La buona notizia è che l’Italia è tra i pochi Stati al mondo ad avere già raggiunto il primo target fissato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), cioè l’eliminazione del 65% delle morti collegate all’Epatite C, utilizzando terapie con farmaci ad azione diretta che eliminano completamente in virus in oltre il 96% dei pazienti trattati (anche su questo fronte siamo all’avanguardia a livello globale). La notizia meno buona è che oltre 200mila italiani non sanno di essere affetti da Epatite C e che il nostro Paese è tra quelli in Europa con il maggior numero di persone esposte al virus: per centrare dunque il secondo obiettivo fissato dall’OMS, l’eradicazione totale del virus entro il 2030, bisogna ancora lavorare parecchio. Proprio per questo l’Osservatorio Sanità e Salute – associazione che riunisce importanti esponenti del mondo della politica e della comunità scientifica, sindacale ed imprenditoriale che hanno dimostrato un continuo e proficuo impegno sui temi della salute e della sanità pubblica – ha individuato di recente quattro linee di azione per vincere definitivamente la battaglia contro l’Epatite C.
Epatite C: cause, screening e rischi
Ma che cosa è l’Epatite C e come si trasmette? È una malattia del fegato causata dal virus HCV e la via di trasmissione è quella del contatto diretto con il sangue di qualcuno già infettato dal virus. C’è un dato che differenzia l’Epatite C dalle altre tipologie di epatite: solo il 30% circa delle persone infettate da HCV sono in grado di debellare il virus attraverso il lavoro del proprio sistema immunitario, e ciò accade nel giro di circa sei mesi mentre il restante 70% non si libera del virus stesso e sviluppa un’infezione da HCV a lungo termine o cronica. Non solo, la maggior parte delle persone con epatite C acuta e cronica è asintomatica, così questa malattia può anche richiedere decenni prima di dare manifestazioni clinicamente rilevanti e quindi essere diagnosticata. A quel punto, però, rischia di essere troppo tardi: chi non segue adeguatamente le cure o non è a conoscenza di essere affetto da HCV rischia la degenerazione della patologia sino alla cirrosi epatica o al tumore al fegato, due delle principali complicazioni con conseguente aumento dei costi sanitari e sociali per il trattamento della patologia in stato avanzato. In Italia su questo fronte c’è ancora un margine d’azione importante, sottolineano gli esperti, se si pensa che oltre 200mila persone sono ignare di avere contratto il virus dell’Epatite C e potrebbero scoprirlo con un esame del sangue ad hoc.
La prevenzione, quindi, si conferma ancora una volta come fondamentale sia per preservare la salute dell’individuo sia per garantire una sostenibilità di lungo periodo al Servizio Sanitario Nazionale (SSN), che vede un incremento significativo dei propri costi quando è costretto a curare una malattia in fase conclamata invece che iniziale. La prevenzione, ovviamente, ha una doppia valenza: primaria, cioè legata a una serie di comportamenti e stili di vista che, statisticamente, rendono meno probabile l’insorgere di malattie croniche (tumori, patologie dell’apparato cardiocircolatorio e polmonari), e secondaria, intesa come una serie di screening ed esami che permettono di scoprire in anticipo una malattia o addirittura di individuare un rischio di contrarla più elevato della media.
Vanno in questa direzione le campagne di prevenzione offerte gratuitamente da Assidai ai propri iscritti, presso le strutture convenzionate aderenti all’iniziativa: per esempio, nel 2018 l’iniziativa “Healthy Manager”, prevedeva esami di prevenzione contro il rischio l’ictus attraverso l’esame ecocolordoppler dei tronchi sovraortici mentre quest’anno ha riguardato la prevenzione contro il rischio melanoma con una visita dermatologica e la mappatura dei nei, esami fondamentali in termini di prevenzione per evidenziare eventuali patologie o lesioni tumorali della pelle.
4 strategie per battere l’epatite C
Quali sono le possibili strategie per contrastare l’Epatite C? L’Osservatorio Sanità e Salute ha individuato quattro azioni da mettere in campo.
- Il proseguimento della sorveglianza dei pazienti che hanno risposto al trattamento antivirale ma con cirrosi, al fine di cogliere in fase del tutto iniziale l’eventuale evoluzione in carcinoma.
- Attività di prevenzione attraverso una sorveglianza stretta delle popolazioni a rischio di reinfezione (tossicodipendenti “attivi”, popolazione carceraria, pazienti già infetti con virus HIV).
- Proseguimento dello screening per la presenza dell’infezione.
- L’Emersione del sommerso, cioè l’identificazione dei soggetti portatori, anche inconsapevoli, del virus dell’Epatite C al fine di debellare completamente l’infezione.
Un obiettivo, quest’ultimo, certamente ambizioso, che per essere raggiunto necessita di investimenti importanti, ma i vantaggi, anche in termini economici, sarebbero enormi se si pensa ai costi dell’attuale assistenza a centinaia di migliaia di pazienti tra visite ambulatoriali, esami di laboratorio e strumentali, ricoveri, trattamento delle complicanze della cirrosi fino alla necessità di ricorrere al trapianto di fegato.
Una cura italiana contro la cirrosi epatica
Per concludere una buona notizia legata alla cura della cirrosi epatica, una delle possibili “degenerazioni” dell’Epatite C, grazie a uno studio tutto italiano (pubblicato su The Lancet) coordinato da un gruppo di ricercatori dell’Azienda ospedaliera-universitaria Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna che ha valutato gli effetti di una terapia basata sulla somministrazione cronica di albumina. I risultati sono decisamente interessanti: una riduzione del rischio di mortalità a 18 mesi del 38% accompagnata da minori complicanze e, dunque, meno ospedalizzazioni. Va ricordato che la cirrosi causa ogni anno il decesso di circa 170mila persone in Europa (e circa 15mila solo in Italia) e rappresenta l’evoluzione di molte malattie croniche del fegato, le più frequenti causate da virus, uso inappropriato di alcol e problemi metabolici. Ora, grazie a questi risultati, potrebbe cambiare il percorso di cura dei pazienti. Con la somministrazione settimanale di albumina, al dosaggio di 40 grammi da effettuare in ambulatorio in circa 45-60 minuti, si avrebbe, infatti, oltre alla riduzione del rischio di mortalità a 18 mesi del 38%, anche una diminuzione della frequenza delle principali complicanze, tra cui insufficienza renale (-61%) e encefalopatia epatica (-52%). Con un vantaggio evidente sia per la qualità di vita del malato sia per i profili di costo del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), che potrà così convogliare maggiori risorse su altri fronti senza intaccare la propria sostenibilità nel lungo periodo.