Verso l’Unione Europea della Salute

Garantire una maggiore protezione della salute dei cittadini europei, dare all’Unione Europea e agli Stati membri gli strumenti necessari per prevenire e affrontare meglio eventuali pandemie future dopo il Covid-19 e migliorare la resilienza (cioè la resistenza agli choc e agli eventi imprevisti) dei sistemi sanitari europei. Sono questi i principali obiettivi dell’Unione europea della salute, alla quale – come annunciato negli ultimi giorni – la Commissione europea sta lavorando per creare un contesto di reciproco sostegno in cui tutti gli Stati membri si preparino alle crisi sanitarie e le affrontino insieme, le forniture mediche siano disponibili, innovative e a buon mercato, e i Paesi lavorino insieme per migliorare la prevenzione, la terapia e la fase post-cure per malattie come il cancro.

Insomma, un enorme progetto che dimostrerebbe il ruolo sempre più forte dell’Europa, non soltanto Unione monetaria ma anche politica, fiscale ed economica. Un’Europa che negli ultimi tempi si sta dimostrando sempre più compatta, soprattutto davanti alle difficoltà: ne è prova l’accordo storico sul maxi Recovery Fund da 750 miliardi approvato in estate per far fronte alla crisi economica legata al Covid-19.

Obiettivo: porre le basi per una sanità a livello europeo più forte

“Non possiamo aspettare la fine della pandemia per riparare i danni e pensare al futuro. Porremo le basi per un’Unione europea della salute più forte, in cui 27 Paesi possano lavorare insieme per individuare le minacce, prepararsi e avviare una risposta collettiva”.

Queste parole, pronunciate dalla Presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, durante il suo intervento al vertice mondiale sulla salute (e riportate dal sito della Commissione UE) indicano chiaramente lo spirito e lo scopo ultimo dell’iniziativa.

“Il nostro obiettivo – ha anche spiegato la Presidente – è proteggere la salute di tutti i cittadini europei. La pandemia di Covid-19 ha evidenziato la necessità di un maggiore coordinamento nell’Ue, di sistemi sanitari più resilienti e di una migliore preparazione per le crisi future”.

Dunque, è ora di iniziare a muoversi per costruire un’Unione europea della sanità, per proteggere i cittadini con un’assistenza di alta qualità in caso di crisi e di fornire all’Unione e ai suoi Stati membri la possibilità di prevenire e gestire le emergenze sanitarie che colpiscono l’intero Vecchio Continente.

Think tank Ispi favorevole al progetto

Sul tema, di recente, si era espresso anche l’Ispi, l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, oggi riconosciuto tra i più prestigiosi think tank dedicati allo studio delle dinamiche internazionali, dichiarandosi nettamente favorevole. Secondo l’Ispi va adottato il modello “One Health” proposto dall’Organizzazione mondiale della sanità come approccio che permette di “collegare organicamente le prospettive di una riforma sanitaria su base continentale alla più generale trasformazione della nostra società imposta dal cambiamento climatico e dalla ricerca di uno sviluppo sostenibile, verde, equo e digitale”.

L’idea è dunque quella di riscoprire la salute come “bene pubblico globale”, per costruire su di essa un contratto sociale rinnovato, perché “nessuno deve essere lasciato indietro” di fronte alla malattia. Inoltre, secondo l’Ispi, una futura, eventuale Unione Europea della Salute sarebbe sì basata sulla riforma dei Trattati sottoscritti da Stati nazionali sovrani ma, ancor più di altre iniziative, dovrebbe avere al centro del progetto i diritti e i doveri dei singoli cittadini europei, indipendentemente da passaporti e carte d’identità.

Le leve su cui agire

Quali sono le leve su cui agire per creare un’Unione europea della salute? Ecco la strada indicata dalla Commissione Ue. Innanzitutto, bisognerà lavorare sul fronte della prevenzione, approntando una serie di raccomandazioni e un piano per affrontare le crisi sanitarie sia a livello comunitario sia a livello nazionale. In secondo luogo, si dovrà rafforzare la sorveglianza, creando un sistema integrato a livello dell’Unione europea, utilizzando l’intelligenza artificiale e altri mezzi tecnologici avanzati. Servirà inoltre un miglioramento della comunicazione dei dati: gli Stati membri saranno tenuti a rafforzare tutti i sistemi per garantire la massima trasparenza degli indicatori dei sistemi sanitari (disponibilità di posti letto ospedalieri, capacità di cure specialistiche e cure intensive, numero di personale medico qualificato e altro ancora). Infine, ma non meno importante, c’è l’esigenza di un coordinamento, che consentirebbe lo sviluppo, lo stoccaggio e l’approvvigionamento di prodotti rilevanti per affrontare le situazioni di crisi in modo coordinato ed efficiente.

In questo contesto, un ruolo rilevante – sempre secondo la Commissione – dovranno averlo le agenzie dell’Unione europea: il Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie e l’Agenzia europea per i medicinali sono in prima linea contro il Coronavirus. Tuttavia, proprio la pandemia ha dimostrato che entrambe le agenzie devono essere rafforzate e dotate di mandati più forti per proteggere meglio i cittadini. Senza dimenticare l’Ema (l’Agenzia europea per i medicinali), che dovrà ampliare il proprio raggio d’azione, e una nuova Agenzia per le emergenze, la cosiddetta Hera, che sarà proposta entro la fine dell’anno prossimo.

Solo agendo in queste direzioni, secondo Bruxelles, si potrà costruire un’Unione europea della Salute in grado di rispondere alle esigenze e ai bisogni della popolazione sia in tempi di “normalità” sia in tempi di pandemia. Perché – come ha ricordato Ursula von der Leyen – non si può parlare di Unione europea della Salute solo tra Governi e Parlamenti: occorre che questo tema divenga uno dei pilastri portanti della annunciata Conferenza sul Futuro dell’Europa, quale capillare forma di consultazione e progettazione di un avvenire comune.

La salute valore cardine per Assidai

L’obiettivo del progetto, dunque, è la salute di tutti i cittadini europei. La salute – insieme, tra gli altri, alla tutela, all’integrità, al welfare e alla trasparenza – è uno dei dieci valori cardine di Assidai, che da ormai 30 anni opera per garantire il miglior benessere ai manager e alle loro famiglie, garantendo un’ampia copertura delle loro esigenze, nel rispetto dei limiti del mandato del Fondo. Tra gli strumenti per raggiungere questo ambizioso obiettivo, come la Commissione Ue, Assidai considera sicuramente centrale la prevenzione (primaria e secondaria), che resta lo strumento più efficace per diminuire l’incidenza e la mortalità delle malattie croniche.

Ultimi dati ISTAT: forte recupero del PIL nel terzo trimestre

L’atteso rimbalzo del Prodotto Interno Lordo italiano (PIL) è arrivato, anche se, complice la seconda ondata del Covid-19, si aggiungono nuove criticità al quadro della congiuntura globale. A certificare il recupero dell’economia è stato l’ISTAT che lo scorso venerdì 30 ottobre ha diffuso i dati del PIL relativi proprio al terzo trimestre stimando che il Prodotto Interno Lordo – corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato – è aumentato del 16,1% rispetto al trimestre precedente, cioè aprile-giugno, quando il Paese era ancora di fatto paralizzato dal lockdown nazionale, registrando un calo del PIL del 13,3%. Certo, il confronto con il terzo trimestre del 2019 resta penalizzante (-4,7%) ma i numeri dell’ISTAT, superiori alle attese, dimostrano comunque un solido recupero del Paese in linea, peraltro, con gli altri principali partner europei.

