I nuovi Lea alla stretta finale

Sarebbe in dirittura d’arrivo la lista dei nuovi Lea, i Livelli essenziali di assistenza che rappresentano un architrave del Servizio Sanitario Nazionale Italiano, e fino a qualche settimana fa rischiavano un ulteriore rinvio. A occuparsi del tema in modo approfondito, nelle scorse settimane, è stato Il Sole 24 Ore. Prima, infatti, il quotidiano ha sottolineato come il nodo principale fosse rappresentato dalle nuove tariffe della sanità pubblica su visite ed esami. Tariffe che risultavano inapplicabili e non sostenibili – facevano notare gli esperti – per chi lavora con il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) visto che solo le visite specialistiche calano dai 23 ai 18 euro mentre per risonanze, tac e diagnostica per immagini il crollo è fino al 35%. Di qui il forte rischio di nuovi ritardi, con un rinvio a luglio o addirittura a fine anno del nuovo tariffario della specialistica ambulatoriale. Successivamente, lo stesso Sole 24 Ore ha rivelato il piano a cui sta lavorando il Governo per rispettare le scadenze fissate. Si tratta di una soluzione ponte: per qualche settimana sarà ancora utilizzato il vecchio tariffario per tutte le prestazioni prescritte entro il 31 marzo; successivamente saranno effettuati aumenti su misura per le prestazioni che prevedono tariffe troppo basse e non sostenibili: dalla semplice visita (rimborsata con soli 22 euro) agli interventi di cataratta. Così, con la progressiva revisione delle tariffe, potrebbero finalmente prendere piede nuove prestazioni a carico del Servizio Sanitario Nazionale come la procreazione assistita, nuovi test genetici e terapie oncologiche all’avanguardia, attese dagli italiani da molto tempo.  

 

Che cosa sono i Lea 

Ma andiamo con ordine. Che cosa sono i Lea? Sono le prestazioni e i servizi che il Servizio Sanitario Nazionale deve fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (il cosiddetto ticket), utilizzando le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale. È evidente come i Lea rappresentino dunque un caposaldo della nostra sanità, praticamente unica al mondo per equità e universalità. Del resto, a tal proposito, l’articolo 32 della nostra costituzione parla chiaro: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Tutto ciò rappresenta un punto di forza per il nostro Paese ma, in ottica futura, anche un possibile elemento di debolezza vista la dinamica di invecchiamento della popolazione e l’aumento della spesa pubblica per la sanità. Per questo, secondo gli esperti, diventa sempre più importante affrontare la questione centrale, quanto delicata, della relazione tra il Servizio Sanitario Nazionale e i Fondi Sanitari, così come la loro regolamentazione, al fine di mantenere gli attuali standard. Una posizione fermamente condivisa da Assidai – Fondo di Assistenza Sanitaria Integrativa Dirigenti Aziende Industriali – che, in quest’ottica, offre dal 1990 il proprio contributo al sistema Federmanager e al Paese ed è a completa disposizione delle Istituzioni per portare in evidenza il proprio modello di gestione e di governance. 

 

Come nascono i ritardi dei nuovi Lea 

Da dove nascono i ritardi nell’applicazione dei nuovi Lea? Nel 2017, i Livelli essenziali di assistenza hanno visto una ridefinizione del loro perimetro, che ad oggi non è ancora efficace. Il motivo? Mancava un decreto che definisse le nuove tariffe dell’assistenza specialistica ambulatoriale e protesica. Decreto che è arrivato l’anno scorso – un passaggio importantissimo, lo aveva definito il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, perché l’obiettivo è “garantire a tutti i cittadini le stesse nuove prestazioni, superando dunque le diseguaglianze tra le Regioni” – fissando precisi obiettivi. Ovvero l’applicazione dei nuovi Lea, che prevedono 2108 prestazioni rispetto alle 1702 della versione precedente (che risale al 1996), avrebbe dovuto rispettare due tempistiche distinte: dal primo gennaio 2024 sarebbero dovute entrare in vigore le tariffe della nuova assistenza specialistica ambulatoriale e dal primo aprile 2024 quelle dell’assistenza protesica.  Da qui il rischio concreto di un nuovo slittamento, che tuttavia i correttivi d’urgenza allo studio del Governo dovrebbero scongiurare.  

 

Un’alleanza pubblico-privato per migliorare la sanità 

Il nodo dei nuovi Lea e delle relative tariffe chiama inevitabilmente in causa un tema molto più ampio che riguarda la sostenibilità finanziaria, presente e soprattutto futura, del Servizio Sanitario Nazionale così come è oggi, cioè unico al mondo per le caratteristiche di equità e universalità. La dinamica di invecchiamento della popolazione e il relativo aumento della spesa pubblica per la sanità, secondo gli esperti, rendono questa missione sempre più difficile, chiamando in causa una collaborazione tra pubblico e privato. Non è un caso che il Patto per la Salute 2019-2021, oltre a registrare la volontà di Governo e Regioni sull’implementazione dei nuovi Lea, affrontava anche il tema dei fondi sanitari integrativi. Sul tema, sempre Governo e Regioni avevano deciso di “istituire un gruppo di lavoro con una rappresentanza paritetica delle Regioni rispetto a quella dei Ministeri, che, entro sei mesi dalla sottoscrizione del patto”, concludesse “una proposta di provvedimento volta all’ammodernamento e alla revisione della normativa sui fondi sanitari ai sensi dell’articolo 9 del Dlgs 502/1992, e sugli altri enti e fondi aventi finalità assistenziali”. Ciò al fine di “tutelare l’appropriatezza dell’offerta assistenziale in coerenza con la normativa nazionale, di favorire la trasparenza del settore, di potenziare il sistema di vigilanza, con l‘obiettivo di aumentare l’efficienza complessiva del settore a beneficio dell’intera della popolazione e garantire un’effettiva integrazione dei fondi con il Servizio Sanitario Nazionale”, procedendo al contempo ad “un’analisi degli oneri a carico della finanza pubblica”. 

