I farmaci TAO (Terapia Anticoagulante Orale) sono in grado di modificare la capacità di coagulare del sangue, riducendo il rischio della formazione di trombi in pazienti che, per la loro patologia, vanno incontro a questo rischio. In particolare, hanno il compito di rendere il sangue più fluido impedendo alle piastrine di aggregarsi e quindi di provocare coaguli. Questi farmaci – i più utilizzati sono l’acido acetilsalicilico (lo stesso dell’aspirina) e la ticlopidina – sono in particolare molto efficaci nel curare e prevenire le trombosi delle arterie a seguito di infarto del miocardio, ictus cerebrale, arteriopatie periferiche e quindi comunemente prescritti dopo un infarto del miocardio, in presenza di angina pectoris, dopo un intervento di bypass aorto-coronarico, dopo un ictus cerebrale ischemico e, frequentemente, nei pazienti anziani con fattori di rischio aterotrombotico (fumo, sedentarietà, diabete, ipertensione).
Il “percorso educazionale” dell’Istituto Maugeri
Un tema, insomma, di stretta attualità considerato che le patologie dell’apparato cardiocircolatorio sono la principale causa di decesso a livello globale e che rappresentano una delle cronicità purtroppo più diffuse. Anche per questo la Fondazione Onda – l’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, costituito a Milano nel 2005 per volere di alcuni professionisti già impegnati a vario titolo sul fronte della salute femminile e della medicina di genere – ha approfondito il tema dei farmaci TAO pubblicando un decalogo tanto schematico quanto chiaro ed esauriente, curato dall’Istituto Maugeri IRCSS Milano Camaldoli: un “percorso educazionale” intitolato “Terapia anticoagulante: se la conosci, vivi meglio”. Lo stesso parte da un presupposto: “Gli antiaggreganti e gli anticoagulanti sono dei veri e propri salvavita in quanto proteggono dalla formazione di trombi e di emboli che potrebbero dar luogo a sindromi potenzialmente mortali e/o fortemente invalidanti quali l’ictus e l’infarto miocardico”.
Lo studio si concentra in particolare su “una delle situazioni cliniche che più frequentemente necessitano di terapia anticoagulante cronica, costituita da un disturbo del ritmo cardiaco chiamato fibrillazione atriale. Un’altra situazione abbastanza frequente è quella conseguente alle trombosi venose e alla tromboembolia polmonare”. Dunque, in entrambi i casi, è utile conoscere meglio di cosa si tratta, le terapie utili e a chi rivolgersi per la migliore gestione possibile.
La fibrillazione atriale: come e perché usare i farmaci anticoagulanti
Partiamo dalla fibrillazione atriale, che può dipendere da diversi fattori ed essere legata a patologie diverse sia cardiache sia di altri apparati. É un disturbo molto frequente soprattutto quando l’età avanza e va seguita con molta attenzione. Ma di che cosa si tratta esattamente? È una frequente anomalia dell’attività elettrica del cuore, un’aritmia spesso sintomatica (percepita come palpitazioni, mancanza di respiro, vertigini, dolore al petto), ma a volte anche asintomatica. Essa può comportare complicazioni pericolose come altri disturbi cardiaci, ictus cerebrale o embolia di altri organi. Il rimedio? È necessario provare a ripristinare il ritmo normale oppure controllare la frequenza cardiaca scegliendo la fibrillazione come nuovo “ritmo”; in un caso o nell’altra bisogna sempre prevenire la formazione di coaguli nel sangue per evitare che vadano a occludere arterie creando danni anche molto gravi. E qui entrano in gioco i farmaci anticoagulanti. Questa tipologia determina una condizione di rischio cardioembolico – ricorda il percorso educazionale – ed è responsabile della formazione di trombi all’interno dell’atrio sinistro, i quali possono migrare verso le arterie, se occludono un’arteria cerebrale causano l’evento più temibile, l’ictus cerebrale. Qualsiasi altro organo può essere danneggiato con conseguenze più o meno gravi. La prevenzione più efficace si ottiene appunto con gli anticoagulanti orali. Fino a qualche anno fa questo tipo di terapia disponeva solo di farmaci antagonisti della vitamina K, ma dal 2009 si sono resi disponibili anticoagulanti orali di nuova generazione, denominati anticoagulanti orali ad azione diretta, il cui uso pratico è più semplice e sicuro. Infatti, a differenza degli antagonisti della vitamina K, non hanno tutte le limitazioni relative all’alimentazione e alle interazioni farmacologiche e non richiedono il controllo periodico della coagulazione.