Un trend evidenziato anche, in una recente intervista concessa a Welfare 24, newsletter di Assidai realizzata in collaborazione con Il Sole 24 Ore, da Valerio De Molli, Managing Partner e Amministratore Delegato di The European House – Ambrosetti, il Think Tank che organizza, tra l’altro, il prestigioso Forum di Cernobbio. De Molli, tuttavia, ha anche acceso un faro sull’andamento dell’economia nel quarto trimestre che dipenderà, ha precisato, da eventuali misure di contenimento sociale per contrastare il Covid-19. In ogni caso, secondo l’esperto, per non perdere il treno della ripresa il Paese deve mettere in moto riforme importanti (scuola, fisco, pubblica amministrazione) e, anche grazie al Recovery Fund, investire in maniera massiccia su infrastrutture e sanità, settore in cui – precisa – i fondi sanitari integrativi possono svolgere un ruolo complementare al Servizio Sanitario Nazionale per soddisfare i nuovi bisogni di welfare.

Il recupero italiano guidato da tutti i settori

Da che cosa è stata guidata la riscossa dell’economia italiana?

“Da un aumento del valore aggiunto sia nel comparto dell’agricoltura, silvicoltura e pesca, sia in quello dell’industria, sia in quello dei servizi. – sottolinea l’ISTAT – Dal lato della domanda, vi è un contributo positivo sia della componente nazionale (al lordo delle scorte), sia di quella estera netta”.

Ciò porta, aggiunge l’Istituto Nazionale di Statistica, a una variazione acquisita per il 2020 pari a -8,2%. Che cosa significa? Che se nel quarto trimestre la variazione del PIL fosse invariata, il dato finale del 2020 sarebbe proprio pari a -8,2%.

Già Banca d’Italia, nelle scorse settimane, aveva stimato il recupero dell’economia italiana grazie al rimbalzo della produzione industriale, che nei tre mesi estivi è tornata di fatto sui livelli pre Covid-19.  Tra luglio e settembre, avevano precisato gli esperti di Via Nazionale, è continuata la risalita degli indicatori più tempestivi relativi ai consumi elettrici, al gas distribuito al settore industriale e al flusso di traffico autostradale, avviatasi all’inizio di maggio con la riapertura di molte attività.

In forte ripresa tutti i principali Paesi europei

Anche dagli altri principali Paesi europei arrivano dati positivi sul PIL del terzo trimestre. La Francia ha mostrato un rimbalzo del 18,2% battendo le attese, anche se il ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, ha sottolineato che il governo prevede una contrazione del PIL della Francia dell’11% nel 2020 (con un ritorno alla crescita nel 2021). Discorso simile per Spagna e Germania. La prima ha fatto segnare un recupero del PIL pari al 16,7% nel terzo trimestre e la seconda ha registrato +8,2%, sempre rispetto ai tre mesi precedenti.

A livello aggregato tutta l’Europa ha registrato una crescita forte nei mesi estivi: il PIL destagionalizzato – secondo Eurostat – è cresciuto del 12,7% nell’area euro e del 12,1% nell’UE, rispetto al trimestre precedente: è la stima flash di Eurostat. Si tratta di gran lunga degli aumenti maggiori dall’inizio delle serie temporali nel 1995 e di un rimbalzo rispetto ai cali nel secondo trimestre del 2020, quando il PIL era sceso dell’11,8% nell’area euro e del 11,4% nell’UE.

 

Assidai non è solo assistenza sanitaria integrativa

Le prestazioni comprendono anche le coperture vita, infortuni e invalidità (art. 12 CCNL Dirigenti Industria)

Le prestazioni previste dallo statuto di Assidai comprendono come noto anche quelle relative all’invalidità e/o morte per malattia e/o infortunio. Queste coperture sono previste all’art. 12 del CCNL Dirigenti Industria che impone alle aziende di stipulare idonee coperture assicurative per garantire tre fattispecie:

  • in caso di premorienza o invalidità totale e permanente da malattia non professionale un capitale pari a € 300.000 ove il dirigente abbia coniuge e/o figli a carico, ridotto a € 200.000 se single;
  • in caso di premorienza da infortunio o da malattia professionale, un capitale pari a 5 volte la retribuzione annua lorda;
  • in caso di invalidità parziale e/o totale da infortunio o da malattia professionale, un capitale pari a 6 volte la retribuzione annua lorda.

Il mercato assicurativo propone una pluralità di offerte, ma solo l’analisi tecnica di ogni clausola contrattuale permette di garantire la piena aderenza a quanto previsto dal CCNL. Ciò, in un mercato aperto e concorrenziale, ha portato alla nascita di molteplici prodotti che si differenziano non solo dal punto di vista economico e tecnico: una serie di clausole contrattuali, deroghe alle condizioni generali, presenza di garanzie accessorie, accertamento delle invalidità diverse fra loro, esclusioni e limitazioni diverse.

Ma qual è il contratto più aderente alle disposizioni del CCNL? Cosa deve fare l’azienda per scegliere soluzioni assicurative in linea con il Ccnl ma competitive nei costi?

Su questo punto le aziende hanno spesso trascurato gli aspetti tecnici a vantaggio di condizioni economiche più vantaggiose che, in alcuni casi, le hanno portate a dover risarcire direttamente il danno sofferto dal dirigente ogni qualvolta le fattispecie tutelate dal CCNL ex art. 12 non trovavano analoga copertura nella polizza stipulata dal datore di lavoro.

Assidai, da sempre a fianco di aziende e dirigenti, tramite il proprio broker Praesidium garantisce, invece, il rispetto di tutte le clausole contrattuali a condizioni economiche molto vantaggiose e fornisce completa assistenza per una corretta istruzione della richiesta di sinistro.

Il Fondo mette a disposizione per ciascuna azienda e per i suoi dirigenti uno specialista dedicato che possa informare e seguire il dirigente e/o i familiari per tutto l’iter del sinistro.

Per ultimo, ma non meno importante, c’è l’aspetto fiscale e contributivo del programma assicurativo. Queste coperture, infatti, possono avere un impatto fiscale e contributivo diverso a seconda della modalità di attuazione utilizzata, pertanto è importante conoscerne le diverse opportunità.

Le coperture previste da Assidai rispondono alle esigenze delle aziende di avere:

  • un costo competitivo;
  • la migliore modalità di attuazione per quanto riguarda fiscalità e contributi;
  • la perfetta aderenza alle disposizioni del CCNL dirigenti industria;
  • la migliore assistenza in caso di sinistro.

Per maggiori informazioni scrivere a aziende@praesidiumspa.it.