Tutto ciò, sempre nell’ottica di una maggiore integrazione tra pubblico e privato, ha portato a iniziative come l’Anagrafe dei Fondi o come il recente “cruscotto delle prestazioni”, ovvero un’iniziativa che punta a raccogliere dati sulle fasce di popolazione effettivamente coperte dal sistema di sanità integrativa e sulle modalità e livelli di accesso al sistema, ponendo le basi per l’introduzione di un codice univoco di classificazione delle prestazioni tra primo e secondo pilastro, al fine di valorizzare il rapporto funzionale che è alla base del nostro sistema sussidiario di sanità.  

L’obiettivo, più in generale, è integrare il pubblico col privato per garantire al primo la sostenibilità di lungo periodo, sempre in un’ottica di complementarità. Per fare ciò e per “dialogare” pubblico e privato devono interagire in modo da mettere a fuoco le effettive richieste di cura della popolazione e la loro evoluzione e da creare una reale sinergia che possa affrontare e risolvere i bisogni del Paese guadagnando in efficienza e diminuendo i tempi di attesa senza perdere la qualità.   

Il benefit più ambito? Il tempo libero

Oltre ai benefit, il tempo libero. La nuova frontiera del welfare aziendale è offrirne di più alle lavoratrici e ai lavoratori, anche perché arriva proprio da loro la richiesta di avere sempre più tempo da dedicare alla vita privata, ovvero alla famiglia e agli interessi personali. Non è un mistero che, già da alcuni anni, con la diffusione dei nuovi contratti integrativi aziendali, il personale dipendente stia diventando sempre più parte attiva della scelta tra lavoro e tempo libero, arrivando a “barattare” giorni liberi in cambio di una busta paga più leggera. Tuttavia, quanto sta prendendo corpo più di recente è un trend ancora più rilevante, con l’inserimento della riduzione dell’orario di lavoro nel ventaglio del welfare aziendale e nella contrattazione di primo e secondo livello.

 

Giovani e tempo libero

Stando a una ricerca del gruppo internazionale di recruiting Pagegroup, citata da un articolo del Sole 24 Ore, su un campione di 70mila professionisti a livello globale, Italia inclusa, il 70% ritiene che l’equilibrio tra lavoro e vita privata sia uno dei principali indici di soddisfazione lavorativa. È il cosiddetto “work life balance”, uno dei perni del concetto di welfare aziendale, considerato sempre più centrale nella nuova impostazione dei rapporti tra dipendente e impresa. Per quanto riguarda il nostro Paese, il Censis ha evidenziato che il 76,2% dei giovani sono convinti che un impegno aggiuntivo di un’ora di lavoro debba avere un compenso tale da giustificare la rinuncia anche a un’ora di tempo libero. Insomma, il tempo entra sempre più nella sfera valoriale delle lavoratrici e dei lavoratori, ma anche in quella economica.

 

I contratti di categoria

Passiamo a degli esempi concreti. Un tema chiave, ricorda Il Sole 24 Ore, è quello della contrattazione, sia di primo sia di secondo livello, che rivela perfettamente le dinamiche in atto sul mercato. La riduzione oraria è entrata nell’ultimo negoziato dell’industria del legno-arredo, dove però il tema è uscito dal tavolo poco prima della firma del nuovo contratto. Ora se ne parla per l’alimentare e, con buona probabilità, per il contratto delle telecomunicazioni, dove le assemblee dei lavoratori hanno approvato una piattaforma che va verso la riduzione oraria. Per quanto riguarda la metalmeccanica, i sindacati hanno diffuso un questionario tra le persone iscritte su questo tema che sarà nella loro piattaforma. Tuttavia, l’unica mossa effettivamente andata a segno è stata quella dei bancari che, nell’ultimo contratto Abi, hanno concordato una riduzione oraria di mezz’ora alla settimana, il che significa quasi tre giorni e mezzo di lavoro in meno all’anno. È assai probabile, in ogni caso, che nei prossimi mesi si vedranno altri accordi di questo tenore.

 

Che cosa succede in azienda nella gestione del tempo

Per quanto riguarda la contrattazione di secondo livello, cioè in azienda, emerge in Italia un allargamento dei permessi retribuiti e delle loro “causali”, che vanno dalla genitorialità alle visite mediche fino alla malattia. C’è anche la possibilità – ma si tratta di un elemento in parte presente già da alcuni anni – di convertire parte del premio in permessi. Unicredit, per esempio, a tal proposito ha raggiunto un’intesa che consente di ottenere fino a cinque giorni liberi in più all’anno. il colosso farmaceutico Sanofi ha lanciato un programma per i collaboratori affetti da cancro e altre malattie critiche che prevede sostegno emotivo, flessibilità in tempi e modalità di lavoro, retribuzione al 100% per un anno e marcatori tumorali nel check up. Fater, impresa frutto della joint venture fra Procter & Gamble e il Gruppo Angelini, ha invece promosso un welfare particolarmente vantaggioso per chi ha figlie e figli, mentre al personale dipendente – mansione operaia/o – over 50 mette a disposizione tre giorni aggiuntivi di ferie per compensare l’impatto dei turni notturni. Infine, Engineering ha innalzato il numero di permessi per visite mediche private e per la malattia delle figlie e dei figli, ma ha anche portato il contributo per congedo parentale facoltativo all’80% della retribuzione per un mese in aggiunta a quanto previsto dalla normativa. Oltre a ciò, ha previsto che l’importo del premio di risultato possa essere convertito in permessi.

