In Italia c’è un basso tasso di conoscenza del welfare aziendale da parte dei lavoratori e, di riflesso, nasce l’esigenza di una comunicazione personalizzata dei servizi, in base alle singole esigenze che tuttavia – secondo i lavoratori stessi – deve avvenire nel pieno rispetto della privacy. È questo il principale risultato che emerge dal secondo studio realizzato quest’anno da Censis-Eudaimon sul welfare aziendale e focalizzato, in questo caso, sul ruolo che può giocare una buona comunicazione.
Il welfare aziendale è una tematica che sta a cuore a tutti i lavoratori, qualsiasi sia il proprio ruolo all’interno dell’azienda. Assidai si era interessata all’argomento già nel 2015, quando ha pubblicato un’interessante ricerca, realizzata da Ipsos, nella quale si indagavano i tratti distintivi e le esigenze del manager italiani, analizzando quali caratteristiche deve avere il “best place to work” e soprattutto evidenziando il ruolo dell’assistenza sanitaria integrativa oggi in Italia. È possibile consultare al seguente link la ricerca completa: L’identità del manager italiano, il best place to work e l’assistenza sanitaria integrativa.
Il 35% contrario alla comunicazione personalizzata digitale
L’analisi, realizzata grazie al supporto di quattro aziende di rilievo italiano e internazionale come Michelin, Snam, Credem ed Edison, parte dal messaggio del primo studio Censis-Eudaimon sul welfare aziendale diffuso a gennaio scorso. E cioè: sono pochi i lavoratori che sanno realmente cosa sia il welfare aziendale (il 17,9%), e lo sanno ancor meno i lavoratori a basso reddito, gli operai e assimilati; così la ridotta conoscenza tiene bassi i tassi di utilizzo di questi servizi, mentre l’asimmetria informativa genera nuove disparità sociali a svantaggio dei lavoratori meno abbienti. Di fronte a questi dati la domanda sorge spontanea ed è quella che ha mosso appunto la seconda indagine di Eudaimon-Censis, diffusa nelle scorse settimane: è possibile promuovere una comunicazione altamente personalizzata, sfruttando digitalizzazione e big data, per aiutare i lavoratori ad accedere a soluzioni appropriate ai propri bisogni?
Ebbene, la risposta dei lavoratori interpellati – probabilmente esausti per anni di assalti commerciali personalizzati con una comunicazione molto aggressiva tra email, sms e messaggistica varia – è tiepida. In particolare, il 35% dei lavoratori è nettamente contrario alla comunicazione personalizzata modello digitale, perché considera la tutela della privacy come la preoccupazione chiave della nuova era digital. Bisogna tenere conto, inoltre, di un altro 45% che, pur non considerando la privacy come la preoccupazione prioritaria, è comunque contrario a fare utilizzare i propri dati sensibili fosse pure per ricevere una comunicazione con proposte personalizzate. Infine, quasi il 65% dei lavoratori al quesito diretto, “Sei favorevole o contrario all’utilizzo dei dati dei lavoratori per costruire servizi personalizzati?” si è dichiarato contrario. C’è però un altro lato della medaglia: ovvero un 35,2% dei lavoratori che – secondo lo studio – ritiene utile che vengano usati i dati degli utenti per personalizzare i servizi di welfare aziendale, adattandoli meglio alle singole esigenze e preferenze. Una percentuale che sale al 41,4% se l’interpellato è un giovane con età compresa tra 18 e 34 anni.
L’asse vincente? Lavoratore – azienda – fornitore di servizi
Questi numeri, secondo Censis-Eudaimon, delineano la nuova sfida per il welfare aziendale che
“per la complessità dell’ecosistema azienda, può essere un luogo di sperimentazione di una nuova stagione della cultura digitale, più attenta alla molteplicità di interessi e aspettative dei soggetti in campo, dove un ruolo decisivo lo può giocare la social reputation e anche la competenza di chi offre il welfare stesso”.
Al tempo stesso, per l’azienda, si rende decisiva la costruzione di un rapporto stabile e duraturo con il lavoratore, ben oltre il momento dell’erogazione del singolo servizio. Da ciò nascerebbe un percorso di comunicazione personalizzata perché fondato sul coinvolgimento consapevole dei lavoratori, e gli effetti sarebbero di certo positivi con il welfare aziendale che sarebbe mosso da un motore a tre cilindri: lavoratori, imprese e provider di servizi.
La tutela di dati e privacy in Assidai
Il rispetto dei dati personali e della privacy dei propri iscritti è peraltro uno dei 10 valori cardine di Assidai. Il Fondo, infatti, garantisce la più completa tutela delle informazioni in proprio possesso e che riguardano, tra l’altro, anche gli iscritti stessi. Sul fronte della cyber-security, Assidai protegge i propri iscritti grazie a un solido impianto di sicurezza. La sua rete informatica, per esempio, viaggia su un circuito MPLS (utilizzato, tra gli altri, anche da Federmanager e Fasi) sul quale non c’è alcuna possibilità di intrusione da parte di terze persone. Tutti i servizi del Fondo, inoltre, non sono esposti a Internet e quello che esce da questo circuito è la navigazione internet dei dipendenti, protetta dal Firewall Fortinet. Inoltre, è stato messo a punto un antivirus centralizzato, McAfee, che monitora il traffico e riesce a intercettare ogni singola minaccia in tempo reale. Infine, ai dipendenti e ai collaboratori è fatto divieto di utilizzare informazioni riservate per scopi non connessi all’esercizio dell’attività professionale e comunque nei limiti previsti dalla normativa vigente e dai regolamenti interni.