Rinnovo iscrizione Anagrafe dei Fondi Sanitari 2020

Il 23 ottobre 2020 Assidai ha ricevuto dalla Direzione Generale della Programmazione Sanitaria del Ministero della Salute il rinnovo dell’iscrizione all’Anagrafe dei Fondi Sanitari per l’anno 2020, di cui al Decreto del Ministero della Salute del 31 marzo 2008 e del 27 ottobre 2009, con numero di protocollo 0021606-23/10/2020-DGPROGS-DGPROGS-UFF02-P. Ricordiamo che Assidai è iscritto all’Anagrafe dei Fondi sanitari fin dal 2010 – primo anno di attività dell’Anagrafe stessa.

Un riconoscimento che si conferma essere, come ogni anno, un importante tassello del ricco mosaico rappresentato dai valori del Fondo: riservatezza, professionalità, integrità, trasparenza, mutualità, solidarietà, assistenza, salute, innovazione. Essi rappresentano i pilastri della mission di Assidai, che opera con un obiettivo sopra tutti: prendersi cura degli iscritti e delle loro famiglie senza limiti di età, di accesso e di permanenza, senza selezione del rischio e per tutta la durata della loro vita.

Perché l’iscrizione all’Anagrafe dei Fondi Sanitari Integrativi va considerata un elemento fondamentale? Proprio perché evidenzia la trasparenza del Fondo insieme alla certificazione annuale su base volontaria del proprio bilancio, al Sistema di Gestione certificato ISO 9001:2015 e al Codice Etico e di Comportamento.

L’Anagrafe è regolamentata, per le sue funzioni e finalità, dal Decreto Ministeriale del 27 ottobre 2009. All’anagrafe – si spiega nel sito del Ministero della Salute – si possono iscrivere volontariamente I fondi sanitari integrativi del Servizio Sanitario Nazionale (istituiti o adeguati ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni) e gli enti, casse e società di mutuo soccorso aventi esclusivamente fine assistenziale, di cui all’art. 51 comma 2, lettera a) del D.P.R. 917/1986 e successive modificazioni. L’iscrizione e il rinnovo dell’iscrizione può essere chiesta dal 1° gennaio al 31 luglio di ciascun anno e l’attestato viene rilasciato per via telematica, ai fondi sanitari aventi diritto, fra tutti quelli che ne hanno fatto richiesta. Inoltre, l’attestato ha la validità di un anno – pertanto l’iscrizione deve essere rinnovata annualmente – e permette anche di beneficiare delle agevolazioni fiscali previste dalla normativa vigente.

Oltre alla documentazione relativa alla loro istituzione e regolamentazione, i fondi che richiedono l’iscrizione all’Anagrafe devono fornire i bilanci di gestione e un’autodichiarazione sulla tipologia di prestazioni erogate fra quelle non comprese nei livelli essenziali di assistenza (LEA). Queste informazioni, soprattutto negli ultimi anni, hanno permesso di ampliare le conoscenze sulla sanità integrativa e di approfondire le sue dinamiche. A tal proposito, va ricordato che gli ultimi dati dell’Anagrafe sui fondi sanitari sono stati diffusi dal Ministero della Salute lo scorso anno e certificano una crescita costante della sanità integrativa italiana, con i fondi passati complessivamente dai 267 del 2010 ai 322 del 2017, a fronte di una netta prevalenza degli Enti, Casse e Società di mutuo soccorso (come Assidai) rispetto ai fondi sanitari puramente integrativi. Un trend che sarà sicuramente utile verificare con numeri più aggiornati (quando verranno pubblicati) insieme a un’altra tendenza: il divario tra il numero dei fondi sanitari integrativi e gli enti, casse e società di mutuo soccorso si è allargato nel tempo con la seconda categoria che ormai rappresenta il 97% del totale. Un gap rivelato anche dall’ammontare delle risorse erogate e nel numero di iscritti. Gli Enti, le Casse e le Società di Mutuo Soccorso, nel 2017, avevano erogato prestazioni per 2,32 miliardi di euro, a fronte di un totale di 10,6 milioni di iscritti; l’altra categoria di fondi si fermava rispettivamente a 1,3 milioni e poco più di 11mila iscritti.

Per approfondire: Report del Ministero della Salute sull’evoluzione dei fondi sanitari

evoluzione fondi sanitari

Employer Branding, carta vincente delle aziende

Si definisce “Employer Branding” quell’insieme di valori, peculiarità e qualità, spesso intangibili, che definisce l’identità di un’azienda o di un’organizzazione come luogo di lavoro, evidenziandone le caratteristiche distintive rispetto ai competitor. Un must – ormai – per HR manager, responsabili recruiting e head hunter visto che il loro obiettivo è rendere l’azienda interessante e accattivante a 360 gradi sia per i potenziali candidati, sia per i dipendenti, sia per i clienti. Certo, poi, un luogo di lavoro ottimale diventa anche uno strumento per trattenere i talenti.

I primi a darne una definizione furono Tim Ambler e Simon Barrow nel 1996, i quali descrissero l’Employer Branding come “il pacchetto di benefici funzionali, economici e psicologici forniti dall’impiego e identificati con l’organizzazione”.

Secondo una ricerca realizzata da Boston Consulting Group, implementando un valido Employer Branding si può ridurre il tasso di rotazione dei dipendenti fino al 28%, cosa che ovviamente comporta un notevole risparmio (fino al 50%) in termini di costi per l’assunzione di nuove risorse. Secondo LinkedIn, inoltre, il 75% dei potenziali candidati effettua ricerche sulla reputazione dell’azienda prima di presentarsi per una posizione, e quasi il 70% dei candidati stessi non accetterebbe un’offerta da un datore di lavoro con una cattiva reputazione.

Le leve dell’Employer Branding

Alla luce di questi dati è evidente quanto sia cruciale l’implementazione di un Employer Branding efficace per una società, per un ente o per un’organizzazione. Esso è la sintesi di due filoni aziendali, ovvero il brand e le risorse umane. Dalla loro integrazione deve nascere una visione tale da poter trattenere le risorse in organico, impedendo che passino alla concorrenza, e allo stesso tempo attrarre nuovi potenziali candidati. Lavorare per un’azienda diventa così una sorta di esperienza unica, a elevato valore aggiunto, che si connota per un forte senso di appartenenza.

Su quali fattori bisogna agire per creare tutto ciò? Sul tema ovviamente non mancano le idee e gli studi ma in generale gli esperti concordano sul fatto che sono tre le leve su cui agire: la retention (cioè la capacità di trattenere legati all’azienda i dipendenti o i clienti), l’attrattività aziendale e il coinvolgimento del personale.

Per farlo l’azienda stessa deve mettere a fuoco e comunicare i suoi punti di forza ma anche capire quali sono gli effettivi bisogni dei propri dipendenti per individuare eventuali discrasie. Cruciale, in questo senso, è guardare sempre al futuro, anticipando le esigenze o le necessità che possono nascere. E in questo caso il perimetro delle possibilità offerte dal welfare aziendale, che si dimostra parente stretto dell’Employer Branding, è potenzialmente molto vasto.