 

Assidai e il welfare aziendale

Insomma, il tempo libero sempre più al centro del welfare aziendale. Un concetto, quest’ultimo, ormai è entrato a tutti gli effetti nella contrattazione collettiva attraverso l’introduzione della sanità integrativa e della previdenza complementare: due esigenze che, insieme al work life balance, sono richiesti e attesi dai lavoratori di tutti i livelli. Assidai ha da molti anni introdotto, in maniera pioneristica, l’estensione delle coperture al nucleo familiare, oltre a proporre la costruzione di Piani Sanitari ad hoc, personalizzati proprio sulla base delle caratteristiche richieste dalle aziende, dalle lavoratrici e dai lavoratori.

Il sonno, un alleato fondamentale per il successo

Un buon sonno vuol dire buona salute

Viviamo in un’epoca in cui la corsa incessante al successo lavorativo sembra aver preso il sopravvento sulla necessità di un riposo adeguato. Tuttavia, sempre più esperti sottolineano l’importanza di una visione più equilibrata, dove il sonno diventa un alleato fondamentale per il successo lavorativo, specialmente per i manager. Oggi che è la Giornata Nazionale del Sonno abbiamo raccolto la voce di diversi esperti per capire il peso che questo ha nella nostra vita personale e lavorativa.

Secondo lo studio di McKinsey, i leader che godono di un sonno di qualità ottengono risultati migliori, agendo positivamente non solo la loro salute e il loro umore, ma anche le performance aziendali e il fatturato complessivo dell’azienda. La ricerca evidenzia come il sonno abbia un effetto diretto sulle qualità di leadership, influendo fortemente su alcuni elementi chiave come l’orientamento ai risultati, capacità di risolvere i problemi, individuare punti di vista alternativi e aiutare gli altri.

Gli effetti sulla nostra vita

Non solo McKinsey, anche il Presidente della Fondazione per la ricerca e la cura dei disturbi del sonno Onlus Dottor Francesco Peverini conferma questa prospettiva, affermando che la quantità ideale di sonno per un adulto in età lavorativa dovrebbe oscillare tra le sette e le otto ore. Riduzioni significative possono comportare gravi rischi per la salute, specialmente per coloro che rivestono ruoli di responsabilità. Trascurare questo aspetto vuol dire incorrere in problematiche come cali di concentrazione, attenzione e memoria, oltre ad un aumento dell’irritabilità e della suscettibilità.

Inoltre, la carenza di sonno influisce negativamente sulle dinamiche sociali e sul rapporto con gli altri. Coloro che non dormono a sufficienza mostrano maggiore diffidenza verso chi propone soluzioni e addirittura una diminuzione nella capacità di riconoscere espressioni facciali, minando così la comunicazione efficace.

Dal punto di vista fisico, invece, la carenza di sonno è strettamente collegata alle malattie cardiache, all’aumento della pressione arteriosa e a problemi metabolici che possono portare a un rischio cardiovascolare più elevato nel lungo termine.

Quali sono le soluzioni?

Sempre la ricerca di McKinsey suggerisce diversi metodi per migliorare il sonno dei dipendenti e, di conseguenza, le performance lavorative. Interventi come l’introduzione di turni flessibili, il lavoro da casa per ridurre lo stress e l’implementazione di politiche aziendali che scoraggino il lavoro oltre l’orario d’ufficio sono solo alcune delle soluzioni proposte, così come l’adozione di politiche aziendali che promuovano le ferie obbligatorie e vietino il lavoro durante le vacanze può contribuire a garantire un adeguato recupero fisico e mentale.

In conclusione, il sonno si configura sempre di più come un elemento cruciale per il successo lavorativo, specialmente per i manager. Riconoscere l’importanza di un riposo adeguato non solo beneficia la salute individuale, ma contribuisce anche a elevare le performance aziendali e a promuovere un ambiente lavorativo più sano e produttivo per tutti.

Settimana bianca: sciare sì, ma proteggendo il nostro corpo

La settimana bianca è un appuntamento importante per moltissime persone. Milioni di italiani proiettati sulle piste, vogliosi di godersi l’aria di montagna e una neve ormai sempre più scarsa (causa il surriscaldamento delle temperature), ma in diversi casi impreparati a sostenere uno sforzo fisico di alcune ore. Ecco perché, sul tema, è opportuno ascoltare il parere degli esperti, per prepararsi al meglio a praticare uno sport indubbiamente bello e suggestivo ma che richiede, come tante altre discipline, una adeguata preparazione fisica per evitare infortuni. Un dato, al proposito, è eloquente: in Italia, secondo uno studio di Nielsen Sport, sono ben 23 milioni le persone appassionate di sport invernali che seguono attivamente discipline come sci e snowboard (le prime due in classifica), ma solamente 3 milioni quelle che li praticano attivamente durante l’intero anno. Ciò significa che la maggior parte di coloro che vanno in settimana bianca sciano una tantum o addirittura soltanto pochi giorni l’anno, con tutte le conseguenze fisiche critiche e i potenziali infortuni che possono derivare dal fatto di dedicarsi “full time” a una disciplina di fatto nuova per il corpo.

