Nuova e straordinaria scoperta sull’Alzheimer. Il risultato è frutto della collaborazione di diversi gruppi di ricerca italiani, impegnati da anni nello studio delle cause genetiche della malattia, coordinato dall’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino. Il risultato finale, pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Alzheimer’s Research & Therapy, «suggerisce il ruolo di rare mutazioni genetiche anche come causa della malattia in età senile», spiega Innocenzo Rainero che dirige il Centro Alzheimer e demenze correlate dell’ospedale Molinette e dell’Università di Torino. In particolare, quello che le ricercatrici e i ricercatori hanno portato alla luce è un nuovo gene che causa la malattia e che è stato denominato GRIN2C.
I numeri dell’Alzheimer in Italia e in Europa
La malattia di Alzheimer è la principale causa di gravi deficit cognitivi ed è divenuta uno dei maggiori problemi sanitari a livello mondiale. La ricerca scientifica ha dimostrato che la malattia è il risultato di una complessa interazione tra fattori genetici e numerosi fattori ambientali, quali ipertensione, obesità, diabete, depressione e isolamento sociale. Questi fattori favoriscono la deposizione nel cervello di due proteine tossiche, la beta amiloide e la proteina tau, responsabili della neurodegenerazione.
Oggi in Italia circa 1,2 milioni di persone sono colpite da demenza, di cui il 60% circa rappresentato da casi di Alzheimer, e si stima che nel 2040 proprio quest’ultima patologia vedrà arrivare i malati oltre quota 2,5 milioni. Nel mondo, ogni tre secondi, qualche persona sviluppa una forma di demenza, di cui il morbo di Alzheimer è la forma più comune. Parliamo di una malattia neurodegenerativa a decorso progressivo e cronico per la quale non è stata ancora trovata una cura e che rappresenta ormai in tutto il pianeta, in particolare nei Paesi sviluppati a causa del graduale invecchiamento della popolazione, uno dei principali elementi di criticità a livello sanitario e sociale.
La nuova scoperta a Torino
Lo studio in questione è stato coordinato dalla Dottoressa Elisa Rubino, ricercatrice presso il Centro per la Malattia di Alzheimer e le demenze correlate dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino e dell’Università di Torino (diretto dal Professor Innocenzo Rainero). Il gruppo ha studiato per diversi anni una famiglia italiana con malattia di Alzheimer a esordio senile, scoprendo che era causata da mutazioni nel gene GRIN2C, gene che codifica per una subunità del recettore NMDA del glutammato. Questo risultato è stato reso possibile grazie all’utilizzo di avanzate tecniche di genetica molecolare e alla collaborazione con la professoressa Elisa Giorgio del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Pavia e con il professor Alfredo Brusco del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino.
Inoltre, grazie al Professor Fabrizio Gardoni del Dipartimento di Farmacologia e Scienze Biomolecolari dell’Università di Milano, è stato possibile dimostrare gli effetti che questa mutazione provoca in modelli cellulari incrementando l’eccitabilità neuronale ed alterando il legame di questa proteina con altre proteine neuronali.
Il ruolo delle mutazioni genetiche rare nell’Alzheimer
“Ad oggi erano note rare mutazioni nei geni PSEN1, PSEN2 e APP, quali causa di malattia di Alzheimer, principalmente in età presenile”, commenta il Professor Rainero, che aveva contribuito già nel 1995 all’identificazione di PSEN1. “Questa scoperta suggerisce il ruolo di rare mutazioni genetiche anche come causa della malattia in età senile.” “Ci aspettiamo che GRIN2C sia una causa molto rara di malattia di Alzheimer”, conferma la Dottoressa Rubino, secondo la quale “l’aspetto più significativo della ricerca è la conferma del ruolo che i meccanismi di eccitotossicità – fenomeno di tossicità neuronale conseguente all’esposizione a concentrazioni relativamente alte di acido glutammico – possono avere nello sviluppo della malattia. Quando il glutammato interagisce con il recettore NMDA sui neuroni, si apre un canale che promuove l’ingresso di ioni calcio. Se questa stimolazione è eccessiva, si provoca un’intensa eccitazione del neurone che porta alla morte cellulare.”
Il punto di vista clinico e la gestione della malattia
Dal punto di vista clinico, è particolarmente interessante rilevare come, prima dello sviluppo del deficit cognitivo, i pazienti portatori della mutazione abbiano sviluppato per anni un disturbo dell’umore di tipo depressivo.
Insomma, la gestione della malattia di Alzheimer richiede, oggi, un approccio multidisciplinare, basato sulla prevenzione, sulla diagnosi precoce e su trattamenti farmacologici mirati. Il nuovo studio necessiterà lo sviluppo di nuovi farmaci in grado di ridurre l’eccitotossicità cerebrale da glutammato per rallentare la progressione di questa drammatica malattia.
Il ruolo del trend demografico
La sola malattia di Alzheimer colpisce nel nostro Paese circa 600mila italiane e italiani. Inoltre, è stato stimato – ricordano gli esperti – che il costo medio annuo per paziente, comprensivo dei costi diretti e indiretti, sia familiari sia a carico del Sistema Sanitario Nazionale e della collettività, è pari a 70.587 euro, cifra che, moltiplicata per la quota attuale di malati, si traduce in oltre 42 miliardi.
Considerato che nel 2040, secondo le ultime stime, i malati di Alzheimer saranno oltre 2,5 milioni – trend ovviamente frutto del graduale invecchiamento della nostra popolazione – è facile intuire la possibile esplosione della spesa per il sistema italiano con gravi conseguenze a livello di sostenibilità. Senza contare peraltro il tema dei caregiver, cioè dei familiari coinvolti direttamente o indirettamente nell’assistenza dei propri cari, ormai non più autosufficienti: un carico non solo psicologico e sociale ma anche economico che grava sulle famiglie per far fronte alle esigenze del malato.
Nei prossimi dieci anni, secondo le previsioni di Italia Longeva, 8 milioni di persone anziane avranno almeno una malattia cronica grave, cioè ipertensione, diabete, demenza, malattie cardiovascolari e respiratorie. E già nel 2030, la cosiddetta “bomba dell’invecchiamento” potrebbe esplodere con 5 milioni di persone anziane potenzialmente disabili, innescando un circolo vizioso se non adeguatamente gestito: l’aumento della vita media causerà l’incremento di condizioni patologiche che richiederanno cure a lungo termine e determineranno un’impennata del numero di persone non autosufficienti, esposte al rischio di solitudine e di emarginazione sociale. Crescerà così inesorabilmente anche la spesa per la cura e l’assistenza a lungo termine degli anziani e quella previdenziale, mentre diminuirà la forza produttiva del Paese e non ci saranno abbastanza giovani per prendersi cura delle persone anziane.
Assidai e la forte attenzione per le prestazioni per la non autosufficienza
Premesso che la prevenzione per quanto riguarda l’Alzheimer significa essenzialmente diagnosi precoce, va anche ricordato in generale il valore delle coperture per la non autosufficienza – Long Term Care (LTC), che consentono di affrontare con maggiore serenità economica e familiare possibili patologie che portino alla non autosufficienza. Assidai, Fondo di assistenza sanitaria integrativa di emanazione Federmanager, cui si aderisce per libera scelta, offre a manager in servizio e in pensione e alle loro famiglie Piani Sanitari eccellenti, che prevedono tra l’altro anche una copertura LTC, fondamentale per tutelare sé stessi e le persone care nei momenti più difficili della vita.