Qualche esempio? Se una società realizza che attraverso lo smart working riesce a ottenere una migliore organizzazione del lavoro e ad aumentare il benessere dei propri dipendenti, si attrezza per mettere loro a disposizione questa modalità lavorativa, che in alcuni casi permette di conciliare maggiormente le incombenze professionali e quelle personali senza perdere in produttività ed efficienza. Oppure: si possono offrire ai dipendenti la mensa gratuita, contributi per l’educazione dei figli (pagamento di retta scolastica o acquisto di libri), l’asilo nido o campus estivi per i figli, la possibilità di svolgere in azienda alcuni controlli medici o screening periodici, la palestra o il beauty center. Ecco, dunque, solo alcuni esempi di quello che un’azienda può mettere a disposizione di manager o dipendenti sia per aumentare il loro grado di soddisfazione sul lavoro, sia per caratterizzarsi sul mercato, contribuendo a creare un Employer Branding, e attrarre così nuovi talenti.

Assidai, i suoi valori e l’importanza per le aziende

Se dovessimo definire l’Employer Branding di Assidai dovremmo in primis riferirci alle caratteristiche uniche e distintive che contraddistinguono il Fondo. È, infatti, un Ente senza scopo di lucro dedicato a dirigenti, quadri, alle alte professionalità e alle loro famiglie con alcune peculiarità: non ha limiti di età, di accesso e di permanenza, non opera la selezione del rischio, non può recedere dall’iscrizione e quindi tutela gli assistiti per tutta la durata della loro vita. Nato 30 anni fa su iniziativa di Federmanager, oggi Assidai conta una base di oltre 50.000 nuclei familiari e 120.000 persone assistite. È il punto di riferimento per più di 1.500 aziende che hanno scelto di sottoscrivere un Piano Sanitario per i propri dirigenti, quadri, dipendenti e consulenti.

Il Fondo ha una missione chiara – nato per garantire il benessere, la sicurezza, la tranquillità e la salute dei manager, dei quadri e delle alte professionalità – punta a creare valore sociale. Per farlo segue valori cardine che hanno rappresentato e rappresenteranno sempre il faro della sua attività. Tra questi ci sono sicuramente la tutela, la salute e l’assistenza ma anche un sistema di gestione certificato secondo la norma UNI EN ISO 9001:2015 e il welfare, visto che Assidai costruisce ad hoc con le aziende piani di copertura sanitaria per i manager, quadri, consulenti e dipendenti, che percepiscono l’assistenza sanitaria come un benefit sempre più prezioso nell’ampio portafoglio del welfare aziendale. E in questo l’offerta di Assidai può contribuire a rafforzare, a sua volta, l’Employer Branding delle aziende che decidono di appoggiarsi al Fondo per fornire ai propri manager (e alle loro famiglie) pacchetti di copertura sanitaria tagliati su misura.

Ma Assidai è anche integrità, trasparenza (certifica annualmente, su base volontaria, il proprio bilancio e si è dotato di un Codice Etico e di Comportamento, oltre a essere regolarmente iscritto all’Anagrafe dei fondi sanitari istituita dal Ministero della Salute alla fine del 2009), professionalità, innovazione e trasparenza.

Un mix di valori che fanno di Assidai una realtà quasi unica in Italia e che rappresentano la spina dorsale di un Employer Branding che proietta il Fondo tra le realtà più dinamiche del settore, a vantaggio degli iscritti e delle aziende che hanno deciso di scegliere Assidai per prendersi cura della propria salute e di quella dei propri cari.

“Codice del diritto della persona di minore età alla salute e ai servizi sanitari”

Tutelare, da un punto di vista etico, i diritti dei minori ospedalizzati o che necessitano di assistenza socio-sanitaria a domicilio.

È questo il principale obiettivo del “Codice del diritto della persona di minore età alla salute e ai servizi sanitari” elaborato da un gruppo di lavoro costituito dai Garanti regionali e delle Province autonome e presentato a inizio ottobre 2020. In sostanza, si è trattato di un significativo passo in avanti che ha tratto ispirazione dalla “Carta dei diritti dei minori in ospedale” (adottata nel 2001 e a sua volta ispirata ai principi della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989) alla luce del cambiamento dello scenario e delle criticità emerse negli ultimi anni, anche se lo spirito resta lo stesso: porre precisi obblighi sul funzionamento del sistema sanitario per le persone di minore età.

Nuove sfide per la tutela dei minori

Del resto – è l’opinione degli esperti – l’evolversi della società pone sfide sempre nuove per tutelare i diritti dei bambini e dei ragazzi. Dunque, è necessario che gli strumenti posti a loro tutela siano capaci di interpretare i nuovi tempi e proporre soluzioni innovative. A partire, per esempio, da un richiamo all’attenzione per le fasce più vulnerabili della popolazione minorile che vive in Italia, tra le quali i minorenni stranieri non accompagnati, rifugiati e appartenenti a minoranze. In quest’ottica rafforzare i già esistenti strumenti di garanzia per un accesso ai servizi sanitari senza discriminazione alcuna, contribuisce a rafforzare il concetto stabilito dall’articolo 32 della Costituzione (il diritto alla salute) e in ogni caso a innalzare ulteriormente l’elevato profilo di equità e universalità che distingue il nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN) nel mondo.

Lo spirito del nuovo Codice

In generale, il nuovo Codice ha come principio superiore l’interesse della persona di minore età, valutato per ogni singolo caso e si pone come obiettivo la tutela di vari diritti e principi. A partire, per esempio, da quello di non discriminazione (razza, genere, orientamento sessuale, religione e altro). Stabilisce inoltre che debbano essere garantite assistenza globale continuata, favorendo percorsi che prevedano la deospedalizzazione, e l’accesso alle cure per le malattie croniche e disabilità. Ci sono poi il diritto all’informazione e parere del minore sul percorso di cura, per consentire un consenso consapevole tramite i genitori; la protezione da ogni forma di violenza fisica e mentale; il rispetto della privacy; la proposta di un ambiente ospedaliero con spazi esclusivamente dedicati ai minori; il diritto al gioco e alla ricreazione, per poter godere di tempi di riposo e divertimento; il diritto all’istruzione, per mantenere lo sviluppo creativo anche in situazioni di degenza; oltre al diritto di preservare la propria identità, nazionalità, tradizioni, valori culturali e relazioni familiari. Insomma, un ampio spettro di diritti dei minori su cui i Garanti effettueranno una sorveglianza adeguata, svolgendo indagini o ispezioni per assicurare il rispetto di tutto quanto viene previsto dal “Codice del diritto della persona di minore età alla salute e ai servizi sanitari”.

Va anche ricordato che alcuni di questi valori quali salute, assistenza, integrità, trasparenza e riservatezza rappresentano anche i principi fondanti dell’operato di Assidai, che tutela gli iscritti e tutto il loro nucleo familiare, assistendo i figli fino a 26 anni. Il nostro Fondo di assistenza sanitaria, inoltre, ha adottato un Codice Etico e di Comportamento per evidenziare l’insieme dei valori di cui si fa portatore e le linee guida che devono ispirare l’operato di coloro che agiscono per conto di Assidai e cui devono attenersi nel perseguimento degli scopi istituzionali.

Sintesi degli articoli del Codice

Vediamo infine una sintesi dettagliata dei 23 articoli che compongono il nuovo “Codice del diritto della persona di minore età alla salute e ai servizi sanitari” in modo da capirne la portata e la sua evoluzione rispetto alla Carta del 2001.