 

Allenamento e prudenza: cosa fare

Secondo gli esperti, bisogna arrivare alla settimana bianca allenati in modo adeguato, soprattutto per chi ha più di 60 anni. Per i primi due o tre giorni bisogna moderarsi nelle ore e nelle discese, anche per non precludere la buona riuscita della vacanza stessa. Traduzione pratica: evitare di sciare dopo pranzo, quando la neve, più molle, nasconde più insidie e le gambe iniziano a far male. Non sorprende che il 90% degli infortuni sugli sci avvenga proprio nelle ore pomeridiane, complice la stanchezza. Insomma, mai sopravvalutarsi e ascoltare sempre i messaggi che ci lancia il nostro corpo. Quindi evitare anche le elevate velocità e, se non ci sente veramente sicuri, stare alla larga dalle piste nere, ovvero le più difficili, dove si può diventare un pericolo per sé stessi e per gli altri.

 

Riscaldamento e idratazione

Altro punto fondamentale: la preparazione fisica. L’ideale sarebbe che, nei 10 o 7 giorni precedenti alla settimana bianca, ci si dedicasse alla pratica costante di semplici esercizi come squat (flessioni sulle gambe), affondi e addominali. In ogni caso, prima di iniziare a sciare è raccomandabile un breve riscaldamento (anche una buona camminata veloce può essere utile), che riduce il rischio di incorrere in lesioni muscolari o dolori articolari. Una volta che si staccano gli sci, è altrettanto consigliabile un po’ di stretching, cioè di allungamento muscolare, così come reidratarsi adeguatamente: spesso il freddo porta a non bere acqua, ma si tratta di un grave errore perché il nostro organismo ne ha bisogno quasi come in una giornata primaverile o estiva.

 

Alimentazione: fondamentale la colazione

Attenzione, ovviamente all’alimentazione, un concetto al quale Assidai, Fondo di assistenza sanitaria di emanazione Federmanager, ha sempre dato grande importanza sia per il benessere generale delle persone assistite sia per la sua valenza a fini della prevenzione primaria, fondamentale nel ridurre l’incidenza delle malattie croniche. Dunque, prima di una giornata di sci, è a maggior ragione fondamentale una buona colazione, basata su marmellata, tè, pane, latte, biscotti o fette biscottate, cibi di facile assorbimento e ricchi di energia pronta, che ci mette in buona condizione fisica per l’attività sportiva; attenzione anche ad assumere la corretta dose di proteine (per esempio con dello yogurt o con prosciutto o salmone) per evitare il classico “picco glicemico” che ci porta poi ad avere appetito già a metà mattinata. In pista vanno evitati l’alcool e i cibi pesanti, che causano una digestione difficoltosa e ci espongono a rischi di trauma. Tavolette di cioccolato, da assumere durante la sciata, o ancora meglio barrette o frutta secca, ci forniscono invece energia pronta e facile da metabolizzare.

 

Il ruolo dell’attrezzatura durante la settimana bianca

Infine, l’attrezzatura, altrettanto cruciale. La premessa è che bisogna sempre informarsi sulle temperature e sul meteo previsti nel luogo dove si andrà a sciare: in caso di brutto tempo è meglio rimandare e restare in hotel (o a casa), la montagna non è certamente l’ambiente giusto per gli azzardi. In secondo luogo, indossare sempre il casco: una raccomandazione che vale per tutti, per gli sciatori provetti e per i principianti. Infine, propendere sempre per un abbigliamento che ci tenga al caldo – fondamentale è una maglia termica – ma anche che non sia troppo caldo. Considerato anche il fatto, e questo ragionamento vale per chi iniziare a sciare dalla mattina presto, che durante la giornata le temperature saliranno. E per chi è particolarmente freddoloso alle mani i sotto-guanti possono rappresentare un ottimo modo per evitare le classiche dita intirizzite.

Realtà Virtuale e Intelligenza Artificiale nel Trattamento del Dolore Cronico

Intelligenza artificiale e realtà virtuale per migliorare la terapia del dolore. Nel mondo della medicina, l’applicazione di tecnologie avanzate sta rivoluzionando la terapia del dolore cronico e sta conquistando una fetta sempre più grande nel mondo della ricerca per rispondere ai bisogni ancora insoddisfatti di pazienti affetti da diverse patologie. Non è un caso che, proprio lo scorso novembre, la Food and Drug Administration americana ha autorizzato la commercializzazione di EaseVRx, un sistema di realtà virtuale (VR) immersiva, fruibile solo con prescrizione medica, che utilizza la terapia cognitivo-comportamentale per ridurre il dolore lombare cronico in pazienti adulti, con possibili e rilevanti effetti positivi sulla qualità della vita delle persone.

“Il dolore cronico colpisce milioni di persone nel mondo e ne rappresenta una delle principali cause di disabilità. Spesso le terapie farmacologiche e non farmacologiche a disposizione non sono sufficientemente efficaci per affrontare e gestire in modo adeguato questa condizione”, ha dichiarato a tal proposito la Dottoressa Alessia Violini, Responsabile nazionale dell’Area culturale Dolore e cure palliative di Siaarti (Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva).

Proprio per questo, a livello internazionale, si stanno sviluppando nuove terapie supportate dalla tecnologia che sembrano essere in grado di fornire una risposta più precisa e personalizzata al problema.

