Una donna su nove viene colpita durante la propria vita dal cancro al seno, il tumore più frequente nel genere femminile.
I numeri dicono che la sopravvivenza a cinque anni è aumentata: dall’81% all’87% negli ultimi 20 anni e che nel 2019 si sono ammalati 53mila donne e 500 uomini. Rivelano, anche, che circa il 5-7% di queste patologie hanno caratteristiche ereditarie.
Anche nel 2019, ottobre è il mese della prevenzione del cancro al seno, una patologia che – nonostante i progressi fatti e dimostrati dai numeri – resta pur sempre la prima causa di tumore tra le donne con il 17% dei casi. Che cosa significa tutto ciò? Che oltre alla ricerca, un’arma fondamentale per battere il cancro al seno è la prevenzione, agendo sia a livello primario (cioè sugli stili di vita, a partire da una corretta alimentazione, eliminando il consumo di alcol o tabacco e praticando sport) sia secondario, cioè svolgendo con regolarità periodici screening che nel peggiore dei casi ci consentiranno di scoprire eventuali lesioni con il congruo anticipo.
Il tema della prevenzione, non solo per questa specifica patologia, è fondamentale per Assidai: Chiara Pistolese, medico e docente universitaria in Diagnostica per immagini, che lavora al Policlinico Tor Vergata di Roma e da oltre 20 anni segue la diagnostica senologica, in un’intervista a Welfare 24, newsletter del Fondo, ha sottolineato un concetto molto semplice: la vera prevenzione del tumore al seno è la diagnosi precoce, perché se c’è qualcosa che non va è meglio scoprirlo subito così non diventa un problema. Anche in questo caso i numeri sono estremamente chiari. Secondo l’AIRC, un ente privato senza fini di lucro nato nel 1965 grazie all’iniziativa di alcuni ricercatori dell’Istituto dei tumori di Milano, fra cui il Professor Umberto Veronesi, se il tumore viene scoperto allo stadio 0 (cioè iniziale), la sopravvivenza a cinque anni nelle donne trattate è del 98%, anche se le ricadute variano tra il 9 e il 30 per cento dei casi, a seconda della terapia effettuata. Se invece i linfonodi sono positivi (ovvero tutti gli stadi tranne lo 0), cioè contengono cellule tumorali, la sopravvivenza a cinque anni è del 75%.
Prevenzione del cancro al seno
In realtà gli strumenti della prevenzione al seno sono diversi ed essa deve iniziare da subito, a partire dai 20 anni. Il punto fermo è l’autopalpazione, ovvero un esame che ogni donna dovrebbe fare autonomamente una volta al mese per individuare anomalie del seno. Tra i possibili campanelli di allarme, la presenza di noduli, secrezioni nei capezzoli o ingrossamento dei linfonodi sotto l’ascella. Tutti segnali ovviamente da valutare con una visita senologica, cioè con l’esame clinico completo del seno (osservazione e palpazione) da parte di un medico specializzato: dopo i 40 anni è consigliabile effettuarla ogni anno. Poi ci sono gli esami diagnostici veri e propri. Ovvero l’ecografia, che permette di studiare a fondo la ghiandola mammaria: è indicata nelle donne di età compresa tra i 45 e i 50 anni perché molto affidabile nell’individuare lesioni in caso di seno con una ricca componente ghiandolare, ma è meglio associarla ad ogni età alla mammografia. Quest’ultima è invece una radiografia eseguita con il seno compresso tra due lastre per individuare la presenza di formazioni potenzialmente tumorali. In questo caso, il programma di screening, secondo le indicazioni del Ministero della salute, prevede che venga effettuata ogni due anni dalle donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni.
In realtà, come detto, c’è anche una prevenzione primaria, che agisce su fattori di rischio legati all’alimentazione e alle abitudini di vita. Diversi studi scientifici, sottolinea sempre l’AIRC, hanno dimostrato l’utilità di una dieta particolare nella prevenzione delle ricadute del cancro del seno in donne già colpite. E ulteriori analisti stanno valutando l’utilità della stessa dieta nella prevenzione primaria, ovvero in chi non ha ancora sviluppato la malattia. Alla base di questa alimentazione c’è un apporto significativo di ormoni vegetali simili agli estrogeni femminili che sono contenuti, per esempio, nella soia, ma anche nelle alghe, nei semi di lino, nel cavolo, nei legumi, nei frutti di bosco e nei cereali integrali. Particolarmente raccomandato il consumo di crucifere, che agiscono positivamente sul metabolismo degli ormoni: quindi sì a rape, senape, rucola, cavolfiore, cavolini di Bruxelles, ravanelli e cavolo. Infine, meglio pesce rispetto ad altre proteine animali, da accompagnare con grandi quantità di fibre (attraverso il consumo di frutta, cereali, verdura, legumi). Che cosa evitare invece o comunque limitare? Gli zuccheri raffinati, che hanno l’effetto di innalzare l’insulina nel sangue e quindi di indurre il diabete, a favore di zuccheri grezzi e di amidi e latticini e uova.