  • Superiore interesse della persona di minore età, che deve essere considerato e valutato in relazione al caso singolo e non in astratto.
  • Diritto alla salute, che deve esaminare tutte le dimensioni della salute stessa, ovvero fisica, psichica, sociale, culturale e spirituale come peraltro stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Ciò comprende anche una adeguata informativa sui corretti stili di vita.
  • Principio di non discriminazione, che sia fondata su razza, colore, genere, opinione politica, orientamento sessuale, lingua, religione, opinione politica, etnia o eventuale disabilità.
  • Assistenza globale e continuata, attraverso una rete organizzativa che integri strutture sanitarie e professionali diverse.
  • Malattie croniche e disabilità, per cui i minori hanno diritto a un completo accesso alle cure e ai servizi.
  • Diritto all’informazione e parere della persona di minore età in merito al percorso di cura riguardo sia gli accertamenti diagnostici sia le indicazioni terapeutiche sia le conseguenze della loro mancata esecuzione.
  • Protezione da ogni forma di violenza fisica e mentale, contro la quale le strutture sanitarie dovranno adottare apposite procedure.
  • Trattamento sanitario obbligatorio, che deve avvenire con modalità dignitose e meno invasive possibili, comunque compatibili con le necessità e condizioni di salute del minore.
  • Continuità relazionale con i membri della famiglia in ogni fase dei percorsi di assistenza e cura senza nessuna esclusione.
  • Privacy, che va tutelata da tutte le persone che si prendono cura del minore con rispetto del suo pudore fin da quando egli inizia ad averne percezione.
  • Ambiente ospedaliero: i minori hanno diritto di essere ricoverati in reparti pediatrici separati da quelli degli adulti e possibilmente aggregati per fasce di età.
  • Gioco e ricreazione, che dovranno essere garantiti in ogni struttura sanitaria con tempi e modalità adeguati all’età e alla condizione dei minori.
  • Istruzione, a cui il minore ha diritto anche in stato di degenza con i genitori, considerati partner responsabili e attivi.
  • Diritto del minore della persona di minore età di origine straniera o appartenente a minoranze a preservare la propria identità, nazionalità, tradizione, valori culturali e relazioni familiari.
  • I Garanti Nazionali e Regionali adotteranno misure adeguate per assicurarsi che tutte le persone di minore età ricevano assistenza sanitaria rispettosa del Codice appena approvato.

 

Welfare aziendale, soluzione voucher per le PMI

La forte espansione del welfare aziendale è ormai un dato di fatto. Assidai, come Fondo di assistenza sanitaria integrativa, approfondisce costantemente questa tematica e tutti gli aggiornamenti introdotti proprio perché offre a manager, quadri e consulenti uno dei benefit maggiormente apprezzati in ambito aziendale, appunto l’assistenza sanitaria. Secondo le ultime ricerche, più di un’impresa su due in Italia ha adottato il welfare sia per i vantaggi fiscali offerti da questo strumento sia perché sono evidenti i benefici in termini di produttività dei dipendenti e di coinvolgimento degli stessi nella mission aziendale. Tuttavia, in particolare per le imprese di piccole e medie dimensioni, non è semplice gestire in autonomia l’erogazione dei beni e dei servizi compresi nel piano di welfare, per esempio realizzando all’interno della propria struttura un asilo nido o una palestra. Ecco perché, soprattutto per le PMI o per le microimprese, risulta più pratico stipulare convenzioni con strutture esterne che si occuperanno poi di erogare i servizi al dipendente. Servizi che possono essere dei più svariati: dall’assistenza sanitaria (come si diceva sopra) all’istruzione, dall’assistenza per bambini e anziani alla formazione, dai trasporti alla previdenza, dal tempo libero al benessere per arrivare allo sport e allo shopping. Di questo ampio insieme non fanno parte i buoni pasto, che hanno una regolamentazione a parte. Infine, è importante ribadire il concetto chiave del cuneo fiscale: 100 euro investiti in welfare aziendale corrispondono a una spesa di 100 euro netti per l’azienda e a 100 euro spendibili per il dipendente.

Che cosa sono i voucher per il welfare aziendale

Ma andiamo con ordine: all’interno della macro-categoria dei compensi in natura (fringe benefits) che rivestono quella parte di retribuzione che non è corrisposta dal datore di lavoro in busta paga bensì attraverso l’erogazione di beni e servizi, vi sono i voucher welfare, che sono stati introdotti in Italia con la Legge di Bilancio 2016, che ha introdotto una serie di incentivi poi rafforzati negli anni successivi per rendere centrale il welfare aziendale nel nostro Paese. Nel dettaglio si tratta di buoni cartacei o elettronici che vanno considerati come veri e propri titoli di credito personali, cioè utilizzabili soltanto dal titolare. Essi sono da considerarsi come accessori alla retribuzione ordinaria: danno diritto al dipendente di ottenere beni e servizi di vario tipo presso i fornitori convenzionati con l’impresa e possono essere erogati anche in sostituzione dei premi di produttività. A stabilire tutto ciò è l’articolo 3 bis dell’articolo 51 del TUIR (Testo Unico sulle Imposte sul Reddito). Che cosa significa? Che i voucher welfare mantengono le stesse agevolazioni fiscali dei beni e servizi di welfare: dunque non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente e sono esenti da tassazione fino alla soglia di 258,23 euro.

Il raddoppio del tetto per il 2020

Sul tetto di spesa va fatta una precisazione cruciale: solo per quest’anno, vista anche la situazione economica e sociale legata alla pandemia di Covid-19, il Governo ha deciso di raddoppiare tale soglia fino a 516,46 euro. Una decisione arrivata con il Decreto Legge di Agosto: l’articolo chiave è il 112, comma 1, che ha introdotto il raddoppio del limite di esenzione per il welfare aziendale modificando quanto previsto dall’articolo 51, comma 3 del TUIR. Ecco l’indicazione precisa:

“Limitatamente al periodo d’imposta 2020, l’importo del valore dei beni ceduti e dei servizi prestati dall’azienda ai lavoratori dipendenti che non concorre alla formazione del reddito ai sensi dell’articolo 51, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è elevato ad euro 516,46.”

Come vanno usati i voucher

Riprendendo l’analisi del welfare tramite i voucher, va evidenziato che l’articolo 6 del TUIR stabilisce delle caratteristiche vincolanti che è bene elencare:

  • non possono essere ceduti in quanto nominativi;
  • possono essere utilizzati solo dal titolare o dai familiari fino al primo grado di parentela;
  • non possono essere convertiti in denaro;
  • danno diritto all’erogazione di un bene o un servizio per il loro intero valore nominale e non possono essere integrati dal titolare fatte salve alcune eccezioni.

In realtà, l’articolo 6 precisa anche che è possibile derogare all’obbligo di utilizzare il voucher per un solo bene o servizio. Ciò può accadere nel caso si ricada nella fattispecie del “carrello della spesa” o di “paniere” previsto dal piano di welfare aziendale. Il tetto, ovviamente, è sempre fissato a 258,23 euro (solo per quest’anno è raddoppiato).

