti con tumore neuroendocrino: siamo nel gruppo dei tumori rari, per quanto l’incidenza sia in aumento nel corso degli ultimi vent’anni. La fascia di età più colpita è quella oltre i 65 anni.

Che tipo di cure si attuano contro questo tipo di tumori e quali sono le speranze di guarigione soprattutto a fronte di una diagnosi precoce? 

Un tumore neuroendocrino a basso grado di malignità, ossia a diffusione relativamente lenta, diagnosticato precocemente può essere asportato chirurgicamente e il paziente ha buone probabilità di guarigione. D’altro canto, anche quando il tumore è avanzato, ha dato metastasi e non è asportabile chirurgicamente in maniera radicale, con le cure mediche continuative, come le cure ormonali, farmaci mirati su alcuni bersagli molecolari, radioterapie mirate ai recettori della somatostatina e chemioterapia, il paziente può convivere bene e a lungo con la malattia e le terapie. Questo messaggio è particolarmente importante: c’è la possibilità di curarsi, anche per chi ha perso l’attimo dell’intervento chirurgico. In quel caso l’obiettivo delle cure è di permettere al paziente di vivere, piuttosto che di sopravvivere, portando avanti attivamente la sua vita personale, professionale, coniugale e relazionale.

Biografia Professor Nicola Fazio

58 anni, laureato in Medicina e Chirurgia, si è specializzato in Medicina Interna e Oncologia, Dottore di ricerca in Oncologia Digestiva presso l’Università La Sapienza di Roma. Attualmente è Direttore della Divisione di Oncologia Medica Gastrointestinale e Tumori Neuroendocrini e Direttore del Programma Tumori Digestivi e Neuroendocrini presso l’istituto Europeo di Oncologia di Milano (IEO), dove lavora dal 1995.

“Sei anni intensi da Presidente. Lascio Assidai in buona salute”

Dopo due mandati e la dura prova della pandemia Tiziano Neviani saluta gli iscritti

Dopo due mandati come Presidente, penso di poter dire che lascio Assidai in buona salute, guardando i numeri del Fondo e la crescita degli iscritti. Sono stati sei anni intensi, inframmezzati dalla pandemia: quest’ultima ha messo a dura prova tutto il Paese e anche la nostra struttura che tuttavia ha retto, continuando a offrire servizi e coperture agli iscritti anche in pieno lockdown. Del resto, ci tengo a ricordarlo, Assidai, è un Fondo di assistenza sanitaria gestito con i più sani principi di mutualità e solidarietà: non prevede nel proprio Statuto e Regolamento alcuna esclusione del rischio pandemia e, dunque, tutte le garanzie previste dai Piani Sanitari sono completamente operanti anche a seguito di una diagnosi di Covid-19.

Sotto la mia presidenza, Assidai ha apportato importanti cambiamenti anche in merito ai partner assicurativi a cui ricorriamo per l’adempimento dei nostri scopi istituzionali. Dal 2018 abbiamo scelto quanto di meglio offerto dal settore attraverso Allianz e Generali, rispettivamente leader mondiale e italiana del mercato assicurativo. Nel 2021 in collaborazione con Federmanager abbiamo intrapreso un passaggio fondamentale e per certi versi storico:  in linea con l’impostazione strategica e  innovativa prevista dall’ultimo rinnovo del CCNL Dirigenti Industria, siglato da Confindustria e Federmanager nel luglio 2019, Industria Welfare Salute (IWS) è divenuto il provider esclusivo del Fondo perché raffigura una realtà nuova nel panorama della sanità integrativa italiana, rappresentando un progetto condiviso da Confindustria e Federmanager insieme al Fasi. L’obiettivo di IWS è quello di proporsi come società di sistema al servizio di Fondi e Casse Sanitarie, Assidai e Fasi in primis, fornendo servizi innovativi nel campo della sanità integrativa e delle tutele per la non autosufficienza. Un cambiamento importante, che sancisce una forte partnership tra Fasi e Assidai e che gradualmente sta dando i suoi frutti, permettendoci di offrire nuove soluzioni alle aziende industriali italiane, gestire un cospicuo patrimonio d’informazioni e offrire servizi sempre più soddisfacenti agli iscritti. Inoltre, vorrei ricordare gli investimenti importanti sul digitale, che hanno visto nel corso degli anni un grande lavoro sul sito assidai.it, il raggiungimento di una maggiore efficienza dei sistemi informativi sul gestionale e sull’area riservata dedicata a iscritti e aziende, lo sviluppo sui social network e molto altro ancora.

