ANNO 3 NUMERO 3 – marzo-aprile 2016
Il Professor Renato Lauro, rettore emerito dell’Università Tor Vergata di Roma: “Il confronto con altri Paesi europei è penalizzante, ma il ministero della Salute sta lavorando bene per colmare il gap”
“L’investimento dell’Italia in prevenzione? “È chiaro che se ci paragoniamo ad altri Paesi europei il discorso è penalizzante, ma l’attuale ministro sta lavorando bene su questo fronte”. Il vero problema? “Molti settori nel nostro Paese vengono considerati una spesa anziché un investimento produttivo”. Il possibile ruolo della sanità integrativa? “In materia di prevenzione può essere importantissimo, ma servono proposte davvero incisive”. Secondo Renato Lauro, rettore emerito dell’Università degli Studi di Tor Vergata e ordinario di medicina interna, è la prevenzione il fattore chiave per rendere sostenibile il sistema sanitario italiano nei prossimi anni.
Nel nostro Paese, tuttavia, proprio la prevenzione mostra un gap rispetto ad altri Stati europei?
Ciò è dovuto soprattutto a due motivi: il pil italiano è inferiore e il monte finanziario della sanità è stato ridotto. Purtroppo il problema è anche che nel nostro Paese, da sempre, ci sono alcuni settori che vengono considerati spesa anziché un investimento produttivo positivo. La situazione è peggiorata con la crisi economica che ha portato tagli lineari di spesa ma credo vada messa a punto una risposta efficace e adeguata. A questo proposito vorrei sottolineare che l’attuale ministero della Salute, guidato da Beatrice Lorenzin, è molto attento alla situazione.
Intanto il Sistema sanitario nazionale mostrare sempre più difficoltà. Che ne pensa?
I costi delle malattie cronico-degenerative sono diventati difficilmente sostenibili, anche perché la vita media si è alzata. Se 70 anni fa di malattie cardiocircolatorie o di tumore si moriva, oggi si sopravvive sempre più spesso. Ciò significa che i pazienti vanno seguiti, curati e controllati periodicamente con i costi del sistema sanitario che lievitano enormemente: è chiaro che serve una svolta. Innanzitutto dobbiamo mettere bene a fuoco una cosa: abbiamo risorse che ci permettono di tracciare l’identikit e il genoma di un soggetto, cosa che può dare delle indicazioni sui possibili rischi di malattie. Poi c’è il punto clou: la prevenzione, che è in grado di ridurre in misura significativa le malattie, uno strumento fondamentale da potenziare.
Come valuta test chiave per la prevenzione come l’Ecg sotto sforzo o il controllo bioimpedenziometrico?
Oggi tutti fanno il check up, tutto serve in teoria ma serve anche e soprattutto un’attenta anamnesi. Poi bisogna guardare alla medicina in un’ottica socio-sanitaria e agire sul fronte della prevenzione delle malattie croniche dovute alla vita sedentaria, ad esempio l’obesità. In Italia c’è molto da fare ma ci vuole convinzione.
Che ruolo può giocare in questo quadro la sanità integrativa?
Un ruolo importantissimo, ma deve cambiare dal punto di vista funzionale, deve essere più incisiva nel fare proposte. I fondi integrativi hanno raggiunto una grossa esperienza nell’ambito dell’assistenza per una quantità di popolazione notevole, con una conseguente raccolta di dati così importante da poter effettuare valutazioni di ampio respiro e di supporto per lo Stato.
Quale ritiene debba essere, in generale, il ruolo dell’assistenza sanitaria integrativa?
Laddove ci sono delle mancanze che sono ormai evidenti del Sistema sanitario nazionale, i fondi hanno la sensibilità operativa per intervenire e contestualmente superare le lacune. Ciò consente di razionalizzare gli interventi pubblici ottenendo così una riduzione notevole della spesa sanitaria e liberando risorse per una serie di attività. Chi non capisce che i fondi sanitari possono avere un ruolo nella crisi del Sistema sanitario italiano ed europeo, in futuro dovrà rendere conto della mancata valorizzazione di un’occasione storica. L’interazione tra pubblico e privato in campo sanitario è ormai all’attenzione di tutti i governi europei e di Bruxelles. L’Italia deve restare al passo su questo fronte.