L’ISTAT e l’equilibrio casa-lavoro

Per concludere è utile riportare l’ultimo studio in materia da parte dell’ISTAT che certifica una crescente consapevolezza da parte delle imprese riguardo l’importanza del welfare aziendale e in più in generale dell’equilibrio casa-lavoro e della responsabilità sociale. Si tratta del “Censimento permanente delle imprese”, uno strumento di rilevazione che si propone di fornire un quadro puntuale della situazione delle aziende italiane sul fronte economico e non solo. Il documento, in particolare, si è concentrato su un aspetto: ha verificato quante imprese applicassero azioni volontarie per il benessere dei propri collaboratori. Il risultato? Circa il 53,4% delle aziende con almeno tre dipendenti ha adottato almeno una misura per il sostegno alla genitorialità e alla conciliazione vita-lavoro. Nel dettaglio, il 20,5% delle realtà ha attivato forme di comunicazione interna per informare i lavoratori sui diritti legati alla genitorialità e previsti dall’attuale normativa e il 25,5% ha previsto congedi extra rispetto a quelli previsti dalla normativa in caso di nascita di un figlio. Ancora: il 22,5% ha messo a punto permessi specifici per l’inserimento di figli al nido o alla scuola dell’infanzia. Infine, il 47,3% delle realtà imprenditoriali ha attivato interventi per rendere maggiormente flessibile l’orario di lavoro. Numeri che certificano la crescente diffusione nel tessuto produttivo italiano di una nuova filosofia, imperniata su un patto dipendente-impresa proficuo per entrambi.

Servizio Sanitario Nazionale, verso investimenti record nel 2020-2021

Universalità, uguaglianza ed equità. Sono questi principi cardine del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) italiano, che proprio l’anno scorso ha compiuto 40 anni e, ancora oggi, spicca in Europa e nel mondo per la sua caratteristica di universalità. Del resto, esso si basa sull’articolo 32 della Costituzione, che è stata la prima nel Vecchio Continente a mettere nero su bianco il diritto alla salute e all’articolo citato recita:

“la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.

Piuttosto, nell’ultimo decennio il Servizio Sanitario Nazionale ha inevitabilmente sofferto, a livello di investimenti, a causa di due fattori difficilmente modificabili, quanto meno nel breve periodo: il graduale invecchiamento della popolazione, che porta un aumento delle cronicità e dunque della spesa pubblica, e le crescenti ristrettezze di bilancio a livello di Stato centrale.

Al tempo stesso, tuttavia, va sottolineato che è compito delle Regioni far fruttare a meglio il budget messo a disposizione proprio dallo Stato. È la stessa Costituzione, infatti, a stabilire una complessa distribuzione di competenze in tema di salute in base al cosiddetto principio di sussidiarietà. Da un lato, alla legislazione statale spetta la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; d’altro lato la tutela della salute rientra nella competenza concorrente affidata alle Regioni, che possono legiferare in materia nel rispetto dei principi fondamentali posti dalla legislazione statale nonché dei livelli essenziali come individuati da quest’ultima. Più nello specifico le Regioni hanno la responsabilità diretta della realizzazione del governo e della spesa per il raggiungimento degli obiettivi di salute del Paese, nonché la competenza esclusiva nella regolamentazione ed organizzazione di servizi e di attività destinate alla tutela della salute e dei criteri di finanziamento delle Asl e degli ospedali.

Negli ultimi mesi, in ogni caso, anche a fronte dell’emergenza sanitaria causata dal virus Covid-19 (Coronavirus), si è compreso strategicamente quanto sia rilevante per il nostro Paese un decisivo cambio di marcia e sono stati stabiliti nuovi investimenti: nel solo 2020 sono stati investiti 6,845 miliardi di euro in più, un incremento superiore alla somma degli aumenti dei cinque anni precedenti. E nei prossimi mesi un’ulteriore spinta potrebbe arrivare anche dai fondi del Recovery Fund (750 miliardi a livello europeo, di cui oltre 200 destinati all’Italia), di cui una fetta significativa potrebbe essere indirizzata proprio sulla sanità, come ha ricordato lo stesso Ministro della Salute Roberto Speranza.

Spesa sanitaria corrente: Italia sotto la media UE

Un recente rapporto di Eurostat è utile per capire il contesto internazionale. Per quanto riguarda la spesa sanitaria corrente, la Francia spicca con una percentuale pari all’ 11,5% in rapporto al prodotto interno lordo. A seguire ci sono Germania con l’11,1% e Svezia con l’11%. In coda alla classifica, invece, ben 12 Stati membri sono sotto il 7,5% con la Romania fanalino di coda che registra il rapporto più basso pari al 5%. L’Italia si posiziona all’8,9% a fronte di una media UE pari al 9,9% del Prodotto Interno Lordo (PIL). Inoltre, nell’Unione Europea a 28 Paesi, i Governi hanno finanziato in media il 36,7% delle spese sanitarie mentre i regimi obbligatori di assicurazione sanitaria contributiva e i conti di risparmio medico sono arrivati al 42,7%. Proprio nei finanziamenti pubblici il nostro Paese spicca con il 74,4%: ci precedono soltanto i “giganti” del welfare scandinavi come la Danimarca (84,1%), la Svezia (83,4%) e la Norvegia (74,3%), oltre alla Gran Bretagna (79,4%). Il rovescio della medaglia nel nostro Paese? La spesa “out of pocket”, cioè quella privata, che in Italia raggiunge il 22% contro il 15,7% della media UE a 28 (esclusa Malta) mentre la Francia si attesa al 9,8% e la Germania si attesta al 12,7% (la Spagna invece fa peggio con il 23,8%).

Dove saranno destinatigli investimenti del SSN

Di fronte a questi dati è evidente l’importanza dell’incremento degli investimenti approvato quest’anno. Tra i 2 miliardi legati al Fondo Sanitario 2020 (fondo di 2 miliardi che la Legge di Bilancio dell’anno scorso ha destinato alla sanità a valere sul 2020), i 185 milioni per l’abolizione del superticket, i 1,41 miliardi del decreto di marzo e soprattutto i 3,25 miliardi del “Decreto Rilancia Italia” si sfiorano i 7 miliardi. Giusto per dare un’idea, negli anni precedenti si era arrivati al massimo a 1,575 miliardi (nel 2017) e nel 2015 gli investimenti erano addirittura calati. “Rilancio Italia” è stato indubbiamente il provvedimento più significativo e più completo visto che ha messo in campo una cifra rilevante ed è arrivato a valle del lockdown con il Governo che ha deciso per un ulteriore aumento delle risorse a favore della sanità pubblica, anche in vista di ulteriori ed eventuali emergenze.

I suoi fondi sono stati destinati infatti a rafforzare la rete territoriale, puntando su infermieri e servizi domiciliari alle persone fragili, facendo passare l’Italia – proprio in quest’ultimo settore – dal 4% della platea di assistiti al 6,7%, cioè lo 0,7% in più della media OCSE. Verrà potenziata anche la rete ospedaliera (in particolare sul fronte della terapia intensiva), si punterà su nuove assunzioni, su incentivi a medici, infermieri e a tutto il personale sanitario, oltre che su ulteriori borse di studio. La perfetta sintesi dello spirito del Decreto è nelle parole del Ministro della Salute Roberto Speranza: “Il Servizio Sanitario Nazionale è una pietra preziosa e investire su questa pietra preziosa serve a rendere il nostro Paese più forte”.