Ad Assidai ho dedicato sei anni della mia vita e vi ho trovato ottimi collaboratori a tutti i livelli: grandi lavoratori capaci anche di gestire i rapporti umani. Non posso dunque che conservare un grande affetto, nella mente e nel cuore, verso tutti loro, a partire dal Direttore Generale Marco Rossetti. Non nascondo di lasciare con un po’ di tristezza, visto che ero molto affezionato ad Assidai, ma sono ben consapevole che le regole, da me condivise a pieno, prevedono al massimo due mandati. Una cosa, però, è sicura: per quello che ho vissuto continuerò a dedicare particolare attenzione e supporto ad Assidai nel ruolo di membro di Giunta Federmanager.

Per concludere, un sentito e doveroso ringraziamento agli iscritti e alla struttura per questi sei anni che non dimenticherò e un augurio di buon lavoro al nuovo Presidente e al nuovo Cda.

Intervista al Professor Martini, Professore Onorario di Otorinolaringoiatria dell’Università degli Studi di Padova

“Prevenzione e screening fattori chiave”

Intervista al Professor Martini, grande esperto italiano sulla sordità: “L’esposizione a rumori di intensità elevata è prima causa di problemi uditivi”.

“Al di là dei fattori genetici o infettivi, l’esposizione a rumori di intensità elevata è la principale causa dei problemi legati alla funzione uditiva”. A dirlo è il Professor Alessandro Martini, già Ordinario di Otorinolaringoiatria dell’Università degli Studi di Padova e uno dei principali esperti in questo campo. Al proposito, continua, “vorrei citare una tesi di dottorato all’Università di Anversa, incentrata sull’acufene indotto da rumore negli adolescenti e pubblicata su riviste di peso internazionale”. Laddove l’acufene, va ricordato, è la percezione di un rumore avvertito nelle orecchie o nella testa in assenza di uno stimolo acustico esterno.

Come si è svolta questa ricerca e con che risultati? Quanto pesa, in generale, l’esposizione a musica a volumi elevati?

Su un campione di 4 mila studenti tra i 14 e i 17 anni il 18,3% aveva un acufene permanente e di intensità importante. Il 30% di loro suonava strumenti musicali e il 60% usava riproduttori musicali. Praticamente tutti andavano a concerti o discoteche, dove il 70% di loro trovava il livello di rumore adeguato e l’80% non utilizzava protettori acustici. Il risultato di tutto ciò erano lesioni alle cellule cigliate dell’orecchio interno anche se l’esame audiometrico classico risultava normale. Chi ha questi danni oggi, a 40 anni manifesterà difficoltà uditive, magari al lavoro negli open space. è questo il senso dell’ultimo allarme lanciato dall’Oms. Per questo serve un’adeguata prevenzione.

Quale dovrebbe essere un percorso di prevenzione corretto?

Occorrono lo screening neonatale, e quello scolastico. Poi è molto importante quello in età avanzata, visti i forti legami tra sordità o ipoacusia e deficit cognitivo, con il rischio di Alzheimer che aumenta anche di cinque volte. La stessa ipoacusia, secondo gli esperti, è la prima causa di demenza. Infine, per i 40-50 enni il discorso è semplice: alla comparsa del minimo fastidio come necessità di farsi ripetere le cose dette, bisogna farsi immediatamente visitare ed è importante un esame audiometrico accurato, possibilmente utilizzando le parole oltre ai suoni. La maggior parte dei problemi uditivi si risolve con una terapia medica, anche perché l’acufene può avere altre cause, ad esempio un disturbo mandibolare. Se invece il danno è nell’organo sensoriale bisogna intervenire con urgenza; in caso di problemi del timpano o degli ossicini si può intervenire anche chirurgicamente; solo nel caso di difficoltà uditive importanti si ri- corre a un apparecchio acustico.