Di certo è un tema meritevole di approfondimento, che Assidai, Fondo di assistenza sanitaria integrativa di emanazione Federmanager, ha deciso di esaminare sempre nell’ottica di promuovere costantemente una specifica attenzione sui temi della salute tra le persone iscritte e gli stakeholder del Fondo.

 

Il ruolo chiave della Tecnologia e della Realtà Virtuale nella Medicina Internazionale

Ma di quali casistiche stiamo parlando esattamente? Delle situazioni in cui il dolore cronico diventa difficile da sopportare e talmente persistente da condizionare e alterare la sua percezione al punto da ritenere – fino a pochi mesi fa – la condizione dolorosa intrattabile. La vera novità è che oggi si stanno testando applicazioni di realtà virtuale (VR) e realtà aumentata (AR), tecnologie innovative, che, secondo gli ultimi studi internazionali, sembrano ridurre efficacemente la sofferenza e il dosaggio dei farmaci, inclusi gli oppioidi, migliorando così la qualità di vita dei pazienti e delle pazienti. La situazione, ovviamente, è fluida e in costante evoluzione: alcune di queste tecnologie hanno già dimostrato la loro efficacia in letteratura, molte sono ancora in fase di sperimentazione.

 

L’applicazione della Realtà Virtuale nel Trattamento del Mal di Schiena Cronico

Premesso che queste innovazioni potrebbero migliorare la vita di moltissime persone – in Italia si stima siano 13 milioni a soffrire di dolore cronico – un’applicazione pratica, secondo la Dottoressa Violini, potrebbe essere proprio il classico mal di schiena, “una delle patologie dolorose che più spesso riscontriamo nella nostra vita, che spesso si trascina nel tempo a causa di una diagnosi tardiva o talvolta mancata”. In questo caso specifico, “il medico anestesista-rianimatore specialista in terapia del dolore può studiare e individuare l’origine della patologia dolorosa. Quindi, applicare il trattamento più appropriato per garantire un rapido sollievo dal dolore. Le tecniche interventistiche di neuromodulazione e neurostimolazione ci stanno offrendo possibilità terapeutiche non farmacologiche. Vediamo aprirsi modalità di cura in casi che fino a poco tempo fa consideravamo off limits”, conclude l’esperta.

 

Cedars-Sinai Medical Center e New York e il Boston’s Children Hospital: i casi americani

Negli Stati Uniti, come riportato da un approfondimento del Corriere.it, centinaia di ospedali stanno valutando l’uso della realtà virtuale, inclusi centri molto quotati come l’Hospital for Special Surgery di New York e il Boston’s Children Hospital. Il Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles è all’avanguardia nell’uso della realtà virtuale per curare le persone con dolore cronico. Il programma VR, guidato dal gastroenterologo Brennan Spiegel, Professore di Medicina e sanità pubblica al Cedars-Sinai, ha coinvolto più di 3.000 pazienti. In esso la realtà virtuale ha dimostrato di ridurre il dolore, per ora sperimentalmente, in una varietà di studi condotti all’interno dell’ospedale. Il Professor Spiegel e il suo team hanno anche sviluppato un kit digitale per la riduzione del dolore, inclusa la realtà virtuale, utilizzato a casa per aiutare i pazienti a migliorare la qualità della vita e ridurre il bisogno di farmaci antidolorifici. Certo, se le applicazioni VR in questa branca della medicina stanno aumentando, resta da capire quale sia il loro effettivo meccanismo d’azione.

Prospettive sull’Integrazione della Realtà Virtuale e dell’Intelligenza Artificiale

Sebbene il meccanismo d’azione delle applicazioni VR in medicina sia ancora inesplorato, ricerche recenti hanno dimostrato un innalzamento della soglia del dolore nei pazienti che sperimentano la realtà virtuale. Fino a poco tempo fa, infatti, la maggior parte degli articoli che si trovavano nella letteratura medica potevano solo ipotizzare che, nel caso dell’utilizzo della realtà virtuale, vi fosse una riduzione della percezione del dolore cronico. Una prima svolta, tuttavia, è arrivata lo scorso settembre, quando uno studio sperimentale ha studiato la risposta ottenuto risultati notevoli da un campione significativo di pazienti a uno stimolo del dolore mentre sperimentavano la realtà virtuale. In questo modo si è dimostrato effettivamente l’innalzamento della soglia del dolore dei pazienti che si erano sottoposti all’esperimento. Il percorso di analisi e approfondimenti è ancora lungo ma è possibile affermare che vi sono tutti i presupposti affinché l’intelligenza artificiale possa avere un ruolo importante e positivo in questo contesto.

Perché promuovere l’attività fisica sul luogo di lavoro

Offrire un indennizzo di 25 centesimi per chilometro percorso ai lavoratori che, scegliendo di abbandonare l’auto, cominceranno ad andare in ufficio in bicicletta, promuovere l’uso delle scale sul luogo di lavoro, offrire una ristorazione aziendale incentrata su una alimentazione corretta, incentivare ambienti di lavoro senza alcol e smoke free.

E ancora: affiggere in punti strategici poster e cartelli con messaggi motivazionali, distribuire materiale informativo sul valore dell’attività fisica, organizzare pause lavorative di almeno 10 minuti per fare attività fisica posturale e contrastare le mansioni sedentarie, sfruttare la comunicazione interna realizzando gruppi di cammino che praticano fit o nordic-walking, adibire una vera e propria palestra, con docce e spogliatoi, all’interno dell’azienda e a disposizione dei dipendenti.

