La Società italiana di diabetologia studia i possibili legami tra le due pandemie: ecco i primi risultati
L’Italia è stato il primo Paese occidentale raggiunto dall’epidemia di Covid-19 e i ricercatori hanno subito evidenziato l’associazione tra diabete e rischio di sviluppare Covid-19 grave. Già a fine marzo 2020, per esempio, veniva pubblicato il primo report che mostrava come le persone affette da diabete presentassero una probabilità raddoppiata di decesso da Coronavirus. Nonostante le analisi statistiche già effettuate sui database di Veneto e Sicilia è invece ancora difficile stabilire con esattezza se le persone con diabete presentivo un rischio maggiore di contrarre il virus.
Molto attiva su questo fronte, negli ultimi due anni, è stata la Società italiana di Diabetologia (Sid), presieduta da Agostino Consoli, che ha contribuito in maniera significativa ad approfondire le relazioni tra diabete e Covid-19, due vere e proprie pandemie, una conosciuta e non trasmissibile, l’altra infettiva e comparsa purtroppo sulla scena nel 2020.
Un altro tema chiave sono stati i possibili effetti negativi del confinamento domiciliare sul compenso glicemico dei pazienti con diabete. Per fortuna, è stato osservato come il lockdown non abbia influito negativamente sul controllo glicemico nei pazienti affetti da diabete tipo 1. Al contrario, questi pazienti hanno presentato significativi miglioramenti, forse grazie al maggior tempo disponibile per dedicarsi alla gestione della malattia. Grazie all’uso diffuso di tecnologie per il monitoraggio glicemico, soprattutto nel diabete tipo 1, è stato possibile monitorare i pazienti a distanza: l’improvvisa accelerazione nell’adozione degli strumenti di telemedicina ha avuto risvolti positivi in ambito di ricerca e assistenza diabetologica.
L’analisi di diverse casistiche italiane ha permesso di dimostrare come, anche durante le fasi di lockdown in cui i pazienti non potevano fisicamente accedere ai servizi ambulatoriali, sia stato possibile erogare l’assistenza in remoto, garantendo almeno la metà delle prestazioni, con particolare attenzione ai pazienti fragili: le donne con diabete gestazionale e quelli con complicanze acute come il piede diabetico.
La ricerca italiana si è cimentata anche sui meccanismi immunologici di risposta all’infezione e circa la possibilità che il nuovo coronavirus aggredisca le beta cellule pancreatiche, conducendo allo sviluppo del diabete. In particolare, si guarda proprio alle conseguenze a lungo termine dei due anni di pandemia, rivolgendo l’attenzione non solo a coloro che sono guariti dal Covid 19, ma anche alle ricadute “di sistema” sulla popolazione. Si studia infatti la possibilità che la pandemia abbia impresso un’accelerazione alla crescita del diabete nel nostro Paese, non solo per la possibilità che il coronavirus distrugga le cellule che producono insulina ma anche per l’adozione di stili di vita poco sani. In parallelo, sta ricevendo grande attenzione l’ipotesi che le persone con diabete siano maggiormente a rischio di sviluppare il “Long Covid”, una condizione caratterizzata da sintomi persistenti dopo la guarigione e che, in molti casi, possono confondersi con le complicanze croniche del diabete.
I pazienti con una iperglicemia misconosciuta al momento del ricovero per Covid-19, situazione che secondo gli studi più recenti rappresenta un potente fattore di rischio per l’andamento sfavorevole della malattia, sottolineando l’importanza dello screening del diabete.