Qual è invece il peso della genetica nei problemi di udito?

Vanno distinte due situazioni: alcuni geni sono causa di sordità anche grave già alla nascita e quindi è essenziale venga effettuato uno screening della funzione uditiva a tutti i neonati perché bisogna agire con tempestività per evitare problemi di sviluppo del linguaggio; successivamente molti geni giocano un ruolo di predisposizione sia all’esposizione ai rumori, sia all’invecchiamento.

Alessandro Martini è Professore Onorario di Otorinolaringoiatria dell’Università degli Studi di Padova, già direttore del dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Padova. È considerato uno dei principali esperti italiani sulla genetica della sordità e conta oltre 400 pubblicazioni.

L’Oms lancia l’allarme globale sull’udito: i giovani a rischio sono più di 1 miliardo

I deficit uditivi portano conseguenze negative su istruzione e mondo del lavoro

Oltre 1 miliardo di persone nel mondo di età compresa tra i 12 e i 35 anni rischia di perdere l’udito a causa dell’esposizione prolungata a musica e ad altri suoni ad alto volume. A lanciare l’allarme, in occasione della Giornata mondiale dell’udito tenutasi lo scorso 3 marzo, è stata l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) che ha anche evidenziato come i deficit uditivi comportano conseguenze sull’istruzione e sul mondo del lavoro, riducendo notevolmente le prospettive di occupazione. Si tratta, insomma, di una questione urgente che riguarda tutto il pianeta: un’emergenza che va affrontata il prima possibile con una serie di misure di intervento e prevenzione.

I numeri parlano chiaro: oggi circa il 5% della popolazione mondiale convive con una perdita uditiva, in Italia si parla di circa 7 milioni di persone, ovvero il 12% del Paese. Solo un italiano su 3 (per la precisione il 31%) ha effettuato un controllo dell’udito negli ultimi 5 anni, mentre il 54% non l’ha mai fatto. Inoltre, soltanto il 25% di coloro che potrebbero averne beneficio utilizza l’apparecchio acustico, nonostante l’87% di chi ne fa uso dichiari migliorata la propria qualità di vita.

A fronte di questa situazione l’Oms ha prodotto sei raccomandazioni chiave, rivolte ai gestori di attività, per evitare che i problemi di udito possano diventare ancora più diffusi e gravi. Innanzitutto, non superare mai un livello sonoro medio massimo di 100 decibel e monitorare in tempo reale i livelli sonori mediante apparecchiature opportunamente calibrate. Altri aspetti cruciali sono l’ottimizzazione dell’acustica del locale e dei sistemi audio e la messa a disposizione al pubblico di dispositivi di protezione personale dell’udito. Inoltre, vanno garantite la possibilità di accesso a zone tranquille per far riposare le orecchie e la formazione del personale.

Alle singole persone, infine, l’Oms consiglia di mantenere basso il volume dei dispositivi audio personali, di utilizzare cuffie o auricolari ben adattati e, se possibile, in grado di eliminare il rumore, di indossare i tappi per le orecchie nei luoghi rumorosi e di sottoporsi a regolari controlli dell’udito.

Salute e occupazione in primo piano

Il punto di vista di Stefano Cuzzilla, Presidente Federmanager

Attribuiamo da sempre rilevanza primaria alla salute dei manager, anche nell’ambito delle nostre attività finalizzate a rispondere alle difficoltà occupazionali che vengono avvertite.

In Italia rileviamo circa 10 mila manager inoccupati, pur essendo alta la domanda di managerialità qualificata, come testimonia un dato: il 48,4% delle aziende trova difficile reperire le competenze manageriali di cui ha bisogno. Questo mismatch deve essere colmato. Ecco perché attraverso 4.Manager, da noi costituita con Confindustria, abbiamo lanciato “Rinascita manageriale”: un progetto che prevede lo stanziamento di 4 milioni di euro per sostenere imprese che ingaggino un manager inoccupato, sotto forma di rimborso spese per le fasi di assessment delle esigenze aziendali e di ricerca e selezione del personale.