Sono solo alcuni degli esempi di come l’impresa può adottare una “filosofia” di promozione della salute che vede il posto di lavoro come luogo privilegiato sia perché frequentato dall’adulto sano (che può “sfuggire” al medico di medicina generale), sia perché le persone vi trascorrono la maggior parte della propria giornata. Il tutto in una logica nuova, la cui sintesi perfetta è il welfare aziendale, in cui il rapporto tra dipendente e datore di lavoro non è più antagonistico ma collaborativo con vantaggi reciproci e un doppio fine comune: il benessere del personale e la redditività dell’impresa.

I rischi della sedentarietà: perché fare movimento

La sedentarietà è una condizione che può essere favorita dal tipo di lavoro svolto, ma può essere anche un’abitudine mantenuta nel tempo libero. In Europa, si stima che più del 35% delle persone resti seduta per più di 7 ore al giorno. Anche in Italia, tra la popolazione adulta che lavora, la sedentarietà è un comportamento diffuso, determinato dai lunghi periodi trascorsi in piedi o seduti, durante la giornata.

Non è un caso che i lavoratori che dichiarano di avere invece uno stile di vita attivo sono una minoranza, rispetto a chi è attivo solo in parte. La sedentarietà, insieme con scarsa attività fisica, scorretta alimentazione, abitudine al fumo e uso di alcol, rappresenta un fattore di rischio indipendentemente dai livelli di attività fisica praticati. Trattasi infatti dei principali fattori di rischio delle malattie cardiovascolari e metaboliche (infarto, obesità, diabete di tipo II), nonché dei tumori.

Viceversa è dimostrato che uno stile di vita sano rappresenta un ottimo investimento di prevenzione. È importante scegliere di muoversi regolarmente, tutte le volte che se ne ha l’opportunità. Camminare, andare in bicicletta, salire le scale sono alcuni modi per aumentare i livelli di attività fisica e contrastare la sedentarietà. L’attività fisica, svolta ogni giorno secondo i livelli raccomandati, aiuta a mantenersi in buona salute e favorisce il benessere psicologico riducendo ansia, depressione e senso di solitudine.

Perché promuovere l’attività fisica sul luogo di lavoro

In virtù di questi ragionamenti realizzare dei programmi di promozione dell’attività fisica nei luoghi di lavoro è un investimento sia per la salute dei manager, e in generale per il benessere dei dipendenti, sia per la crescita dell’impresa. I benefici, come ricordato da un report del Ministero della Salute riferito alla pubblica amministrazione (ma il ragionamento per un’azienda privata è analogo), sono svariati. Sia per i dipendenti sia per l’impresa. Per i primi migliora la salute e la qualità della vita anche sul posto di lavoro, aumenta il benessere psicofisico e riduce il rischio di soffrire di alcune malattie (malattie cardiovascolari, ipertensione, ipercolesterolemia, diabete).

Per quanto riguarda l’azienda migliorano la qualità della vita sul luogo di lavoro, l’immagine dell’azienda stessa, le relazioni lavorative e la produttività, aumenta il senso di appartenenza (concetto questo che è favorito anche da una leadership efficace dei manager) e riduce le assenze per malattia, gli infortuni sul lavoro e i costi sociali (indennizzi, assicurazioni).

Alla luce di tutto ciò come deve muoversi quindi l’impresa? Essenzialmente lavorando su tre pilastri: informativo e comunicativo (aumentare le conoscenze dei lavoratori sui benefici dell’attività fisica e sulle iniziative realizzate sul luogo di lavoro, motivare e sostenere il cambiamento dei comportamenti non salutari); educativo e formativo (organizzando per esempio seminari per sensibilizzare e acquisire conoscenze sull’importanza di fare attività fisica e sulle strategie di modifica dei comportamenti oppure esercitazioni sulle corrette posture da tenere al lavoro); strutturale e organizzativo (salire le scale; riconoscere tempi e spazi per svolgere esercizi facili per la postura in intervalli brevi).

Assidai e gli stili di vita contro le cronicità

Assidai ha sempre sottolineato, attraverso una costante e approfondita attività di comunicazione e sensibilizzazione il ruolo cruciale dell’attività fisica (e degli stili di vita corretti) come prevenzione per determinate malattie cronico-degenerative. Quest’ultime, come noto, sono caratterizzate da un lungo periodo di sviluppo e colpiscono prevalentemente donne e uomini più anziani.

Stiamo parlando di un ampio gruppo di patologie che vanno dall’osteoporosi alle malattie cardiovascolari, dal diabete alle dislipidemie per arrivare a sovrappeso/obesità, malattie respiratorie croniche, ictus e cancro. Sono tra le malattie più invalidanti e mortali che interessano molti Paesi e che sono caratterizzate da fattori di rischio endogeni non modificabili ed esogeni modificabili: proprio tra quest’ultimi l’inattività fisica gioca un ruolo cruciale. Viceversa, l’attività fisica fornisce vantaggi sia al singolo individuo, sia al Servizio Sanitario Nazionale e a Fondi di assistenza sanitaria come Assidai, riducendo l’ospedalizzazione e l’uso di farmaci.

Attenzione: Rinnovo iscrizione ad Assidai per il 2024

Si informano tutti i manager, quadri e consulenti iscritti ad Assidai, Fondo di assistenza Sanitaria Integrativa di Federmanager, che, in via del tutto straordinaria, i termini per richiedere l’eventuale cambio del Piano Sanitario sono stati differiti improrogabilmente al 7 dicembre 2023.

