Evoluzione della spesa sanitaria in Italia
In Italia il rapporto tra spesa sanitaria pubblica e Prodotto interno lordo (Pil) nel 2010 era del 7% e in Europa dell’8%, nel 2016 il dato relativo al nostro Paese era sceso al 6,5% mentre quello sull’intero Vecchio Continente era lievitato all’8,3%. Opposto il trend sulla spesa sanitaria privata che in rapporto al Pil, in Italia, dall’1,9% del 2010 è arrivata sei anni dopo al 2,4% mentre in Europa è rimasta sostanzialmente stabile al 2,1%. La differenza tra l’Italia e i principali Paesi del Vecchio Continente in termini di spesa sanitaria è tutta in questi numeri e in un’altra dinamica piuttosto eloquente: negli ultimi 10 anni la capacità assistenziale del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) si è ridotta dal 92% al 77%. In parole povere, nel nostro Paese – diversamente dagli altri partner europei, che hanno già reimpostato il proprio sistema sanitario in una logica “multipilastro” (cioè che prevede un ruolo significativo di assicurazioni e fondi integrativi come Assidai) – negli ultimi anni si è registrato un progressivo e inesorabile arretramento del finanziamento pubblico alla sanità. Cosa che costretto i cittadini ad attingere al proprio portafoglio per accedere alle cure o addirittura li ha indotto a rinunciare alle cure stesse.
Nel 2016 la cosiddetta spesa “out of pocket” degli italiani (cioè le prestazioni sanitarie pagate di tasca propria) ha raggiunto 35,2 miliardi: un aumento del 4,2% rispetto al 2013 e il 50% in più rispetto a inizio Millennio. E quest’anno, secondo le ultime stime, si potrebbe raggiungere quota 37 miliardi di euro. Ormai più di un italiano su quattro non sa come affrontare le spese necessarie per curarsi e tra 10 anni la situazione sarà di totale emergenza visto che, a patto di non volere assistere al crac del SSN, si prevede una spesa sanitaria pro capite a quota 1000 euro l’anno dai circa 580 euro di oggi.
Spesa sanitaria in Italia e nell’OCSE
Inutile dire, se allarghiamo il nostro raggio di analisi all’estero, che l’Italia è tra i Paesi OCSE (l’organizzazione a cui appartengono i primi 35 Stati industrializzati del mondo) con un’incidenza più elevata della spesa sanitaria “out of pocket”. In Europa fanno peggio di noi soltanto Grecia e Portogallo ma soprattutto il dato tricolore è tre volte superiore a quello della Francia, due volte rispetto alla Gran Bretagna e una volta e mezza se paragonato con la Germania. Nel mondo, giusto per dare un’idea, siamo sul livello di Cile e Messico. Una situazione determinata anche e soprattutto da un altro fenomeno: la scarsa diffusione in Italia di coperture sanitarie integrative, che ad oggi coprono soltanto il 3,3% della spesa sanitaria totale e il 14% di quella a cui non fa fronte il settore pubblico (quest’ultimo dato nei principali Paesi europei supera anche il 70-80%).
Il tema vero, per quanto riguarda l’Italia, è anche l’assenza di un progetto di sistema relativo al cosiddetto “secondo pilastro” a supporto del Servizio Sanitario Nazionale. Assidai, per esempio, considera fondamentale costruire a livello nazionale un sistema sanitario integrato pubblico e privato che veda il giusto bilanciamento tra la qualità dei servizi offerti e la sostenibilità economica.
Il risultato dell’assenza di strutturazione di questo progetto? Un quadro assistenziale frammentato in cui l’11% degli italiani è beneficiario di sanità complementare (contro il 22,9% della Germania, l’82% del Belgio e il 95,5% della Francia) e il 3,9% di forme sanitarie integrative (qui i Paesi Bassi hanno addirittura l’84% e il Canada il 67%). Complessivamente l’Italia arriverebbe anche a un discreto grado di copertura integrativa, pari al 19%, ma l’elevata dispersione dell’offerta privata e lo scarso coordinamento con il Servizio Sanitario Nazionale determinano una situazione che sarà difficilmente sostenibile nei prossimi anni se non ci sarà un brusco cambio di rotta a tutti i livelli.