Le assunzioni dovranno interessare quattro settori strategici: innovazione e digitalizzazione, sostenibilità, organizzazione del lavoro post-Covid ed export. Una particolarità del progetto è che, oltre ai rimborsi spese previsti (fino a 30 mila euro per un manager assunto a tempo indeterminato e fino a 15 mila per un manager assunto a tempo determinato o con contratto senza vincolo di subordinazione), alle aziende beneficiarie offriamo anche percorsi formativi, informazioni su incentivi pubblici e il rimborso per un anno della quota per l’assistenza sanitaria Fasi del dirigente (prolungato a due, se il manager è donna).

Un segnale importante che testimonia, una volta di più, la nostra attenzione al welfare, con particolare riguardo per la salute che è il bene più prezioso.

Bocconi: “Anche i giovani attenti alla LTC”

L’Osservatorio Cergas rivela che più di uno su due è pronto a organizzarsi in anticipo per far fronte al rischio di non autosufficienza, ma il sistema delle Rsa continua a vivere difficoltà.

Il rischio di non autosufficienza inizia a essere preso in considerazione già da giovani e organizzarsi per tempo diventa sempre più una priorità. È quanto emerge dalla quarta edizione del Rapporto Osservatorio Long Term Care del Cergas-Bocconi: un appuntamento fisso, ormai, che tuttavia questa volta ha coinvolto anche soggetti giovani, con un’età media di 37 anni, per studiare la loro percezione di questi temi e del settore Long Term Care.

I risultati? Il 54% del campione esaminato è pronto a organizzarsi in anticipo per far fronte al rischio di non autosufficienza e ad adottare misure di prevenzione. Punti di riferimento per tutto ciò sono il mondo della sanità e il passaparola. Un cambiamento di prospettiva e di atteggiamento degli italiani che, dal punto di vista organizzativo – sottolineano gli autori dello studio – dovrebbe essere da stimolo per iniziare a pensare a servizi di prevenzione e di ingaggio precoce capaci sia di rispondere a questi nuovi bisogni delle persone, sia di alleggerire il sistema di welfare pubblico e di dare maggiore spazio di mercato al settore privato.

long term care bocconi giovani

Il Rapporto, inoltre, scatta la consueta fotografia del settore dell’assistenza agli anziani in Italia e mette in luce la scarsità di figure centrali nella cura e nell’assistenza. Nelle Rsa del nostro Paese – si aggiunge – mancano infatti all’appello il 26% degli infermieri, il 18% dei medici e il 13% degli operatori socio sanitari a causa di una carenza strutturale di figure professionali e di una competizione tra settore sanitario e socio-sanitario nell’attrarre nuove leve. Ciò rischia di tradursi in una possibile compromissione dei servizi e della crescita del settore. Inoltre, il 100% dei gestori delle Rsa esaminate dichiara di vivere una situazione critica nella gestione delle persone già impiegate a causa della carenza di personale a livello italiano (94%), della motivazione (56%) e dei casi di esaurimento emotivo (38%).

I soggetti promotori del Rapporto sottolineano infine che ci sono alcune direttrici su cui è importante muoversi per garantire un’assistenza efficace a coloro che ne hanno bisogno e per alleggerire la pressione sul settore Long Term Care. Tutto ciò testimonia la necessità di ripensare e supportare il sistema e, in questo senso, è importante anche il ricorso da parte dei gestori a partner di valore che possano supportarli nella gestione di costi-consumi e servizi.

Lo Stato torna protagonista ma servirà un aiuto

Il rapporto sul secondo welfare: “Aziende e terzo settore cruciali per ripartire dopo la pandemia”

Nell’era pandemica lo Stato sembra tornato protagonista dell’arena del welfare, mettendo in campo risorse e competenze tali da tirare a sé le fila di ambiti di intervento che per anni erano rimasti ai margini della sua azione. Al contempo, tuttavia, appare chiaro che gli attori del secondo welfare – come aziende, fondazioni, sindacati, associazioni datoriali, consorzi, enti non profit e gruppi informali di cittadini – sono diventati sempre più importanti per rispondere a rischi e bisogni sociali.