È possibile consultare i Piani Sanitari e i relativi contributi al seguente link https://www.assidai.it/persone/piani-sanitari/

Per qualsiasi ulteriore informazione, il Contact Center Assidai è a completa disposizione al numero 0644070600, dal lunedì al venerdì, dalle ore 8.00 alle ore 18.00.

Iscrizione online: al via il nuovo portale dedicato ai manager che vogliono iscriversi per la prima volta ad Assidai

Roma, 27 novembre 2023 – È online il nuovo portale Assidai dedicato ai manager, quadri e alle alte professionalità che vogliono iscriversi per la prima volta al Fondo di Assistenza Sanitaria Integrativa di emanazione Federmanager, che, da oltre 30 anni, si prende cura dei dirigenti e delle loro famiglie nei momenti più delicati della loro vita.

La procedura di iscrizione online rafforza la volontà di Assidai di ampliare la diffusione della propria mission tra i tanti manager che ancora non conoscono le peculiarità e i valori distintivi che caratterizzano il Fondo stesso. Ricordiamo in primis la mutualità e la solidarietà intergenerazionale, che consentono di assistere i manager per tutta la loro vita, senza alcun limite di età, sia che siano in servizio che in pensione, oltre all’assenza di selezione del rischio al momento dell’iscrizione e all’impossibilità per Assidai stesso di recedere unilateralmente dall’iscrizione. Insomma, un Fondo a cui, per più di una ragione, è davvero opportuno iscriversi per la propria serenità e per quella dei propri cari.

Il Presidente Assidai, l’ingegnere Armando Indennimeo, ha dichiarato: “Il progetto di iscrizione online si inserisce nell’ambito delle innovazioni che stiamo apportando all’interno del nostro Fondo. L’obiettivo è offrire ai manager la possibilità di aderire ad Assidai in modo autonomo e interattivo, scegliendo direttamente il Piano Sanitario che è maggiormente consono alle proprie esigenze. Sono certo che sarà molto apprezzato dai manager che ancora non ci conoscono e che, proprio per loro natura, vogliono sentirsi liberi di valutare attentamente la soluzione migliore per sé e per la propria famiglia.”

Nello specifico accedendo al portale dedicato all’iscrizione online https://www.assidai.it/persone/iscriviti/ sarà molto semplice avvicinarsi al mondo Assidai e richiedere di iscriversi in forma individuale. Basterà seguire, passo dopo passo, tutte le indicazioni; addirittura, qualora sia necessario interrompere la procedura di iscrizione per qualsiasi motivo, sarà possibile riprendere la stessa nell’arco di 30 giorni. Infine, per qualsiasi esigenza, è a completa disposizione il servizio di Contact Center al numero 0644070600, dal lunedì al venerdì, dalle ore 8.00 alle ore 18.00.

ASSIDAI è un Fondo di assistenza sanitaria integrativa che ha natura giuridica di ente non profit. Nato su iniziativa di Federmanager, è attivo da oltre trenta anni e offre i propri servizi a manager, quadri ed alte professionalità. Oggi conta una base di oltre 50.000 nuclei familiari iscritti e 120.000 persone assistite ed è punto di riferimento per più di 2.000 aziende che hanno scelto di sottoscrivere un Piano Sanitario Assidai. L’assenza di selezione del rischio e l’impossibilità di recesso dall’iscrizione da parte del Fondo, garantiscono la tutela degli aderenti durante l’intero arco della loro vita. Assidai ha certificato il proprio sistema di gestione secondo la norma UNI EN ISO 9001:2015, è iscritto all’Anagrafe dei fondi sanitari presso il Ministero della Salute, certifica annualmente su base volontaria il proprio bilancio e si è dotato di un Codice Etico e di Comportamento.

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IMPORTANTE Rinnovo iscrizione Assidai 2024

Si informano i manager, quadri e consulenti iscritti ad Assidai, Fondo di assistenza Sanitaria Integrativa di emanazione Federmanager, che è stata inviata a tutti coloro che sono iscritti ai Piani Sanitari Individuali e ai Piani Sanitari Familiari, specifica comunicazione relativa al Rinnovo 2024.

Al fine di garantire a tutti la possibilità di leggere con attenzione la comunicazione, si segnala che sono stati differiti al 30 novembre 2023 i termini per comunicare al Fondo eventuali cambi di Piano Sanitario o per richiedere informazioni relative alla propria iscrizione.

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Salute sul lavoro: rischi di una posizione seduta statica

L’incremento della sedentarietà di molte attività lavorative determina l’aumento delle evidenze di un collegamento tra i problemi di salute e uno stile di vita caratterizzato da scarsa attività fisica. Ciò ha accresciuto l’importanza di affrontare il problema del mantenimento prolungato di una posizione seduta statica durante l’attività lavorativa.

È partendo da questo presupposto che l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro ha fatto realizzare e successivamente pubblicato una relazione riguardo la portata del fenomeno del lavoro sedentario e i suoi effetti sulla salute, formulando raccomandazioni sui limiti di tempo per la posizione seduta e fornendo validi consigli pratici ed esempi su come evitare periodi prolungati in questa stessa posizione (riducendone la durata) e su come rendere l’attività lavorativa più attiva e dinamica.