Per concludere il capitolo sulla fibrillazione atriale ecco le indicazioni “salvavita” presenti nel decalogo:
- prendersi cura delle problematiche cardiologiche con le terapie specifiche individuate dal medico in base al profilo di rischio e alle caratteristiche del singolo paziente;
- curare con altrettanta cura le malattie concomitanti;
- adottare uno stile di vita sano, controllando i fattori di rischio della cardiopatia (ipertensione arteriosa, diabete, dislipidemia, obesità, fumo di sigaretta, sedentarietà).
La trombosi venosa: come curarla
L’altra patologia che viene analizzata all’interno dello studio è la trombosi venosa, una patologia che colpisce le vene occludendole. Anche questa condizione è piuttosto comune, – si spiega – la forma più temibile è quella che colpisce le vene profonde, da qui il trombo (coagulo) può migrare fino al polmone e determinare l’embolia polmonare, la complicanza più grave della trombosi venosa profonda, che è solitamente preceduta da affanno inspiegabile, respirazione veloce, dolore acuto al torace, aumento della frequenza cardiaca e leggero stordimento o sincope. La trombosi venosa profonda è spesso asintomatica, non riconosciuta e di conseguenza diagnosticata e trattata in un numero inferiore rispetto ai casi reali. Il 50% circa dei soggetti colpiti da una trombosi venosa non manifesta alcun sintomo. Se presenti, invece, le manifestazioni più frequenti sono: dolore al polpaccio, gonfiore (prevalentemente alla caviglia o ai piedi), rossore o perdita di colorito della pelle (discromia), calore della zona interessata.
Come si cura? Anche in questo caso il rispetto di un adeguato stile di vita è fondamentale. Si possono poi usare i farmaci antitrombotici, che riducono la capacità delle piastrine di aggregarsi (antiaggreganti che agiscono sulle piastrine) oppure ostacolano la coagulazione (anticoagulanti che bloccano i fattori della coagulazione). Anche in questo caso la terapia è fatta su misura, da una sarta o un sarto molti bravi, “i tuoi medici del cuore”. Con un caveat: gli anticoagulanti hanno per definizione un rischio emorragico, ovvero possono essere causa di sanguinamenti sia di lieve entità (lividi cutanei, sanguinamento gengivale), sia, se pur raramente, di entità tale da dover necessitare dell’intervento medico. Dunque, a maggior ragione, il medico, quando prescrive una terapia antiaggregante o anticoagulante, valuta attentamente sia il rischio trombotico, sia quello emorragico del singolo paziente e quindi prescrive i farmaci in modo da ottenere il massimo beneficio con il minimo rischio emorragico.
Prevenzione primaria e aderenza al farmaco
Inoltre, nel decalogo si sottolinea l’importanza di adottare stili di vita corretti: la cosiddetta prevenzione primaria, elemento cruciale per contrastare l’insorgenza delle malattie croniche, la cui importanza è stata sempre ribadita da Assidai nelle proprie informative agli iscritti. In sintesi: non fumare, fare esercizio fisico regolare adatto all’età e alle condizioni cliniche, seguire una dieta corretta, dormire bene (e in caso contrario chiedere aiuto al medico e al cardiologo), prendersi cura di tutte le proprie malattie.
Infine, altro aspetto chiave è l’aderenza terapeutica che si realizza “quando il comportamento di una persona – nell’assumere i farmaci, nel seguire una dieta e/o nell’apportare cambiamenti al proprio stile di vita – corrisponde alle raccomandazioni concordate con l’operatore sanitario”. L’aderenza non comporta un atteggiamento “passivo”, al contrario dipende da un coinvolgimento “attivo e collaborativo”: chi riceve la prescrizione deve partecipare alla pianificazione e all’attuazione del progetto terapeutico, esprimendo un consenso basato sull’accordo.
In sostanza “essere aderenti alla terapia” significa: non ritardare il suo inizio, non effettuare omissioni o aggiunte non prescritte e non interrompere anzitempo il trattamento per decisione propria. Non essere aderenti alla terapia anticoagulante orale – conclude lo studio – comporta rischi per la salute anche molto gravi. Omettere l’assunzione del farmaco, anche solo di una dose, espone al rischio di trombosi che può culminare in un ictus; viceversa assumere più farmaco di quello che è stato prescritto espone al rischio di avere emorragie, alcune delle quali possono essere gravi e richiedere l’intervento medico in emergenza. Inoltre, non rispettare l’orario o gli orari giornalieri di assunzione non garantisce tutti i benefici che il farmaco può dare.