È questo, in estrema sintesi, il quadro che emerge dal Quinto Rapporto sul secondo welfare, intitolato “Il ritorno dello Stato sociale? Mercato, Terzo Settore e comunità oltre la pandemia”, presentato recentemente da Percorsi di secondo welfare, Laboratorio di ricerca legato al Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano. L’edizione di quest’anno cade in un momento cruciale per il Paese, in cui “la pandemia sta cambiando nel profondo gli assetti del welfare italiano”, si osserva. In altre parole, “la diffusione del Covid ha rafforzato diversi problemi strutturali del nostro Stato sociale, ha imposto sfide che richiedono risposte sempre più complesse e, apparentemente, ha mutato le dinamiche che da circa un decennio caratterizzano i rapporti tra pubblico e privati”. Anche per questo, si aggiunge, “solo grazie a un’azione sinergica con gli attori del secondo welfare il pubblico sarà in grado di sostenere questo rinnovato ruolo e reggere l’urto della pandemia”.

In particolare, proprio il secondo welfare “ha consentito e promosso un riposizionamento dei confini del welfare tra pubblico e privato, da una parte, e nazionale-locale, dall’altra”, laddove sul primo fronte – si legge nel rapporto – “particolarmente rilevanti sono stati ad esempio l’attività dei fondi sanitari integrativi e le nuove opportunità di sviluppo del welfare aziendale promosse dai contratti collettivi nazionali”.

L’Italia e i principali Paesi europei, con sistemi di welfare inclusivi e generosi, sostenuti rapidamente e a più riprese da interventi straordinari rivolti alle categorie più vulnerabili, – conclude lo studio – sembrano aver retto l’urto della crisi pandemica meglio di altre parti del mondo. Tuttavia, nel mentre, è apparso più chiaro che il modello europeo necessita di essere rinnovato: i rischi tradizionali (in primis la vecchiaia, una lunga fase di vita che dai 65 anni si estende fino oltre gli 85 anni per un numero crescente di persone) non generano più, automaticamente, bisogni, mentre quelli collegati ai nuovi rischi di salute pubblica, alle nuove vulnerabilità o quelli derivanti dalla transizione climatica e tecnologica non sono ancora adeguatamente protetti.

Secondo lo studio sono stati particolarmente rilevanti l’attività dei fondi sanitari integrativi e le nuove opportunità di sviluppo del welfare aziendale promosse dai contratti collettivi nazionali.

Anche il welfare aziendale è pronto a ripartire

Dopo la pandemia il welfare aziendale è pronto a ripartire. Il Quinto Rapporto sul secondo welfare sottolinea come “l’attenzione delle imprese, delle parti sociali e dei decisori pubblici verso il welfare aziendale rimane elevata”, anche se “la crisi economica e produttiva connessa con il Covid ha portato ad una progressiva riduzione nella contrattazione di misure e benefit”. Tuttavia, secondo gli autori dello studio, si tratta di una “parentesi temporanea” e nel corso dei prossimi anni “l’intervento delle imprese tornerà a crescere”.

ripartenza welfare aziendale

Come già mostrato dalla crisi economica iniziata nel 2008, infatti, il welfare aziendale è uno strumento che tende a diffondersi soprattutto a seguito di momenti di difficoltà, in particolare per il fatto che si tratta di interventi che hanno un vantaggio sia per l’impresa (in termini fiscali) sia per i lavoratori (in termini economici e di benessere). È quindi plausibile – si conclude – che, al termine della crisi pandemica, nel corso dei prossimi mesi, assisteremo ad un rinnovato sviluppo di questa materia a livello contrattuale e non. Inoltre, “il welfare aziendale tenderà a rafforzare il suo ruolo di supporto del sistema di welfare pubblico”.