L’entità del fenomeno in Europa

Il mantenimento della posizione seduta si definisce prolungato quando ha una durata pari o superiore a due ore continuative per volta e presenta tre principali caratteristiche: basso consumo energetico, postura seduta del corpo, lavoro muscolare a carico statico (quando cioè serve uno sforzo fisico per mantenere la stessa posizione).

Che portata ha il fenomeno? Va precisato che i numeri e le indagini su questo specifico argomento non mancano ma, trattandosi di analisi empiriche, non sempre collimano tra loro.

Vediamo in ogni caso i principali e più autorevoli report in materia. Secondo i dati di Eurobarometro – riferisce il rapporto dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro – nell’Unione Europea il 18% degli adulti sta seduto per più di sette ore e mezza complessivamente durante la giornata. Di norma, i tempi più elevati si registrano nei Paesi scandinavi e quelli più bassi nella zona Mediterranea (Italia, Portogallo e Spagna).

A tal proposito, un’indagine francese ha rilevato che gli adulti rimangono seduti, in media, per circa sette ore e mezza al giorno, di cui 4 ore e 10 minuti sul lavoro. In base ai dati di Eurostat, invece, il 39% dei lavoratori dell’Unione Europea svolge la propria attività lavorativa da seduti, comprese ovviamente categorie come gli addetti a lavori d’ufficio che prevedono l’utilizzo del computer, il personale dei call center e i conducenti di veicoli.

utto ciò senza dimenticare l’ampio spettro, che si è ulteriormente allargato con il massiccio utilizzo dello smart working, di chi lavora con computer, portatili o tastiere per tutto il tempo: qui la percentuale è aumentata dal 17,6% nel 2000 al 30,3% nel 2015 e negli ultimi anni è cresciuta ulteriormente. Inoltre, secondo l’edizione 2019 dell’Indagine europea tra le imprese sui rischi nuovi ed emergenti, il secondo fattore di rischio segnalato con maggiore frequenza in Europa è proprio il mantenimento prolungato della posizione seduta.

I principali rischi per la salute

Quali sono i principali rischi per la salute legati al mantenimento prolungato della posizione seduta statica? Anche in questo caso la letteratura è ampia e i principali pericoli includono: lombalgia, disturbi al collo e alle spalle, diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari, obesità, alcuni tipi di tumore (in particolare alla mammella e al colon) e problemi di salute mentale. Senza dimenticare che per quanto riguarda il diabete e le malattie cardiovascolari, quando si sta seduti non si usano quasi per nulla i muscoli delle gambe ed è noto che l’attività dei grandi muscoli delle gambe è importante per il pompaggio del sangue.

Inoltre, l’esposizione a vibrazioni al corpo intero quando si sta seduti, per esempio all’interno di un veicolo, aumenta i rischi di problemi lombari e di altri disturbi muscoloscheletrici, soprattutto se le posture sono obbligate, disagevoli o scorrette. Infine, oltre alla lombalgia, lavorare da seduti può causare disturbi agli arti superiori in caso di lavori ripetitivi, lavoro statico dei muscoli, posture disagevoli e necessità di esercitare forza o un allungamento forzato dei muscoli.

Le prassi corrette e la prevenzione

Capitolo cruciale è rappresentato dalle giuste prassi da adottare. L’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro raccomanda in ambito lavorativo di non passare più del 50 % della giornata stando seduti, di evitare di rimanere in posizione seduta per un tempo prolungato, cercando di alzarsi almeno ogni 20-30 minuti, di alzarsi sempre per almeno 10 minuti dopo essere rimasti seduti per 2 ore e ridurre il tempo trascorso in posizione seduta ogniqualvolta possibile, di non superare le 5 ore di lavoro sedentario al giorno e di lavorare in maniera attiva, cambiando posizione – alternando la posizione seduta con quella eretta – e camminando.

Altrettanto importante è, ovviamente, una adeguata prassi di prevenzione, che innanzitutto dovrebbe mettere a disposizione una postazione di lavoro ergonomica e adeguata e condizioni ambientali consone, comprendenti una sedia, uno sgabello, un tavolo e un posto di guida idonei.

In secondo luogo, andrebbe organizzato il lavoro per limitare il tempo trascorso seduti, incentivando il movimento: occorre bilanciare i compiti da svolgere e offrire possibilità di lavoro attivo, rotazione dei compiti, arricchimento professionale, piccole pause e opzioni di controllo individuale.

Un ruolo cruciale lo gioca inoltre organizzare l’ambiente e la cultura del lavoro per promuovere il movimento, per esempio collocando cestini e stampanti in un’area comune e programmando pause con esercizi di allungamento durante le riunioni.

Infine, bisogna favorire comportamenti salutari, ad esempio attraverso la sensibilizzazione e la formazione sul mantenimento prolungato della posizione seduta e mettere in atto politiche e prassi organizzative per assicurare la realizzazione pratica di quanto detto finora.

Assidai da sempre si fa promotore dei corretti stili di vita, di un’alimentazione sana e della necessità di praticare sport, presupposti fondamentali per prevenire le malattie croniche, principale causa di decessi a livello mondiale, in particolare nei Paesi occidentali. L’attività fisica, per esempio, anche se moderata, è il modo migliore per combattere la sedentarietà, che ha tra le sue declinazioni anche il fatto di restare seduti (al lavoro o durante il proprio tempo libero) per lunghi periodi.

Ecco perché, a maggior ragione, quanto spiegato finora risulta fondamentale per tutelare la nostra salute in qualsiasi momento della nostra giornata, assumendo posture e stili di vita che evitino l’insorgenza di malattie croniche.