Il futuro della sanità pubblica e dell’assistenza sanitaria

Proprio alla luce di questi ulteriori investimenti, che testimoniano la volontà di puntare ulteriormente su un Servizio Sanitario Nazionale equo, universalistico ma anche di qualità, non bisogna perdere di vista le criticità legate alla gestione futura della sanità pubblica e le sfide che dovrà affrontare, a partire dall’invecchiamento della popolazione e dall’inevitabile aumento delle cronicità. Uno strumento a nostra disposizione è sicuramente quella della prevenzione ma, allo stesso tempo, anche il supporto in termini di complementarità, offerto da fondi come Assidai, può rappresentare un valido strumento per evitare ai cittadini eventuali difficoltà finanziarie qualora costretti a ricorrere a prestazioni non coperte dal Servizio Sanitario Nazionale.

Ricordiamo che Assidai è un Fondo di assistenza sanitaria integrativa che ha natura giuridica di ente non profit. Nato su iniziativa di Federmanager, è attivo da 30 anni e offre i propri servizi a manager, quadri e alte professionalità. Oggi conta una base di oltre 120.000 persone assistite ed è punto di riferimento per più di 1.500 aziende che hanno scelto di sottoscrivere un Piano Sanitario Assidai. L’assenza di selezione del rischio e l’impossibilità di recesso dall’iscrizione da parte del Fondo, garantiscono la tutela degli aderenti durante l’intero arco della loro vita. Assidai ha certificato il proprio sistema di gestione secondo la norma UNI EN ISO 9001:2015, è iscritto all’Anagrafe dei fondi sanitari presso il Ministero della Salute, certifica annualmente su base volontaria il proprio bilancio e si è dotato di un Codice Etico e di Comportamento.

Welfare aziendale, raddoppia l’esenzione dei “fringe benefit”

In un anno difficile, sotto tutti i punti di vista, per il nostro Paese e per la congiuntura globale, si aggiunge comunque un piccolo tassello positivo al mosaico del welfare aziendale in Italia. Ciò grazie al recente Decreto Agosto (Decreto-legge del 14 agosto 2020, n. 104), che tra i vari provvedimenti ha portato il limite per la detassazione di beni e servizi riconosciuti ai lavoratori dipendenti, i cosiddetti “fringe benefit”, a 516,46 euro, raddoppiando dunque la cifra rispetto ai precedenti 258,23 euro.

Una misura, si precisa, valida soltanto per il 2020 e che tuttavia rappresenta un ulteriore passo in avanti nell’espansione di un settore, quello del welfare aziendale, che negli ultimi anni ha più volte dimostrato le proprie potenzialità, in termini di soddisfazione del dipendente e di produttività dello stesso a tutto vantaggio dell’impresa.

Dal 2016, il Governo ha progressivamente messo in campo una serie di incentivi, soprattutto di carattere fiscale, per favorire la diffusione del welfare aziendale e, numeri alla mano, si può dire che i primi risultati siano ormai tangibili se si pensa che, proprio negli ultimi mesi, la porzione di imprese attive su questo fronte si è consolidata sopra la fatidica soglia del 50%. Il concetto alla base, quello di cuneo fiscale, è molto semplice: 100 euro investiti in welfare aziendale corrispondono a una spesa di 100 euro netti per l’azienda e a 100 euro spendibili per il dipendente.

Assidai e il welfare aziendale: Piani Sanitari ad hoc

Anche Assidai ritiene che il benessere personale e un corretto bilanciamento tra vita lavorativa e vita privata, il cosiddetto work-life balance fanno bene ai manager e ai dipendenti in generale, perché accrescono il benessere organizzativo generale all’interno di un’azienda e il livello di energia e motivazione dei singoli. E, di conseguenza, incrementano la produttività, l’operatività ordinaria e aiutano ad affrontare i cambiamenti organizzativi necessari per tenere il passo della competitività. Non solo: diverse indagini in materia hanno dimostrato come l’assistenza sanitaria sia tra i benefit più richiesti a livello di welfare aziendale. Per questo i Piani Sanitari Assidai riservati alle imprese sono diversi e i vantaggi sia per le aziende che per i lavoratori sono numerosi; inoltre, i decision maker possono valutare con Assidai la costruzione di Piani Sanitari ad hoc, personalizzati proprio sulla base delle caratteristiche richieste dalle aziende e dai lavoratori.

L’intervento sui fringe benefit

Approfondiamo il Decreto Agosto e vediamo nello specifico cosa prevede. L’articolo chiave è il 112, comma 1, che introduce il raddoppio del limite di esenzione per il welfare aziendale e che, modificando quanto previsto dall’articolo 51, comma 3 del TUIR, innalza la soglia di esenzione fiscale per i fringe benefit da 258,23 euro a 516,46 euro: “Limitatamente al periodo d’imposta 2020, l’importo del valore dei beni ceduti e dei servizi prestati dall’azienda ai lavoratori dipendenti che non concorre alla formazione del reddito ai sensi dell’articolo 51, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è elevato ad euro 516,46.”

Che cosa significa in parole povere? Entro tale limite, il valore di beni ceduti e servizi erogati dalle imprese ai propri lavoratori dipendenti non concorrerà alla formazione del reddito, e sarà quindi esente da imposte e contributi. Salvo ripensamenti futuri o provvedimenti che la renderanno strutturale, questa sarà una misura una tantum (valida cioè soltanto per il 2020), ma in ogni caso si tratta di un’iniziativa apprezzabile poiché agevola la concessione di buoni spesa, buoni benzina o altre misure di welfare aziendale ai dipendenti, grazie all’incremento del limite che comporta l’obbligo di tassazione totale del valore di beni e servizi riconosciuti ai dipendenti stessi.

Fuori dal provvedimento, invece, i buoni pasto che hanno una specifica disciplina di esenzione. Al proposito va ricordato che – sempre in tema di fringe benefit – l’ultima Manovra finanziaria (che risale ormai a un anno fa) aveva introdotto alcune piccole revisioni, agendo in particolare sulle auto a uso promiscuo (cioè i veicoli aziendali) e sui buoni pasto. Per quest’ultimi era stato deciso, infatti, un aumento del limite di esenzione fiscale del ticket elettronico da 7 a 8 euro e una contestuale riduzione della deducibilità del cartaceo (da 5,29 a 4 euro). Per quanto riguarda invece le auto aziendali era stata introdotta una tassazione correlata e proporzionale ai valori di emissione di anidride carbonica. Le nuove regole sono entrate in vigore dal primo luglio 2020 e sono applicabili solo ai veicoli di nuova immatricolazione.

Le altre agevolazioni del welfare aziendale

Infine, è utile riassumere le attuali agevolazioni fiscali per il welfare aziendale e il percorso che ha portato all’attuale cornice normativa. La Legge di Bilancio 2017, come quella del 2016, era intervenuta con misure specifiche lavorando su due punti in particolare. Innanzitutto, aveva allargato il perimetro del welfare aziendale che non concorre al calcolo dell’Irpef. Aveva incluso servizi come l’educazione, l’istruzione e ulteriori benefit, sempre erogati dal datore di lavoro, per poter fruire di servizi di assistenza destinati a familiari anziani o comunque non autosufficienti. In secondo luogo, aveva allargato, nei numeri, l’area della tassazione zero per i dipendenti che scelgono di convertire i premi di risultato del settore privato di ammontare variabile in benefit compresi nell’universo del welfare aziendale. In alternativa i benefit saranno soggetti a un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali regionali e comunali pari al 10 per cento.

