Il 42% degli italiani segue uno stile di vita completamente sedentario, cioè non svolge alcuna attività fisica, né tantomeno sportiva. Tra gli over 65 si sale al 60,7% (il 51,3% degli uomini e il 67,7% delle italiane), vale a dire oltre 7 milioni e mezzo di anziani. Bastano questi numeri per intuire come, nel nostro Paese la prevenzione primaria, identificata in quei comportamenti e stili di vita finalizzati a evitare l’insorgere di gravi malattie come quelle cardiovascolari e tumorali, debba ancora compiere numerosi passi in avanti: un percorso al quale Assidai, da anni, fornisce il proprio contributo informando ed “educando” i propri iscritti. Ogni anno, in tutta Europa si verificano un milione di decessi (il 10% circa del totale) causati proprio dalla mancanza di attività fisica. Inoltre, quest’ultima, ha un pesante impatto negativo in forma di costi diretti per il sistema sanitario, ma anche indiretti in termini di aumento dei congedi per malattia, delle inabilità al lavoro e delle morti precoci.
Attività fisica nella terza età
Il valore dell’attività fisica in età avanzata, che non vuol dire diventare degli “Ironman”, ma semplicemente tenere il proprio corpo in attività con semplici e sane abitudini di movimento, è dimostrato anche da una recente ricerca pubblicata dal “British Journal of Sports Medicine” e realizzata dai ricercatori della Norwegian School of Sports Sciences di Oslo (Norvegia). Il suo risultato? Nella cosiddetta terza età, praticare tre ore di esercizio fisico a settimana potrebbe allungare la vita di cinque anni. Detto più scientificamente, allenarsi mezz’ora al giorno, sei giorni su sette, riduce del 40% il rischio di mortalità.
Nel dettaglio, lo studio è stato condotto per circa 12 anni su 5.738 norvegesi nati tra il 1923 e il 1932 e il loro stato di salute è stato monitorato per un periodo di 12 anni. Ecco i risultati: praticare mezz’ora di attività fisica di qualsivoglia intensità, per sei giorni a settimana, significa ridurre del 40% la mortalità, mentre svolgere attività di lieve intensità per meno di un’ora a settimana non porta ad alcuna riduzione del rischio; superare invece i 60 minuti permette di ridurlo dal 32% al 56%. Il discorso cambia quando l’attività è intensa: in questo caso basta meno di un’ora a settimana per centrare una riduzione importante del rischio (27-37%).
Per essere ancora più espliciti, i ricercatori sottolineano un ulteriore concetto, peraltro provato dalle analisi statistiche svolte: quando si è avanti negli anni, allenarsi riduce il rischio di mortalità quanto smettere di fumare. Dunque, concludono gli esperti della Norwegian School of Sports Sciences di Oslo, le politiche di sanità pubblica dovrebbero promuovere l’attività fisica come la lotta al fumo. Del resto, dal loro studio è emerso anche un altro concetto da non sottovalutare: per gli anziani, mantenere un livello sufficiente di fitness ha benefici non soltanto sul sistema cardiocircolatorio, ma su molti altri organi e in definitiva protegge gli individui da morte prematura.
Per concludere, dopo tanta teoria un pochino di pratica con le raccomandazioni dell’OMS, che ultimamente ha ribadito come l’inattività fisica sia il quarto più importante fattore di rischio per la mortalità. Laddove, per attività fisica, non si intende solo lo sport ma “qualunque movimento corporeo prodotto dai muscoli scheletrici utilizzando energia; quindi anche giocare, camminare, dedicarsi ai lavori domestici o al giardinaggio”. Ebbene, per gli adulti e gli anziani il livello minimo è costituito da almeno 150 minuti alla settimana di attività aerobica di intensità moderata o 75 minuti se l’intensità è vigorosa (o una combinazione equivalente di attività con intensità moderata e vigorosa), in sessioni comunque non più brevi di 10 minuti. Per i bambini, il livello minimo settimanale è invece di 60 minuti.