Nel dettaglio, il tetto massimo di reddito di lavoro dipendente che consente l’accesso alla tassazione agevolata è di 80.000 euro, mentre gli importi dei premi erogabili sono di 3.000 euro nella generalità dei casi e di 4.000 euro per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro. Infine, la sanità integrativa può andare oltre il limite di deducibilità previsto dalle norme fiscali utilizzando il premio di produttività. Le Leggi di Bilancio 2019 e 2020, invece, hanno confermando di fatto le misure già introdotte negli anni precedenti sul welfare aziendale.

Al via il Piano Nazionale della Prevenzione al 2025

Lo scorso anno avevamo già introdotto il Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025, adottato in via definitiva nelle scorse settimane dalla Conferenza Stato-Regioni.

Fra i suoi principali obiettivi ci sono:

  • consolidare l’attenzione alla centralità della persona, tenendo conto che questa si esprime anche attraverso le azioni finalizzate a migliorare la cosiddetta “alfabetizzazione sanitaria.
  • Accrescere la capacità degli individui di interagire con il sistema sanitario attraverso relazioni basate sulla fiducia, la consapevolezza e l’agire responsabile.
  • Migliorare il mantenimento del benessere in ciascuna fase dell’esistenza.
  • Potenziare le azioni di promozione della salute e di prevenzione, e di genere, al fine di migliorare l’appropriatezza ed il sistematico orientamento all’equità degli interventi.

A tutti gli effetti il Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025, rappresenta lo strumento fondamentale di pianificazione centrale degli interventi di prevenzione e promozione della salute da realizzare sul territorio. Esso – sottolinea il Ministero della Salute – punta infatti

“a garantire sia la salute individuale e collettiva sia la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale attraverso azioni quanto più possibile basate su evidenze di efficacia, equità e sostenibilità che accompagnano il cittadino in tutte le fasi della vita, nei luoghi in cui vive e lavora”.

Perché un Piano Nazionale di Prevenzione

I lavori sul Piano Nazionale di Prevenzione proseguivano da oltre un anno mentre era stata effettuata una proroga al precedente Piano 2014-2018. Stiamo parlando – è bene ricordarlo – di uno strumento fondamentale di pianificazione del Ministero della Salute, messo in campo già dal 2005: un documento di respiro strategico che a livello nazionale stabilisce gli obiettivi e gli strumenti che vengono poi adottati a livello regionale. Del resto, l’assetto istituzionale del nostro Paese in tema di tutela della salute è semplice: stabiliti i principi fondamentali da parte dello Stato, le Regioni hanno competenza non solo in materia di organizzazione dei servizi, ma anche sulla legislazione per l’attuazione dei principi stessi, sulla programmazione, sulla regolamentazione e sulla realizzazione dei differenti obiettivi. Perché serve un Piano nazionale di prevenzione? Su questo punto il Ministero della Salute è chiaro: un investimento in interventi di prevenzione costituisce una scelta vincente, capace di contribuire a garantire, nel medio e lungo periodo, la sostenibilità del Sistema Sanitario Nazionale, a maggior ragione considerate le sue caratteristiche di equità e universalità praticamente uniche al mondo.

Il ruolo cruciale della prevenzione è riconosciuto anche da Assidai, che la reputa fondamentale e ogni anno promuove campagne di prevenzione gratuite per gli iscritti al Fondo sanitario e campagne di informazione sui corretti stili di vita. Ad oggi le malattie croniche (ad esempio le cardiopatie, l’ictus, il cancro, il diabete e le malattie respiratorie croniche) sono i principali killer a livello mondiale. Non solo: ragionando anche in termini più prettamente economici, una buona prevenzione consente pure allo Stato di risparmiare le spese in termini di cure, ospedalizzazioni e assistenza nel lungo periodo che mettono a serio rischio la tenuta del sistema.

Il Piano al 2025: obiettivi e strategie

Ebbene, il nuovo Piano per la Prevenzione al 2025, anche alla luce della recente pandemia di Covid, sottolinea l’indispensabilità di una programmazione sanitaria basata su una rete coordinata e integrata tra le diverse strutture e attività presenti nel territorio, anche al fine di disporre di sistemi flessibili in grado di rispondere con tempestività ai bisogni della popolazione, sia in caso di un’emergenza infettiva, sia per garantire interventi di prevenzione (screening oncologici, vaccinazioni, individuazione dei soggetti a rischio, tutela dell’ambiente, ecc.) e affrontare le sfide della promozione della salute e della diagnosi precoce e presa in carico integrata della cronicità. Per raggiungere questo obiettivo si punta su alleanze e sinergie intersettoriali tra forze diverse e conferma l’impegno nella promozione della salute, chiamata a caratterizzare le politiche sanitarie non solo per l’obiettivo di prevenire una o un limitato numero di condizioni patologiche, ma anche per creare nella comunità e nei suoi membri un livello di competenza, resilienza e capacità di controllo che mantenga o migliori il capitale di salute e la qualità della vita.

Nel dettaglio, il piano si articola in sei Macro Obiettivi:

  1. malattie croniche non trasmissibili;
  2. dipendenze e problemi correlati;
  3. incidenti stradali e domestici;
  4. infortuni e incidenti sul lavoro, malattie professionali;
  5. ambiente, clima e salute;
  6. malattie infettive prioritarie.

Esso inoltre mira a contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, che definisce un approccio combinato agli aspetti economici, sociali e ambientali che impattano sul benessere delle persone e sullo sviluppo delle società, affrontando dunque il contrasto alle disuguaglianze di salute quale priorità trasversale a tutti gli obiettivi. Proprio la riduzione delle principali disuguaglianze sociali e geografiche rappresenta una priorità trasversale a tutti gli obiettivi del Piano: il profilo di salute ed equità della comunità – si legge nel documento finale approntato dalla Conferenza Stato-Regioni – rappresenta il punto di partenza per la condivisione con la comunità e l’identificazione di obiettivi, priorità e azioni sui quali attivare le risorse della prevenzione e al tempo stesso misurare i cambiamenti del contesto e dello stato di salute.

I prossimi passi e le mosse delle Regioni

Quali saranno ora i prossimi passi? Ogni Regione è ora chiamata ad adottare il Piano e a predisporre e approvare un proprio Piano locale (Piano Regionale della Prevenzione), entro i termini previsti dall’intesa, declinando contenuti, obiettivi, linee di azione e indicatori del Piano nazionale all’interno dei contesti regionali e locali. A sua volta il livello centrale è tenuto a mettere in campo le linee di supporto centrale al Piano nazionale, parte integrate del Piano stesso, al fine di contribuire al raggiungimento degli obiettivi garantendo la coesione del sistema. Infine, come il precedente, il Piano adotta infine un sistema di valutazione, basato su indicatori e relativi standard, che consente di misurare, nel tempo, e in coerenza con il monitoraggio dell’applicazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), lo stato di attuazione dei programmi, anche al fine di migliorarli in itinere, nonché il raggiungimento dei risultati di salute e di equità attesi.